Quando Pertini mandò a quel paese quello strano Carabiniere-dittatore

Esattamente 54 anni fa Siad Barre prese il potere. Era stato nell'Arma ed era socialista, ma a modo suo: come tutti i tiranni

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

A dargli una sveglia maiuscola, a Siad Barre, ci pensò Sandro Pertini, che all’occorrenza sapeva essere incazzoso come pochi. Narra una fonte, attendibile come solo Giulio Andreotti sapeva essere attendibile, che tutto accadde durante una visita al Quirinale. Era l’11 settembre del 1978 e si andava di brindisi d’ordinanza tra il Presidente della Repubblica più socialista che socialista non si può ed il Presidente della Somalia, socialista da coccarda. Raccontò a suo tempo Andreotti: “Nel brindisi, alla colazione nel torrino del Quirinale, Pertini ebbe la strana idea di chiedere scusa ai somali per quanto fatto dagli italiani. L’ospite rispose che verso l’Italia non avevano che gratitudine; e che – Pertini si rannuvolò bruscamente – nel 1935 erano stati gli etiopici e non i fascisti a provocare la guerra.

Insomma, quel Carabiniere marcava male, anzi, malissimo, e il Capo dello Stato più amato di sempre la prese d’aceto. Come, lui chiedeva scusa per le guerre coloniali del fascismo e il rappresentante (su carta) degli oppressi medesimi proprio del fascismo si faceva agiografo? Il Presidente con la pipa aveva voluto essere cortese e, partigiano nell’anima, aveva mischiato un po’ le carte fra Italia giolittiana e Italia in camicia nera.

Andreotti racconta: come far arrabbiare un socialista

Pietro Nenni e Sandro Pertini al XXXV Congresso del PSI nel 1963 (Foto © Fondazione Nenni)

Una ruffianata insomma, condita dal claim a cui Pertini, antifa viscerale, non avrebbe mai rinunciato in vita. Barre lo spiazzò e disse che era stato grazie “ad esso” che la Somalia era risorta come comunità. Cioè o grazie al colonialismo o grazie al fascismo, due cose che a Pertini gli facevano salire il mitra come quando faceva fare allo stesso i gargarismi intimidatori sotto il Covo Nero-prigione di via Tasso a Roma.

Sempre Andreotti ebbe a raccontare: “Nel suo libro di memorie, Antonio Ghirelli, allora capo dell’ufficio stampa, dice che il presidente ebbe più tardi parole durissime”. Le ebbe “all’indirizzo di ‘questo eritreo (!) che aveva studiato l’italiano nel mattinale dei carabinieri‘”. E qui si innesca un piccolo giallo. Come faceva un presidente-dittatore ad essere anche e di fatto un Carabiniere?

Innanzitutto non era un eritreo ma un somalo, solo che Pertini aveva mixato le guerre coloniali ed aveva messo in frullatore tutto, Adua col maggiore Galliano ed il “Posto al Sole” di imperiale memoria. Però sì, Mohamed Siad Barre era un Carabiniere a tutti gli effetti. Vediamo come. Il 19 ottobre del 1969, 54 anni esatti fa, “Grande bocca” prende il potere. Quel nomignolo se lo era guadagnato perché pare avesse un appetito clamorosamente gagliardo, e non solo di cibo. I Paesi africani sono stati governati con piglio più o meno dittatoriale un po’ da tutti.

La “Grande Bocca” e l’Arma di Firenze

Giulio Andreotti (Foto: Alessandro Paris © Imagoeconomica)

Pazzi patentati, caporali passati colonnelli in un lampo, ex impiegati psicotici. E mica è finita: a comandare trucidi ci sono andati medici col pallino delle fuoriserie, pastori e perfino negromanti cannibali. Uno di questi Paesi però queste variegate governances le batte tutte, dato che ebbe come presidente un Carabiniere, anzi, un ufficiale dei Carabinieri, anche se con grado maggiorato in scatto di uscita dal Spe, servizio permanente effettivo. Il sottotenente dell’Arma in questione aveva frequentato la scuola allievi sottufficiali carabinieri di Firenze negli anni ’50 prendendo poi la stella. Siad proveniva dagli Zaptiè, i membri della Benemerita reclutati dall’Italia fra gli indigeni fino al 1942 in Eritrea, Etiopia e Somalia.

Siad Barre era appunto somalo, anzi somalo, carabiniere e pure marxista incazzato. Questo almeno prima di diventare un supporter abbestia dei Paesi atlantici, il che porta la faccenda ad un livello tale di confusione da rasentare le convulsioni. Ma in Africa le cose sono sempre andate così: le etichette e gli appeasement non sono mai troppi. E la loro convivenza forzosa non è mai sconcio, semmai è tutta ciccia che “fa curriculum”.

Da figlio di un pastore a macellaio

Siad era figlio di un pastore dell’Ogaden, una regione talmente misera e pelata da essere icona di desolazione. Uno spicchio di pianeta in cui sei capre e un’amba – altura tronca ai cui piedi spesso sgorga uno zampilluccio che annaffia sterpaglie commestibili al più per una mietitrebbia – fanno un capitano d’industria. Durante il dominio coloniale tricolore Siad, che era volenteroso e soprattutto portato per la rigidezza innata dei militari era arrivato al grado di sciumbasci. Sarebbe stato una specie di brigadiere, il massimo a cui un indigeno potesse aspirare in un’epoca in cui il razzismo era setaccio strettissimo.

Nel 1960 le sue conoscenze delle tecniche di polizia gli diedero input e fortuna sufficienti per una serie di cose che cambiarono la sua vita. Approfittare dell’indipendenza per scalare le gerarchie, farsi generale ed ordinare soppressioni e rappresaglie. Poi prendere “democraticamente” il potere e addestrarsi con ufficiali sovietici che gli attaccano la malattia del socialistese in salsa afro.

Era quello strano mix, miccia di tante primavere arabe poi fallite, della serie “tutti i cittadini sono uguali” purché siano maschi, meno uguali di me che li comando e pronti a farsi bastonare dalla mia polizia.

I soldi di Bettino Craxi, tanti

Quello fu un passato-presente di gloria ed orrore: Siad Barre costruisce scuole, ospedali e caserme (non necessariamente in quest’ordine) e come nelle ammucchiate dei film sconci si struscia sia agli Usa che all’Urss. Di quell’epoca celebri sono le foto mentre tracanna pentole intere di wat, piccantissima salsa-spezzatino di carne ovina locale.

Bettino Craxi Foto © Imagoeconomica / Carlo Carino

L’America è il secondo amore di Siad, dato che nella guerra per il controllo dell’Ogaden, la sua terra di origine di fatto etiope, zio Sam lo abboffa di miliardi. Miliardi che gli arrivano anche da Bettino Craxi, circa 500.

Erano tutti e due Segretari del Partito Socialista, solo che l’africano era a corto di fondi e socialista “in purezza”, cioè suscettibile alle lusinghe Urss. Perciò l’allora presidente del Consiglio, che in parte era atlantista, se lo tenne buono con camion di soldi. Su quei fondi gravava una cappa di sospetto, anche perché arrivarono in sincrono con la stagione di sangue della Somalia. Quella cioè in cui Barre scatenò la sua polizia segreta contro gli indipendentisti Isaak del Somaliland che non volevano più dipendere da Mogadiscio.

Duecento fosse comuni ad Hargeisa

I presidenti Siad Barre e Sandro Pertini

Quei fondi erano “un terzo a Siad Barre, un terzo alle sue forze armate e un terzo a non ben identificati ‘mediatori'”. Franco Nofori spiega che “le forze di repressione somale massacrarono decine di migliaia di persone e la città di Hargeisa fu quasi completamente distrutta. Si stima che, tutt’oggi, nella periferia di Hargeisa, vi siano oltre duecento fosse comuni, tali da far meritare alla zona, il nome di ‘Valle della morte’”.

Ma il dittatore alla mistica tutta tricolore non ci sapeva rinunciare, dopotutto si sentiva ancora un carabiniere. Barre, amante delle iperboli, amava definire la Somalia la “ventunesima regione italiana”.

La sua parabola finì male, anzi malissimo, in Nigeria e per ironia giusto mentre quella di Craxi terminava con Mani Pulite. Finì con una Somalia ancora oggi consegnata al caos e nella quale molti italiani in divisa sono morti, come ci ricorda la tragedia del Check Point “Pasta” del 2 luglio 1993. Tuttavia il dittatore amato dal sindaco di Milano Pillitteri fece in tempo, prima di sloggiare da poltrona e novero dei viventi, a far sparare sulla folla durante una partita di calcio con cori non graditi. Poi a fare ammazzare 80mila dissidenti e a torturarne qualche migliaio in maniera very creativa, alternando il Manuale Kubark della Cia ai libelli siberiani del KGB.

Lucia Annunziata e il “rivoluzionario”

Alessandro Di Battista con Lucia Annunziata

Lucia Annunziata, pur non lesinando critiche nette ma sindacali alla sua dittatura, lo salutò come un affrancatore dal “bieco colonialismo europeo”. Non contenta, lo accostò al “rivoluzionario Hailè Selassiè”, che invece di rivoluzionario non aveva un tubo. Questo dato che Selassiè era stato Negus d’Etiopia ed erede legittimo di una dinastia più vecchia degli Asburgo e che risaliva a Re Salomone.

Insomma, in quella brutta faccenda consegnata ai libri non ci capì nulla nessuno. Con un presidente che confuse due Stati e due periodi. Poi con un premier che scambiò l’atlantismo per finanziamento al terrore. Con una giornalista che per essere di sinistra usurpò la storia. E con un dittatore che per essere gradito all’Italia usurpò il nome dei Carabinieri.

Nome che di dittatori non ha mai avuto bisogno.