Il Partito Democratico e il coraggio delle scelte dolorose

Foto: © Stefano Strani

Il post di Daniele Maura (Fratelli d’Italia) sul Lazio Pride ha innescato l’ennesima guerra di religione nel Partito. Ma il patto d’aula se lo è inventato Nicola Zingaretti alla Regione Lazio e perfino un “fuoriclasse” come Bruno Astorre è scivolato sul ruolo di Casapound. In realtà la domanda è semplice: recuperare l’identità o far prevalere le ragioni del governo a tutti i costi?

Chi ha ragione? Domanda banale, semplice ma sicuramente attuale e quanto mai vera. Chi ha ragione del Partito Democratico dopo il post di Daniele Maura sul Lazio Pride? (leggi qui Maura contro il Lazio Pride innesca la guerra interna nel Pd: fuoco amico su Pompeo).

Il consigliere regionale Sara Battisti ha detto che il Partito non può avere nulla a che fare con chi si fa beffe del Lazio Pride. (leggi qui Per il Pd è l’ora di agire. Niente da spartire con chi si fa beffe del Pride (di Sara Battisti). In tanti le hanno fatto e dato sponda: a cominciare dal segretario provinciale Domenico Alfieri. Mentre il presidente della Provincia Antonio Pompeo ha fatto prevalere la realpolitik: le deleghe di presidente del consiglio provinciale a Daniele Maura (Fratelli d’Italia) sono state affidate perché il centrosinistra non ha la maggioranza in aula. Ce l’ha il centrodestra: 7-6.

Poi si può discutere quanto si vuole sul ruolo delle Province, trasformate in enti di secondo livello, sul fatto che vengono amministrate cercando di superare i confini.

La realtà è che invece alla fine contano soltanto i numeri e in aula nessuno vuole e può andare sotto. D’altronde il patto d’aula se lo è inventato Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio ma adesso anche segretario nazionale del Partito Democratico. Anzi, all’inizio aveva perfino aperto ad una collaborazione con il Movimento Cinque Stelle. Và dato atto però che nel Patto d’Aula costruito in Regione Lazio (la collaborazione con il Gruppo Misto composto da un ex Forza Italia ed un ex Lega ora Udc), né Cangemi né Cavallari hanno mai fatto azioni imbarazzanti, nemmeno lontanamente paragonabili a quella messa in campo da Maura.

Inoltre, lo stesso Pompeo nel 2014 era stato eletto presidente della Provincia grazie al sostegno di Forza Italia di Mario Abbruzzese e del Nuovo Centrodestra di Alfredo Pallone. Adesso però è il Partito Democratico a doversi chiedere cosa fare davvero. Perché il 22% è sicuramente meglio del 18% di un anno fa, ma resta una percentuale irrilevante per pensare di poter costituire una alternativa di governo. E oggi i flussi elettorali si spostano rapidamente e in blocco.

Il campo di azione resta quello del centrosinistra, come ha dimostrato il lieve recupero di qualche settimana fa. Ha ragione chi dice che sono stati recuperati alcuni dei voti andati a Liberi e Uguali. Ma certamente è complicato convincere gli altri che si torna al centrosinistra se poi ad ogni livello si è “costretti” a fare accordi con Forza Italia, con il Movimento Cinque Stelle e perfino con Fratelli d’Italia.

Il nodo lo può sciogliere soltanto Nicola Zingaretti, il segretario. Perfino dando l’esempio nel Lazio. Perciò alla fine la domanda è: far prevalere la logica del governo o quella dell’identità in qualche modo perduta?

Il Pd tornerà davanti e dentro le fabbriche. Lo ha detto proprio Zingaretti. Ed ha ragione. Ma certe scivolate devono finire, altrimenti si resterà sempre sospesi in un limbo irrilevante politicamente. Può capitare ai migliori di scivolare. Perfino al senatore e segretario regionale Bruno Astorre, che qualche mese fa diede un giudizio non del tutto negativo sul ruolo che svolge Casapound nelle periferie italiane.

Ma ora il Pd deve dire e dimostrare da quale parte collocarsi.  Evitando di farsi del male da solo.