Marco, gli scatti d’artista ed il terrore delle Brigate Rosse (di F. Dumano)

Foto: © Archivio Piero Albery

La passione di Marco Schirinzi per le foto, l'università a Pisa, la spensieratezza interrotta dal piombare delle Brigate Rosse sulla scena. Anche in provincia di Frosinone.

Fausta Dumano

Scrittrice e insegnante detta "Insognata"

La location è Fuoriporta, il Belvedere e ovviamente ci sono anche io… Correva il ’77 e come correva. Alcuni soggetti della foto sono già finiti nei nostri ricordi.. C’è Paolo Scappaticci (leggi qui Paolo, la borsa di Tolfa e la vita in Sud America), Ilaria di Spinaceto (leggi qui Ilaria, la periferia di Spinaceto e la lampada Osram), Claudio detto Coca Cola (leggi qui Claudio Coca Cola, i suoi ricci, il collettivo, il diario di viaggio finito a carta igienica). Questa volta fissa lo sguardo sul ragazzo con gli occhiali: Marco Schirinzi il nostro Tano D’Amico del tempo.

Liceo classico, poi all’università a Pisa: Marco viveva a  Fontana Liri e viaggiava con un motorino… Al tempo aveva la passione per le foto, passione che ha coltivato così bene che oggi è un fotografo professionista.

Ricordi in bianco e nero, con Marco raccontiamo una pagina dolorosa ed inquietante: in quegli anni all’improvviso arrivò il terrorismo. Noi dicevamo ”Nè con lo Stato né con le Br…” Ma all’improvviso scese la scure della repressione. Una mattina ci svegliammo con dei grossi titoloni:

”Arrestati i brigatisti ciociari”.

A catena, nei giorni seguenti ci fu una raffica di perquisizioni, bastava un’agendina telefonica con dei numeri, qualche foto. Quell’anno  furono arrestati dei giovani, era scattato un famoso Teorema così fu chiamato.

Ovviamente attorno a Marco e ai giovani nacque una forte rete di solidarietà. Lo stesso Teorema, un giornale culturale che veniva pubblicato ad Arpino, scese in campo a difendere il giovane Marco. Dopo poco Marco tornò in libertà così come gli altri giovani.

Il terrorismo nella nostra terra ha lasciato segni sanguinosi. Nello stabilimento Fiat a Cassino venne assassinato il maggiore Carmine De Rosa, l’ondata di attentati è culminata poi con l’uccisione del procuratore Fedele Calvosa a Patrica. L’ala creativa del movimento, gli Indiani Metropolitani vennero fagocitati, silenziati. Anni di piombo furono definiti e… la voglia di cambiare il mondo fu silenziata. Ci si rinchiudeva a casa, tanto che la generazione dopo fu chiamata quella del ”reflusso”. Il Tempo delle Mele prendeva il posto di ”Porci con le ali” di Lidia Ravera…

Marco in quegli anni non aveva solo la passione per la foto, suonava la chitarra  come tanti… ma sapeva anche cucinare. Il fatto che poi andasse all’università a Pisa aveva allargato i nostri confini. Marco non solo scattava le foto, ma le sviluppava lui: e la Camera Oscura era un’arte tanto quanto lo scatto, calibrare i misurini con gli acidi, stemperarli con la giusta proporzione di acqua, variare di mezzo secondo i tempi di permanenza… Avere una foto in bianco e nero del laboratorio di Marco era un must.

Ricordi in bianco e nero… Marco era un intellettuale già all’epoca, ti incantava e stupiva con dotte citazioni, ma era anche quello più attento alle istanze del movimento femminista: non solo perché citasse prima compagne e poi compagni, ma la sua attenzione era addirittura nello sparecchiare la tavola e i piatti lavati. Ricordi in bianco e nero: Marco era insomma ”uno da sposare” ma non lo sapevamo. Era ecologista e condannava l’uso dei bicchieri di carta che cominciavano a sommergerci.

Oggi Marco è un fotografo affermato, basta digitare il suo nome in rete ed esce un curriculum pieno di riconoscimenti. Nei traslochi della mia vita ho conservato come reliquie i suoi scatti. Nell’archivio di Piero Albery ci sono tante foto di  Marco: il politico, l’impegnato alle manifestazioni… Ma io ho scelto volutamente una che narra la spensieratezza, la gioia dello stare insieme…