Restart from Foggia, per esorcizzare Vasto via Veroli: tra cene e speranze

La vittoria in Puglia ed il ritorno di un campo largo che Conte definisce "giusto" e nel quale Schlein vede più riscossa che sintomo di ripartenza slow.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

La geografia risorgiva del Pd è tutta scandita da posti che evocano genuinità di intenti ed onesta territorialità di un’Italia bella ma non appariscente. L’Italia media che veste bene ma non si griffa, che parla meglio di come appare ed appare meno di quel che è. Che lavora e non briga, che fa economia e non finanza e che se magari muore Staino tira un sospirone mesto perché sa che è morta una parte di lei. In una parola, quell’Italia che il destracentro ha scippato alle indecisioni del Pd nel tenersela strettastretta.

E’ come se a quei posti belli ma non fighi fosse stato assegnato il compito ausiliario ma importantissimo di sottolineare cose. Di incentivare magari come gli uomini e le donne che lì si stringevano mani e marcavano risultati avessero tutti un po’ della placida forza dei luoghi in cui agivano. Una speranza da osmosi etica, più che una certezza da travaso di genius loci, ma tant’è.

La prima foto: Di Pietro, Vendola e Bersani

Pier Luigi Bersani ed Elly Schlein

In principio era stata Vasto, ad inaugurare quella lunga stagione di speranze andate a crogiolo, molto in intenti ed un po’ meno a risultati. Era il 2011 quando Tonino Di Pietro, Nichi Vendola e Pierluigi Bersani fecero crasi alla festa dell’IdV per dare la spallata finale ad un Silvio Berlusconi tarantolato dallo spread e già mezzo kamikaze con la Severino. Non andò benissimo perché alla fine non la spuntò quella grosse coalition che aveva in comune solo l’ubbia per il Cav. E a Palazzo Chigi ci andò Mario Monti con cilicio e Fornero annessi.

I nostri tre ex moschettieri si ritrovarono perciò all’opposizione dopo una fiducia convinta ma ulcerosa. E dopo? La storia è recente: si crearono le condizioni per fare i rabdomanti sulla cartina geografica e trovare un’altra città che fosse simbolo di una nuova stagione di alleanze che coincideva con l’ennesima stagione di bisogni che o erano collegiali o erano fuffa.

Dal 2013 l’Italia era diventata pentastellata e quel ciclone aveva soffiato via tutto. Tutto ma non la voglia del Pd di prendere un posto e farlo diventare icona di ripartenza. Quella volta fu Narni 2019. Stesso copione ma alleato più forte e decisamente più irrequieto.

Speranza con Zinga e “Giggigno”

Nicola Zingaretti, Luigi Di Maio e Roberto Speranza suggellarono il “campo largo ante litteram” assieme ad un Giuseppe Conte istituzionalmente muscolare ma ancora burba da retrovia in punto politico. Mancava Matteo Renzi che come tutti i sornioni fatti e finiti aveva capito che lì uno come lui sarebbe andato a macello populista. E che c’era solo un modo per far capire che il vero spirito prog era morto con lui: far morire quello del Pd dopo lui nella broda di un’alternativa possibile ma complicatissima.

La sua scusa fu candida: “Noi per le Regionali non corriamo”, ma le impronte digitali di un rifiuto strategico restarono tutte.

Se uno poi volesse passare in modalità Teche Rai la retromarcia sarebbe doverosa ma breve per trovare un’altra foto, quella di Piazza santissimi Apostoli con Romano Prodi. Allora, era il 2006, roba da Cambriano, spuntarono due cose: una vittoria sul filo di lana sul Cav e, nella notte, il beneaugurante arresto da parte dello Sco di “Binnu” Provenzano. Insomma, ci sono posti legati alla mistica dei dem più di quanto una certa mistica non consenta per davvero. E l’ultimo di questi posti è Foggia.

Dalla tenuta alla vittoria è un attimo

Elly Schlein e Giuseppe Conte a Firenze (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Nelle ore scorse Salvatore Merlo ha reso il clima su Il Foglio in maniera magistrale. Prima il claim del Pd, quello costretto ad arretrare e buscarle ogni volta che il suo correntismo lo puniva prima degli avversari, era quello della “sostanziale tenuta”. Tradotto: le hai prese ma non tanto da fare debacle, ma sì, le hai prese perché il Pd dovrebbe darle e non finirla ai punti. E quella parolina magica invece, “Foggia”, ha sovvertito tutto. Lo ha fatto perché – udite udite – lì stavolta ha funzionato. I dem hanno fatto massa con il M5s e sul podio di sindachessa ci è salita Marida Episcopo.

Qui poi è partita tutta una mistica devozionale e retorica, perché lei è la “prima sindaca donna di Foggia” (manco le donne sindaco fossero il dodo, ma dai…). Poi perché lei è il risultato di quello che un Giuseppe Conte in orgasmo tutto indigeno ha definito il “campo giusto”.

Sarebbe quel campo largo progressista che è resuscitato dalle brume di decine di patti rotti e, di Enrichi Letta piallati, di strade vetrose e rammarichi capitolni e laziali ancora forti. Giusto in tempo tuttavia per dare birra all’opposizione di Giorgia Meloni & co.

Foggia ultima frontiera dem o prima?

Foto: Leonardo Puccini / Imagoeconomica

Va bene così, va benissimo, ma ci sono fumi da dissipare. Abbiamo uno slogan? Ma certo, e non poteva che essere quel belluino “abbiamo fermato le destre… a Foggia”, tipo la battuta finale del film su El Alamein. Ecco. I soliti spiritosi ricorderanno con sciocca pignoleria che c’è stato un momento “in cui anni fa si doveva ripartire da Vasto, ma non andò granché bene“.

Senza scomodare tutti i vari “ripartiamo” da Vicenza, Campobasso e similia il rischio di questa vittoria tonda è un altro. Che essa possa essere considerata più di quello che già nella sua perfezione è stata: un successo. Successo che però adesso e secondo narrazione forte e stiticamente farlocca dovrebbe diventare più di quel che è a tre dimensioni: un “la”. Una sorta di chiave di violino per inaugurare lo spartito della riscossa universa del centro sinistra su un destra centro che sta messo peggio di quando è salito ma meglio di come lo si vorrebbe descrivere.

C’è un’altra narrazione che sta messa giusto sotto l’epidermide di questo snodo-chiave in cui i dem gioiscono a ragione e senza sperdersi in carpiati dialettici: è la gastronomia. Il “Patto della crostata” ce lo ricordiamo tutti no? A vendemmiare quella definizione dalla vigna del vocabolario ci pensò Francesco Cossiga buonanima a settembre del 1997. Lì si parlava di riforme, non di voto e l’accordo per quelle costituzionali lo strinsero Massimo D’Alema, Franco Marini, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Sullo Statuto del M5S poi fa fede e menu il pranzo a Marina di Bibbona da Sauro il Bolognese: spigola al forno per non pensarci più, alla dicotomia già palese, e via “fino al 2050”, chiosò un arrembante Beppe Grillo.

Momenti belli ma troppo simbologici

Elly Schlein (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

Il senso è che c’è tutta una letteratura “frivola” per cui certi momenti della politica italiana diventano iconici senza avere la patente di iconicità. Al massimo portano male via. Lo fanno scavalcando quelle precondizioni modeste ma inoppugnabili per cui una cosa è sì accaduta ma non dà necessariamente input ad alcuna riscossa di massimo sistema.

Il caso di Foggia è esemplare: sono amministrative e lì vince chi “tira” di più in un sistema chiuso, non chi rimanda meglio l’eco delle grandi contraddizioni nazionali dell’avversario.

Però quei passaggi bisogna in un certo senso marcarli, con un menu, con un posto, con una fase chiave e con una allocazione simbolica che sta in piedi solo nelle teste di chi prova a fare pubblicistica esagerata.

La “cena della pecora” a Veroli

A Veroli ad esempio sono giorni che si parla della “Cena della pecora”. Una riunione tenutasi venerdì scorso a base di quella pietanza che in Ciociaria è iconica e che era stata riesumata – solo in dialettica – nel corso della Festa dell’Unità di settembre. Anche lì pare si voglia andare a crasi numerica per succedere in comodità alla sindacatura di Simone Cretaro ed anche lì il cibo è icona di un tentativo che non necessariamente porterà alla gloria. In quel contesto, che è di “assaggio”, hanno operato per adesso ambasciatori dem ma ambasciatori di rango, persone autorizzate in caso a stringere accordi.

Ed a parlare in nome di chi tra qualche mese sarà in prima linea di cimento. Su Foggia Elly Schlein ha video proclamato: “Da oggi Foggia può scrivere una pagina di futuro diverso, questa è la dimostrazione che uniti si vince”. Uniti ma non troppo, a contare che sul palco i due leader non ci sono andati in sincrono. Come a dire “se perdiamo ognuno tirerà stracci all’altro e se vinciamo ognuno si canterà i suoi Gloria.

Ma la sintonia di intenti deve bastare e nel caso di Foggia è andata a bingo. Salvatore Merlo che è meravigliosamente malvagio chiosa con un gemma.

L’importanza di essere Praia a Mare, o Veroli

“Disse l’onorevole Di Donato allorché la Dc crollava nel 1993: ‘Certo, abbiamo perso Roma, Milano, Napoli, Venezia, Palermo… Ma ci sono anche segnali incoraggianti. Penso ai successi di Gerace, Pizzo Calabro e Praia a Mare’”. Di Donato sbagliava perché le vere riscosse sono sempre pop e provinciali, e perché l’Italia quella è: un’unica, fratta e bellissima Provincia.

Foto © Andrea Apruzzese

Ma serve di più che usare il pennello di episodi positivi per affrescare pareti intere. Veroli darà molta più cifra di posti più quotati, ad esempio, con il suo voto locale, ma se lo terrà come risultato indigeno, al più di collegio.

Serve che quelle pareti splendano dei colori accesi di quando c’è una linea vincente perché omogenea e multitasking. Buona per Foggia come per Roma e altrove. Sennò, come quelle foto insegnano, da crostata a soufflè bruciato è un attimo.