I monaci-scienziati e la Montecassino-laboratorio di don Bernardo Paoloni

Meteorologia, sismologia e scienze aeronautiche: tra lavoro e preghiera i benedettini non preservarono solo il sapere: lo fecero

Gaetano De Angelis Curtis

Università di Cassino Laboratorio di Storia Regionale Dipartimento di Lettere e Filosofia

Normalmente quando si pensa alle abbazie, ai monasteri, in primis a quello di Montecassino, ci si immagina monaci dediti alla preghiera. Oppure al lavoro o allo studio negli scriptoria, nei loro archivi pieni di carte e documenti. O nelle loro biblioteche in legno stracolme di libri- Oppure il ricordo va agli amanuensi, umili e sconosciuti, che nel corso del Medioevo hanno salvato dalla distruzione e dalla barbarie tanti capolavori dell’ingegno umano. Ricopiandoli e ricopiandoli su pergamene creando pure straordinari codici miniati corredati come sono da eccezionali disegni. 

Poi il romanzo di Umberto Eco Il nome della rosa e soprattutto l’omonimo film con Sean Connery (che interpreta l’arguto abate Guglielmo di Baskerville) hanno forse fuorviato l’immaginario collettivo. Poiché sono state raccontate le vicende di uno sperduto monastero benedettino alpino con monaci miniaturisti con le mani e lingue nere uccisi da veleni, appunto mortali, sparsi sulle copertine di libri. Monaci morti e messi a testa in giù nelle botti di vino, negli orci con le gambe divaricate. Tali scene hanno finito per colpire un po’ tutto l’immaginario collettivo.

La fantasia di Eco e la realtà “fantastica”

Ritratto di Umberto Eco (Foto: Thierry Ehrmann)

A prescindere da quelle vicende romanzate raccontate in libri e riprodotte cinematograficamente, il monachesimo (e in particolare quello benedettino cassinese) ha avuto un ruolo preminente anche in campo culturale. E della divulgazione e continuazione della conoscenza, del sapere e della ricerca scientifica contribuendo non poco alla diffusione della civiltà. Montecassino ha infatti espresso nel corso dei secoli delle illustri personalità di caratura nazionale e internazionale. In ambito umanistico, nelle lettere, nelle arti, nella filosofia, ma non solo.

Infatti nel Medioevo accadeva questo. Mentre si andava affermando sempre più l’ignoranza in tempi tristi percorsi da guerre, da violenze e da orde barbariche, a Montecassino come negli altri monasteri benedettini, e non solo, «non vi era disciplina che non vi fosse coltivata con fervore». Ecco dunque che l’approfondita preparazione nelle materie ecclesiastiche si è accompagnata con studi umanistici (filosofia, storia, poesia, lingua, letteratura, eloquenza, musica, archeologia e arti in genere). Tra i monaci cassinesi anche le materie scientifiche «ebbero i loro cultori e scrittori» e furono indagate e approfondite.

La scienza applicata nella casa di Dio

dom Bernardo Paoloni alle prese con il telegrafo senza fili di Montecassino

In sostanza il monachesimo benedettino e in particolare quello cassinese ha espresso autorevoli studiosi in ambito umanistico ma pure del mondo scientifico. Monaci-scienziati che hanno coltivato lo studio nelle scienze fisiche, astronomiche, mediche e geofisiche. Sulla cosmologia, storia naturale, matematica, astronomia, medicina, igiene e persino nella meteorologia. Nella sismologia, nell’aerologia, nella radiotelegrafia ecc.

Alcuni di questi monaci-scienziati con le loro approfondite ricerche, con le loro intuizioni, con le loro invenzioni anche rudimentali sono riusciti ad aprire nuove strade. A porre le basi di nuovi studi e nuove scienze, in sostanza di nuove conoscenze, di nuovi saperi, di nuove competenze, di nuove applicazioni sperimentali, di nuove strumentazioni

Per di più vanno considerate le maggiori difficoltà che i monaci-scienziati avevano in più rispetto agli studiosi e ricercatori civili. Questo poiché erano tenuti comunque al rispetto delle regole monastiche, dei tempi da dedicare alle celebrazioni religiose e alla preghiera. Ma anche per l’isolamento per gran parte del loro tempo casomai in una celletta adattata a piccolo laboratorio scientifico sperimentale e in ambienti gelidi d’inverno.

Il monaco ed il “primo sismografo”

dom Bernardo Paoloni con il primo sismografo di Montecassino

Potrà apparire strano, ma solo apparentemente, ma l’avvio o l’approfondimento dello studio nei campi della meteorologia moderna, della sismologia, dell’aerologia, della radiotelegrafia è strettamente legato all’abbazia di Montecassino. E ad alcuni monaci cassinesi e a questo territorio. 

In una allocuzione tenuta nel 1925 nel cenobio benedettino e poi pubblicata l’anno seguente con il titolo di Il contributo dato in 14 secoli dai cassinesi benedettini alle scienze fisiche, astronomiche mediche e naturali e il cinquantenario della fondazione dell’Osservatorio di Montecassino, il monaco cassinese dom Bernardo Paoloni scriveva questo. Che la sismologia, cioè lo studio scientifico di terremoti e fenomeni tellurici, aveva avuto inizio in un altro chiostro cassinese dove «Iddio aveva ispirato la scienza che dovrà dire all’uomo perché e quando la terra tremerà».

Era stato il monaco cassinese del monastero di S. Pietro di Perugia, dom Andrea Bina, a inventare il primo sismografo ed anche a impiantare il primo Osservatorio sismico. Il suo sismografo era uno strumento rudimentale (un pendolo di piombo di notevole peso alla cui estremità c’era un ago che lasciava il segno su finissima avena). Capace però di registrare la direzione e l’ampiezza del terremoto nonché se era stato ondulatorio o sussultorio. Ovviamente lo strumento fu poi migliorato ma intanto aveva aperto la strada a un nuovo modo scientifico di registrazione.

Precursori dell’aeronautica moderna

L’osservatorio astronomico di Montecassino

Allo stesso modo i monaci-scienziati benedettini furono dei precursori negli studi aeronautici. Tre monaci della Badia di Firenze nel 1784 fecero sollevare un pallone riempito di idrogeno. Pallone che si sollevò in volo e dopo quattro minuti andò a cadere in un paesino dell’Appennino emiliano. Qualche anno dopo un altro benedettino della stessa Badia nella sua celletta trasformata in piccolo laboratorio aeronautico «faceva esperimenti per tentare di risolvere il problema della dirigibilità» in volo.

Così «Iddio» aveva ispirato «all’uomo le vie aeree per le quali Umberto Nobile» era giunto al Polo nord. (La missione polare condotta con il dirigibile «Italia» che poi precipitò sul pack perdendo dieci uomini dell’equipaggio di bordo fra cui il motorista Vincenzo Pomella di S. Elia Fiumerapido morto nell’impatto al suolo nell’incidente avvenuto il 25 maggio 1929 con lo stesso Umberto Nobile ferito, riparato con altri nella cosiddetta «Tenda rossa» e salvato dopo due mesi dai soccorsi).

E un secolo e mezzo prima quattro monaci cassinesi avevano impiantato a Montecassino una delle prime stazioni aerologiche d’Italia. Da dove migliaia di palloni aerostatici, nel corso di dodici anni, erano ascesi in cielo a sondare l’atmosfera andando a cadere persino in Serbia.

Molto, ma molto prima di Bernacca

Il colonnello Edmondo Bernacca

Anche la moderna meteorologia può «quasi dirsi nata tra le mura dei chiostri benedettini» e non era una «esagerazione il dire». In sostanza, scriveva ancora d. Bernardo Paoloni «Iddio ispira la scienza delle leggi che regolano le piogge, il freddo, i venti, le folgori, e questa scienza nasce tra le mura dei chiostri benedettini». Infatti inizialmente erano stati i benedettini di Vallombrosa che nel 1654 avevano iniziato le prime regolari osservazioni meteorologiche in Italia.

Poi erano sopraggiunti gli studi di dom Benedetto Castelli, monaco benedettino cassinese, matematico e fisico, il «padre» della meteorologia moderna secondo dom Bernardo Paoloni. Discepolo di Galileo Galilei, cui si legò in un’amicizia durata quarant’anni, Castelli è stato l’inventore del pluviometro. Nel 1639 effettuò misure delle precipitazioni mediante un recipiente cilindrico in vetro di sua invenzione. Che può dirsi l’«apparecchio che fornisce alla meteorologia i dati più importanti e più sicuri».

Con tale strumento, che lui chiamò «orinale» ma poi definito «pluviometro», misurava il livello dell’acqua dopo la pioggia e in sostanza veniva calcolata la quantità di pioggia caduta

Un tesoro di manoscritti in archivio

La biblioteca di Montecassino

Il contributo dei cassinesi alla meteorologia fu dato non solo da grandi monaci-scienziati ma anche da anonimi monaci. Nell’Archivio di Montecassino erano conservati decine di grandi volumi. Cioè dei giornali manoscritti nei quali anonimi cronisti avevano annotato cose. Giorno per giorno, a partire dal 1800, «senza una sola lacuna, tutti i principali fenomeni meteorologici e sismici». E cioè la temperatura della giornata assieme ad altri eventi atmosferici. Come il vento, la nebbia, l’umidità, la caligine, i temporali con lampi frequenti e tuoni, la pioggia, la caduta di neve sui monti.

Ad esempio per il mese di settembre 1800 erano state annotate pure dodici scosse di terremoto, con l’ora e l’intensità di ciascuna. Inoltre nei volumi erano «minutamente descritti i grandi uragani che nei secoli passati, forse più che ai nostri giorni, imperversarono su Montecassino. I lunghi periodi di piogge, le prolungate siccità, le ubertose e le scarse raccolte, le malattie predominanti e le pestilenze. L’andamento della temperatura, le descrizioni particolareggiate dei fulmini, che tanti danni arrecarono alla Badia prima che essa fosse munita di parafulmini.

E questa dei parafulmini è un’altra bella pagina che Montecassino aggiunge al progresso della scienza italiana. Perché l’impianto dei parafulmini fatto a Montecassino nel 1829 se non il primo d’Italia, fu certamente il più grandioso e il migliore impianto fatto nella prima metà del secolo XIX“.

La figura di dom Giuseppe Quandel

L’abate Quandel

Tuttavia nel lungo elenco degli ecclesiastici scienziati, un posto di rilievo è per due monaci benedettini cassinesi e cioè Giuseppe Quandel e Bernardo Paoloni

Fu per merito di dom Giuseppe Quandel (nato a Napoli nel 1833) se Montecassino poté dotarsi di un «Osservatorio meteorico aerologico geodinamico». Si era nel lontano 1875, quasi centocinquanta anni or sono, un lustro dopo la proclamazione di Roma a capitale del nuovo Stato italiano. E proprio nelle fasi risorgimentali Giuseppe Quandel aveva combattuto militarmente contro l’unità d’Italia. (Leggi qui: Giuseppe Quandel, da ufficiale borbonico ad abate di Montecassino).

Infatti egli era stato un ufficiale dell’esercito borbonico e proveniva da una antica famiglia di militari di origine tedesca che dopo varie vicissitudini si era ritrovata a Napoli a servizio dei Borboni. Prima Ferdinando IV poi Ferdinando I re delle Due Sicilie e quindi Ferdinando II e infine Francesco II. Il padre (Giovan Battista) era un generale dell’Esercito napoletano, la madre era a sua volta figlia di un altro generale (Pietro Vial de Maton) temutissimo dai liberali di Terra di Lavoro. In quanto era lui che comminava le prime sanzioni di restrizione della libertà personale agli oppositori antiborbonici.

Anche Giuseppe, come due suoi fratelli, era stato avviato alla carriera militare. Fu collegiale della Scuola militare Nunziatella di Napoli. Poi divenne docente di artiglieria e fortificazioni nel Collegio degli allievi militari. Nel 1860, quando Garibaldi risaliva la penisola italiana, si trovava nella piazzaforte di Capua. Raggiunse quindi Francesco II a Gaeta distinguendosi, da provetto capitano del genio, nell’allestimento delle fortificazioni sottoposte all’incessante cannoneggiamento dell’Esercito sabaudo.

Addio morte e caserme, benvenuto Dio

Il forte di Gaeta dopo il bombardamento di Cialdini

Fu tra i difensori più audaci e temerari, mettendo più volte a rischio la propria vita per riparare le batterie dell’artiglieria e le postazioni colpite, incitando alla resistenza i soldati borbonici. Quando il 13 febbraio 1861 la fortezza militare di Gaeta cadde e si arrese, era già avvenuta da qualche mese la definitiva scomparsa del Regno borbonico. Giuseppe Quandel fu imprigionato e rinchiuso nel carcere di Ischia. Liberato tornò in famiglia a Napoli, gli fu offerto l’inquadramento con lo stesso grado nell’Esercito italiano ma egli rifiutò.

Decise di dare una svolta radicale alla sua vita lasciando «per sempre le caserme, i campi di battaglia e di percorrere un’altra strada molto lontana dalla guerra, di cui aveva toccato con mano i devastanti e mortiferi effetti». Decise di abbracciare la vita monastica e il 20 marzo 1864 entrò nel monastero di Montecassino dove si trovava un altro suo fratello. E chiedendo «di essere cinto delle fortissime e preclare armi dell’obbedienza: il 26 dicembre 1865 si consacrava alla nuova milizia, che doveva condurlo non più alle guerre, ma alla pace. E veniva chiamato, come quando era tra i cannoni di Gaeta, Giuseppe Quandel»

Fin da subito mise a disposizione della comunità monastica cassinese le sue conoscenze. A lui si deve la fondazione del Collegio di S. Benedetto di cui gli fu affidata la direzione e l’insegnamento di Scienze matematiche e fisiche. Essendo appunto laureato in matematica, a lui si deve anche la costruzione del «Seminario di S. Giuseppe, del quale diresse con molta perizia le opere di costruzione». Allo stesso tempo si impegnò in campagne di scavi archeologici. Poi in operazioni di restauro del monastero ma anche nella raccolta e sistemazione di pergamene, incunaboli, documenti concernenti l’antico ducato di Gaeta.

Come ti tiro su un osservatorio meteo

L’archivio di Montecassino

La sua passione per le scienze fisiche lo portò a interessarsi in particolar modo della meteorologia. Così a lui si deve anche la fondazione nel 1875 dell’«Osservatorio meteorico aerologico geodinamico», di cui pure fu l’architetto e di cui fu il primo direttore, conservandone la responsabilità per tutta la sua vita. Grazie ai buoni uffici di Quintino Sella, il rigoroso ministro delle finanze dell’Italia liberale e fondatore del Club Alpino Italiano, ottenne dal ministero dell’Agricoltura, industria e commercio (era titolare del dicastero Gaspare Finali) l’assegnazione di strumenti necessari al funzionamento di una stazione meteorologica a Montecassino.

Nonché un sussidio di L. 2.000 «per spese di adattamento dei locali e degli istrumenti alle osservazioni meteoriche». L’Osservatorio di Montecassino incominciò a funzionare nel luglio 1876 e per oltre mezzo secolo le osservazioni non sono state mai interrotte, neanche per un sol giorno. Dom Giuseppe Quandel volle pure che alle osservazioni meteoriche della stazione cassinese si venissero ad aggiungere anche quelle geodinamiche. Per cui «procurò che l’osservatorio fosse fornito di alcuni dei principali strumenti sismici». Fu uno dei primi ad aderire alla Società sismologica. Poi nel 1896 venne eletto abate di Montecassino, carica che mantenne fino alla sua morte avvenuta il 27 febbraio 1897.

Il passaggio di testimone tra eruditi

Dom Gregorio Diamare

Alla scomparsa di dom Giuseppe Quandel, fu nominato direttore dell’Osservatorio d. Gregorio Diamare (anche lui successivamente abate di Montecassino), incarico che assolse per dieci anni finché a partire dal 1909 la direzione dell’«Osservatorio Meteorologico» fu affidata a dom Bernardo Paoloni. Un’altra grande e importante figura di monaco-scienziato cassinese. A dom Giuseppe Quandel si deve la collocazione della stazione meteorologica a Montecassino. Ma fu il suo successore, dom Bernardo Paoloni, che portò l’attività di rilevamento meteorologico, gli studi di sismologia delle trasmissioni radio atmosferiche ai livelli più elevati. E l’Osservatorio divenne uno dei più importanti centri di ricerca italiani.

Con dom Paoloni l’Osservatorio venne arricchito di nuovi strumenti costruiti dallo stesso monco scienziato (ad esempio il tronometro che serve a determinare la direzione del vento). O di nuove apparecchiature sismologiche (sismoscopi Brassart, sismometrografo Cancani) che fece acquistare. Impiantò una Stazione Aerologica mentre gli ambienti dell’Osservatorio furono ampliati nelle strutture murarie. Soprattutto dotò l’Osservatorio di un apparato di radiotrasmissioni

Le previsioni del tempo… monastiche

Gli studi sulla meteorologia portarono Paoloni a fondare nel 1909 il «Servizio Meteorico Agrario di Terra di Lavoro». Infatti aveva intuito che gli studi sulle osservazioni meteorologiche potevano avere applicazioni pratiche in agricoltura. E poiché le implicazioni di tali studi sulle condizioni atmosferiche si sarebbero potute apprezzare «meglio» nel momento in cui le «notizie raccolte» venivano «messe in rapporto coi dati della pioggia e della temperatura» face una cosa. Nello stesso 1909 dette vita alla pubblicazione di un periodico mensile.

Periodico dal titolo di «Bollettino Riassunto-Decadico» che riportava le osservazioni meteoriche e geodinamiche nel territori di Terra di Lavoro. In più fu attivata una «Rete Udometrica» che faceva capo all’Osservatorio. E che risultava composta da 45 stazioni dislocate in una quarantina di Comuni della provincia di Terra di Lavoro: ben tre a Montecassino e poi verso sud fino a Piedimonte d’Alife (oggi Piedimonte Matese), verso est a Venafro in Molise, verso il mare a Elena (cioè Gaeta).

Quanta pioggia cadrà su Casamari?

L’abbazia di Casamari (Foto © Ciociaria Turismo)

Verso nord nella provincia di Roma (Ceprano, Casamari, Alatri). Le stazioni registravano la quantità di pioggia caduta nelle tre decadi di ogni mese. I dati registrati dalle singole stazioni venivano raccolti in un elenco formato dai Comuni dove erano state collocate. E con la lista ordinata in base all’altezza sul livello del mare. Quei dati entravano a far parte del «Bollettino Udometrico» che veniva pubblicato periodicamente. (A cent’anni di distanza quanto appaiono attuali questi studi considerando la grave crisi idrica che ha iniziato a colpire tutto il pianeta).

Paoloni si interessò molto degli esperimenti scientifici condotti da Guglielmo Marconi e delle sue scoperte sulla radiotelegrafia. Tanto che tra il monaco cassinese e lo scienziato bolognese, accumunati dagli stessi interessi, si instaurò un forte legame di amicizia

Così nel 1913 Paoloni impiantò nell’Osservatorio la «prima stazione radiotelegrafica privata d’Italia, approvata dal Governo». Egli aveva avuto modo di visitare il Centro radio fondato da Guglielmo Marconi a Centocelle (Roma). Nel suo Diario annotò la visita senza però riportare la data che, presumibilmente, è da collocare in un periodo precedente all’impianto della stazione radio a Montecassino, quindi prima del 1913. Paoloni racconta che per poter accedere al Centro radio c’era bisogno di un permesso speciale rilasciato dallo stesso Guglielmo Marconi e dal ministero della Marina.

Tra Guglielmo Marconi e Marinetti

Guglielmo Marconi

Accordata l’autorizzazione, fu prelevato dal direttore della stazione alle due del pomeriggio in piazza S. Silvestro per raggiungere Centocelle in venti minuti «col suo automobile» (sostantivo che allora si declinava al maschile. Nel 1909 Filippo Tommaso Marinetti scriveva nel Manifesto del Futurismo: «un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia»). Paoloni ebbe la possibilità di vedere come era organizzato il Centro radio, di «sentire la trasmissione dei segnali con scintilla Sonante (che assorda da vicino)», di ascoltare in cuffia «alcuni dispacci della Dante e di Malta»

Il Centro Radio di Centocelle, il migliore fra quelli funzionanti in Italia dopo quello di Coltano (in provincia di Pisa), utilizzava un impianto aereo formato da 12 fili principali della lunghezza di 500 metri. Ognuno tesi tra «due altissime torri di ferro». Invece la stazione ricevente di Montecassino, quando fu allestita, funzionava tramite un impianto aereo che risultava costituito da «una bella antenna» formata da tre fili della lunghezza ognuno di 150 metri, i quali, posti in orizzontale, partivano dalla torretta dell’Osservatorio. 

“Qui Torre Eiffel da Parigi, mi sentite?”

Il segnale trasmesso dal Telegrafo Marconi di Roma fu udito per la prima volta a Montecassino il 14 maggio 1913. L’altro importante segnale trasmesso era quello proveniente da Parigi. Per la precisione le trasmissioni partivano dalla Torre Eiffel. Che comunicava «per telegrafo senza fili, a quanti [erano] in grado di poterle ricevere, le notizie meteoriche di molte città di varie nazioni e perfino dell’America». Tali «indicazioni avute con tanta sollecitudine» risultavano essere importanti.

In quanto permettevano a un direttore di «Osservatorio di poter dare qualche risposta circa il tempo» del giorno successivo, cosa che «non [era] possibile con i solo dati meteorologici locali». Dunque Paoloni , dopo quello di Roma, si apprestò ad ascoltare con la sua stazione radio il segnale proveniente da Parigi. Il 18 maggio dom Bernardo Paoloni, dopo sole «3 ore di sonno», si alzò nel cuore della notte. E verso mezzanotte si mise all’ascolto ma «aspetta aspetta», non era riuscito a «sentire niente».

Per la «rabbia» non aveva più avuto «voglia di ritornare a letto». Caparbiamente era rimasto all’ascolto. Dall’una e mezza alle due e mezza aveva percepito dei rumori, «quasi a canzonarlo», e poi alle 3.45 aveva «sentito due trombette diverse che strillavano». Dopo «tante prove fallite», finalmente il 21 maggio 1913 Paoloni poté ascoltare per la prima volta anche i segnali trasmessi a mezzanotte dalla Torre Eiffel.

Arriva il segnale: “Sia lodato Iddio!”

Dom Bernardo Paoloni

Un avvenimento che commentò nelle pagine del suo Diario con queste parole: «Sia lodato Iddio! O’ inteso Parigi!». I radiotelegrammi meteorici venivano trasmessi Torre Eiffel due volte al giorno, cioè alle 12 e alle 18. Mentre invece i segnali orari, che risultavano «necessari per i cronografi [degli] apparecchi sismici» in dotazione nell’Osservatorio venivano mandati in onda alle 11 del mattino e a mezzogiorno meno un quarto. Le trasmissioni del giorno venivano ripetute a mezzanotte in quanto nel corso della primavera-estate risultavano udibili solo nelle ore notturne.

Infatti nei mesi invernali, o meglio da ottobre ai primi di aprile, i segnali orari diurni «fortunatamente si sentivano benissimo» in tutta Europa. Dunque anche a Montecassino e non si poteva desiderare di meglio. Poi però con il sopraggiungere della stagione estiva le trasmissioni diurne non venivano più udite. Infatti a causa del caldo esse erano percepibili «appena appena alle 8» di mattina quando venivano trasmettesse le notizie della stampa.

Ma poi a partire dalle 11 e fino alla sera non lo erano più. I segnali che Paoloni aveva sentito il 21 maggio erano quelli trasmessi a mezzanotte. Poi nell’ottobre successivo, con il cambio di stagione, Paoloni poté ascoltarli per la prima volta anche quelli messi in onda di giorno. Un problema che si venne a porre allora fu quello dell’ascolto dei segnali diurni nei mesi invernali in quanto bisognava attendere la trasmissione di mezzanotte.

Le levatacce nel nome della scienza

Foto © Michele Di Lonardo

Ecco, dunque, che per ascoltare tali segnali gli studiosi erano costretti ad alzarsi a mezzanotte. O a rimanere desti fino a quell’ora, «anzi fino all’una passata». Una così tarda ora creava non poche difficoltà a studiosi e ricercatori civili. Tuttavia tale situazione risultava ancora più difficile, ancora più faticosa e ancor più «doloros[a]» per un monaco come Bernardo Paoloni. Il quale doveva alzarsi alle 4½ di ogni mattino per le preghiere del Mattutino. In definitiva, scriveva Paoloni, i segnali orari diurni dei mesi invernali risultavano essere trasmessi inutilmente il giorno.

In quanto nessuno poteva ascoltarli. Allo stesso tempo anche quelli notturni erano trasmessi «quasi sempre inutilmente» in quanto «pochi o nessuno ne approfittavano a quell’ora». Allora, anche sulla base delle «molte lagnanze» di alcuni suoi colleghi, Paoloni si fece promotore della proposta di modifica dell’orario di trasmissione dei segnali dalla Torre Eiffel. Allo scopo di non «rassegnarsi a vegliare la notte» per poter ricevere «le notizie meteoriche di tutto il mondo, perfino dell’America», aveva interessato il Comitato dell’Associazione internazionale dell’ora a Parigi.

Affinché provvedesse a modificare l’orario di trasmissione delle notizie meteoriche e dei segnali orari. E diffondendoli «alle 22» perché quella appariva come l’ora più opportuna per la ricezione in ogni stagione, anche d’estate. Per dare ancora più peso alla richiesta, Paoloni volle interessare pure Augusto Righi. Questo nella sua qualità di membro della delegazione italiana presso il Comitato dell’Associazione internazionale dell’ora. Infatti il 27 aprile 1914 indirizzò una lettera all’eminente fisico, che lo stesso Paoloni definisce «primo padre della radiotelegrafia». E al fine di caldeggiare la proposta di unificazione delle trasmissioni dei radiogrammi meteorologici e dei segnali orari serali della Tour Eiffel.

Silenzi, colpi e scoppiettii

La stazione meteo di Vigna di Valle

Una volta installata la stazione radio a Montecassino, Paoloni si applicò, primo in Italia, agli studi dei disturbi atmosferici nelle trasmissioni radio. Infatti i disturbi alle ricezioni radio, che sono appunto determinati dalle perturbazioni atmosferiche e che possono essere più o meno forti, più o meno frequenti, consentono di fare delle previsioni meteorologiche.

Scriveva a tal proposito dom Bernardo Paoloni che ascoltando le trasmissioni radio. “In alcuni giorni regna una calma assoluta, in altri si sente un debolissimo ma continuo scoppiettio. E in altri questo è più forte e continuo ed è accompagnato da colpi secchi e prolungati. Altre volte, e cioè quasi ogni giorno, non si avverte il continuo scoppiettio, ma solo i colpi più forti. Dei quali se ne possono contare 1, 2, 10, 15 in un minuto intiero.”

“Questi colpi sono deboli o forti, secchi e brevi o abbastanza prolungati. Quando queste scariche raggiungono una certa intensità vengono registrate da un ceraunografo … ed allora annunziano che vi è qualche temporale lontano, che esso si sta avvicinando“. Inoltre la stazione radio serviva a Paoloni per captare i segnali orari e quelli radiotelegrafici meteorici trasmessi da Parigi.

Nonché le previsioni del tempo di Roma. Affermava Paoloni che uno dei vantaggi della stazione, «e neanche il principale», era rappresentato dalla «comodità di poter avere ogni giorno notizie meteorologiche di quasi tutto il mondo. E le previsioni che [erano] in grado di formulare gli Uffici Centrali di Meteorologia»

Duchi, papi e cardinali, tutti in visita

S.A.R. il duca d’Aosta Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta

La stazione di radiotelegrafia impiantata a Montecassino fu visitata da alte personalità della nobiltà italiana, ad esempio S.A.R. il duca d’Aosta Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta. Oppure del mondo cattolico, eminenti cardinali fra cui Achille Ratti che pochi mesi prima di salire al Soglio Pontificio con il nome di Pio XI, aveva potuto ascoltare «con un minuscolo apparecchio i primi vagiti della radiotelefonia». Era rimasto così favorevolmente colpito dal nuovo strumento di comunicazione che volle arricchire la Stazione radiotelegrafica di Montecassino donando un apparecchio. 

Dom. Bernardo Paoloni ebbe modo di instaurare amicizie non solo con eminenti personalità del mondo scientifico (come nel caso di Guglielmo Marconi) ma anche al di fuori. Fece infatti la conoscenza di David Herbert Lawrence, uno dei più importanti scrittori inglesi. Autore, fra l’altro, del romanzo L’amante di Lady Chatterley, divenuto uno dei classici della letteratura inglese del Novecento. Le vicende raccontate dal drammaturgo anglo-sassone sono ambientate in val di Comino tra Picinisco, Atina e Villa Latina.

I cui nomi nel romanzo sono stati cambiati dall’autore in, rispettivamente, «Pescolocascio», «Casa Latina» e «Ossona». David Herbert Lawrence assieme alla moglie la baronessa Frieda von Richtofen nel dicembre del 1919 recarono a Picinisco. Lo fecero alla ricerca di ispirazione e di un clima salubre, andando a soggiornare nella villa in stile vittoriano fatta costruire da Orazio Cervi, modello apprezzato a Parigi e Londra. E che oggigiorno riporta il nome di «casa Lawrence».

L’amicizia con Lawrence, quello della “casa”

Casa Lawrence a Picinisco

I coniugi avevano visitato varie località limitrofe ed erano anche saliti a Montecassino dove avevano avuto modo di conoscere d. Bernardo Paoloni. Nel dicembre 1921 i coniugi si trovarono di nuovo a Cassino su un treno a metà del viaggio presumibilmente da Roma e Napoli. Mentre il loro treno era in transito alla stazione ferroviaria, «in un momento di follia», Lawrence propose alla moglie di salire a Montecassino e passare la notte nel monastero.

Questo allo scopo di rivedere il loro amico benedettino. Ma Frida (l’«a-r», cioè l’«ape regina» come la chiamava lo scrittore) però scartò l’idea rabbrividendo al pensiero del «freddo terribile che d[oveva] esserci d’inverno nel massiccio monastero di pietra affatto privo di riscaldamento». Alla fine alla fermata del treno scese Lawrence soltanto per acquistare «caffè e dolci. Ci sono sempre cose buonissime alla stazione di Cassino: d’estate grossi gelati, frutta e acqua ghiacciata. D’inverno dolci squisiti che completano magnificamente un pasto».

Lawrence fece ritorno poi a Montecassino nel gennaio del 1922 per incontrare un suo amico, Maurizio Magnus, un giornalista nordamericano. Quest’ultimo dopo essersi separato dalla moglie, squattrinato e «in bolletta», aveva pensato «di rifarsi una vita vestendo l’abito benedettino». Tra le poche cose che aveva portato con sé a Montecassino c’era il dattiloscritto di un suo scritto intitolato Memorie della legione straniera. Aveva pensato di far scrivere l’introduzione all’amico Lawrence, come avvenne poi effettivamente.

In quelle pagine introduttive Lawrence scrisse della sua breve permanenza nel cenobio cassinese che ebbe modo, guidato da Maurizio Magnus, di visitare approfonditamente. Nonché «di arrampicarsi nella piccola torre di guardia, che adesso è un osservatorio». Tornò a rivedere quel monaco la cui figura gli era rimasta impressa nella mente, precisando che si chiamava «Don Bernardo». E descrivendolo come «un frate alto, con una bella tonaca nera, giovane, di bell’aspetto, cortese» che «aveva press’a poco» la sua stessa età.

Sapere del mondo pur vivendone fuori

Foto © Tonino Bernardelli

Il benedettino lo aveva accolto «con un rapido sorriso … e i suoi modi parevano vivaci e controllati, quasi fosse ancora uno studente». Tanto da aver l’impressione di sentirsi «come in collegio, tra compagni». Inoltre, tra le altre sensazioni provate nel corso di quell’esperienza, registrò «soprattutto il freddo» che si soffriva all’interno delle mura di Montecassino. Inoltre Lawrence ha offerto la definizione più calzante e appropriata della figura di d. Bernardo Paoloni.

Avendolo descritto come «il frate che sa tanto del mondo, pur vivendone fuori». Ecco allora che Lawrence fornisce due precipui aspetti legati al monachesimo: il freddo e la solitudine, la bassa temperatura che si pativa nei gelidi ambienti del monastero. Mentre con la stazione radiotelegrafica Paoloni captava notizie provenienti dal mondo. Ed ascoltate da solo in un Osservatorio ubicato nella parte più alta di un monastero sul cucuzzolo di una montagna ad oltre 500 metri sul livello del mare

Evacuare tutti: malgrado padre Matronola

l’abate Martino Matronola con il presidente della Repubblica Benedetto Leone

Quando i tedeschi subito dopo l’8 settembre giunsero a Montecassino, si vissero alcuni momenti di timore per la presenza di due militari dell’Aeronautica militare in servizio presso l’Osservatorio. Uno di essi immediatamente dopo raggiunse la propria famiglia, l’altro che si era legato sentimentalmente con una ragazza di Cassino visse, con quella famiglia e gli altri sfollati nelle vicinanze dell’abbazia.

I tedeschi imposero l’evacuazione coatta dei civili che si erano rifugiati a Montecassino, dando comunque la possibilità a un gruppetto di persone di permanere in abbazia a supporto delle necessità dei monaci. Quando questo accadde dom Martino Matronola avrebbe voluto inserirlo nella lista da sottoporre all’approvazione del Comando militare germanico. Ma non gli fu possibile non potendo includere anche la numerosa famiglia della ragazza.

Un aspetto paradossale delle vicende belliche viene dall’antenna dell’Osservatorio. Infatti a inizio del febbraio 1944 negli alti comandi alleati cominciò a porsi la questione della necessità del bombardamento di Montecassino. Questo sulla erronea convinzione della presenza dei tedeschi all’interno dell’abbazia che la utilizzavano per scopi militari. Uno-due giorni prima del bombardamento del 15 febbraio 1944 il comandante in capo delle forze aeree alleate, generale Ira Eaker, salì sul suo aereo da ricognizione biposto per un volo di ricognizione sul monastero.

La ricognizione di Frido e l’abbaglio

Il generale Fridolin von Senger und Etterlin apre la porta dell’auto che accompagnerà a Roma l’abate Gregorio Diamare due giorni dopo il bombardamento di Montecassino

Scortato da due velivoli, sorvolò l’abbazia a bassissima quota per una decina di minuti. Al rientro asserì di aver visto degli uomini in divisa entrare e uscire dall’edificio. Ma soprattutto di «aver notato un’antenna radio all’interno del monastero». Non furono scattate fotografie a suffragare queste affermazioni rilasciate in modo orale e non tramite un rapporto scritto. Ma che furono decisive per il bombardamento di Montecassino.

In sostanza l’antenna che il gen. Eaker aveva visto svettare dai fabbricati dell’abbazia altro non era che l’antenna dell’Osservatorio meteorologico scambiata per una antenna militare tedesca.

Dom Bernardo Paoloni, nato a Cascia il 23 luglio 1881, fattosi monaco a Montecassino il 28 maggio 1905, si trasferì nel monastero di San Pietro a Perugia nel 1931. E nel capoluogo umbro morì l’8 gennaio 1944. Mercoledì 12 gennaio 1944 la notizia della morte di dom Bernardo Paoloni giunse a Roma alla comunità benedettina che da qualche mese si trovava nella capitale italiana dopo l’evacuazione del monastero poco prima che arrivassero i distruttivi venti di guerra.

Il 14 gennaio nella cappella di S. Lorenzo della Basilica di S. Paolo fuori le mura, si celebrò il ricordo di dom Bernardo alla presenza del fratello converso ai SS. Cosma e Damiano (terz’ordine regolare di San Francesco). E con l’intervento dei monaci cassinesi a Roma. A dom Bernardo fu risparmiata la visione della distruzione dell’abbazia di Montecassino del 15 febbraio 1944.

Il saluto, il ricordo ed un convegno

Il reverendo dom Luca Antonio Fallica

A ottanta anni dalla scomparsa la figura di dom Bernardo Paoloni verrà ricordata con un importante convegno che si terrà a Cassino, Teatro Manzoni, martedì 5 dicembre 2023, a partire dalle ore 10. Convegno dal titolo La meteorologia, ieri e oggi. Bernardo Paoloni e il Centenario dell’Aeronautica Militare. E che vedrà i saluti di Enzo Salera, sindaco di Cassino, del colonnello Luca Graniero dello Stato Maggiore Aeronautica Militare.

Inoltre le relazioni di dom Luca Fallica, abate ordinario di Montecassino, su Fede e scienza: quale sfida per il monachesimo benedettino? Poi di Gaetano de Angelis-Curtis, presidente del Centro documentazione e studi cassinati-Aps, su L’osservatorio meteorologico di Montecassino e la figura di don Bernardo Paoloni, monaco scienziato. Del generale Paolo Pagano, già Servizio Meteorologico Aeronautica Militare, su La meteorologia aeronautica e le osservazioni aerologiche ai tempi di don Bernardo Paoloni.

Infine del ten. col. Daniele Mocio, Stato Maggiore Aeronautica Militare, su Analisi e falsi miti nella meteorologia dei giorni nostri: come avrebbe comunicato oggi don Bernardo Paoloni? Già, chissà come avrebbe comunicato…