“Sì al fine vita e alla libertà di pensiero”: essere Dem secondo Fantini

Il segretario dem di Frosinone spiega, Statuto alla mano, che sul caso Bigon c'era e c'è una rotta. E semmai che a mancare è stato il Parlamento

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

“Sono per la regolamentazione del fine vita. E’ una battaglia di civiltà e una risposta alla crescente richiesta da parte dei cittadini di rispetto per la propria libertà”. Il primo tratto di evidenziatore di Luca Fantini è etico. Etico e netto. “Bene l’impegno del Pd su questo tema”. E il secondo è più etico ancora, se possibile, perché chiama in causa la polpa di un Partito che avrà pure il difetto di un pluralismo a volte caotico, ma non ha il peccato originale dell’incoerenza sulla ragione stessa del suo esistere come sistema complesso. Si chiama “Partito Democratico” e non può rinnegare quell’attributo che fa la differenza, mai.

Il Pd non ha le franchigie della destra, che per paradosso vive della democrazia che un tempo rinnegava. Esso è nato democratico e democraticamente deve viaggiare, sempre, comunque, con la fierezza dei pionieri e le vie sdrucciole dei veterani. “Sui temi etici esiste la libertà di coscienza. È lo stesso statuto del Pd a sottolinearlo. Il Pd è un partito plurale, l’unione e l’inclusione sono (suoi) tratti distintivi”.

Chiarezza invece che confusione

Luca Zaia (Foto: Sergio Oliverio © Imagoeconomica)

Ma il tratto più marcato è stato quello di una serena chiarezza in un momento politico che paga pegno all’entropia ed ai soliti minuetti polarizzanti all’italiana. E che quella chiarezza sia stata “ciociara” dà la cifra di quanto il nuovo corso del Pd laziale sia marcatamente definito. Senza fronzoli, senza tentennamenti. E senza alcuna remora identitaria o timore di addentare polpette avvelenate come quella avvelenatissima del caso Bigon in Veneto.

Un caso che è costato l’iter legislativo con cui Luca Zaia avrebbe voluto normare il fine vita grazie anche al voto di una esponente dem poi messa in graticola a mo’ di “braciola eretica”. Premessa doverosa: ogni volta che il Partito Democratico si trova sulla linea del fronte della sua fisiologica natura composita scattano due meccanismi. Il primo è quello di un certo “imbarazzo interno” nell’andare a governo di faccende a volte contraddittorie o quanto meno complesse. Qui tocca crescere e tanto.

Il secondo è quello di una certa “soddisfazione esterna” di chi quell’imbarazzo vorrebbe cavalcarlo. Ecco, in un solo colpo Luca Fantini ha scalciato via entrambi gli scenari, a dire il vero tutti e due mesti, e sul caso di Anna Maria Bigon ha fatto chiarezza. Netta, inequivocabile e con un valore aggiunto: quello paradigmatico di un segretario di Federazione, quella di Frosinone, che ha parlato chiaro su una faccenda che di chiarezza ne aveva riservata ben poca. Sia sul fronte procedurale che su quello delle risposte politiche.

Smeriglio molla, Castagnetti e Delrio furiosi

Massimiliano Smeriglio (Foto: Rocco Pettini / Imagoeconomica)

Questo a contare che dal Nazareno in questi giorni non sono arrivati documenti ma mediazioni lodevoli anche se un po’ ansimanti. Strali sì, di quelli ne sono arrivati a mazzi. Da parte dei Partiti avversi ai Dem che hanno gigioneggiato sull’ovvio cortocircuito etico tra cattolici e laico-massimalisti. Cioè ed a ben vedere sulla possibilità di mettere un piede nella porta di una presunta debolezza che a saperla gestire invece è ricchezza. Poi da parte di esponenti dell’area moderata, con un Massimiliano Smeriglio che ha “mollato” il partito in accesa polemica con la decisione del segretario di federazione Franco Bonfante.

L’europarlamentare del Lazio non ha gradito affatto la “decisione tutta interna” alla Federazione provinciale di Verona di esautorare la Bigon da suo ruolo di vice segretaria. Come d’altronde non ha gradito l’intero universo catto-dem, da Graziano Delrio a Pierluigi Castagnetti. Quest’ultimo, padre fondatore lingottiano, era stato caustico. “Così mettono in discussione l’intera architrave del partito. Ma dove vogliamo arrivare? Non c’è disciplina politica che tenga. La sensazione è che si sia voluto colpire uno, per educarne cento. Il Pd è un bene comune. Questa segreteria spesso lo dimentica”.

Ka-boom sul capo di Elly Schlein, dunque. La cosa è andata a rollio e beccheggio così per giorni, con molti organi di stampa vicini al destracentro che hanno rispolverato il claim truculento e di iperbole vagamente cretina delle “purghe staliniane”. Insomma, serviva un parere che fosse: ufficiale, di rango politico equipollente a quello in cui era maturato il “casino” e soprattutto coraggioso, a contare di quale ginepraio si stesse parlando. Bisognava far luce sul punto di crasi tra diritto al dissenso e dovere/opportunità di seguire una linea omogenea e plurale al contempo.

La linea dettata a luglio da Leodori De Angelis

Francesco De Angelis e Daniele Leodori

Una linea che è eticamente cardinale per il Pd, linea che a Frosinone era stata messa a terra anche in forza della rotta strategica impressa da Daniele Leodori e Francesco De Angelis al Congresso regionale. Un evento che aveva eletto il primo Segretario laziale ed il secondo Presidente. Era successo a luglio, con Fantini che aveva azzerato la segreteria di allora ed aveva lanciato il format giusto, e le cose giuste non sono mai facili.

Quello di essere plurali al punto da essere inclusivi ma mai al punto da essere divisi. Molto più che una soluzione per capitalizzare ovunque e comunque, piuttosto una via che è l’esatta carta di identità di un Partito che ha al suo interno tante idee e che è fiero di metterle a (difficile) crasi senza generare frizione.

Sull’onda di quel format etico-strategico Fantini ha voluto perciò dire la sua sul caso Bigon. Non si è tirato indietro e non ha messo a stendere pannicelli caldi. “Ho seguito ovviamente con molta attenzione la vicenda di Anna Maria Bigon, la consigliera regionale veneta del Partito democratico che con la sua astensione in dissenso con l’intero gruppo Pd ha contribuito ad affossare la proposta di legge sul fine vita.

Libertà di coscienza, Statuto alla mano

Luca Fantini e Sara Battisti

Andava fatto un preambolo tecnico. “Per approfondire la questione credo sia necessaria una premessa: la legge in discussione presso il consiglio regionale del Veneto avrebbe meramente regolamentato, e quindi non introdotto, il suicidio assistito. Una possibilità che “in Italia è già garantita dalla sentenza 242/19 della Corte Costituzionale”.

E ancora: “Le polemiche dopo la scelta della Bigon sono state molte e i vari spunti di riflessione molto interessanti. Personalmente sono per la regolamentazione del fine vita. La considero una battaglia di civiltà e una risposta alla crescente richiesta da parte dei cittadini di rispetto per la propria libertà. Quindi bene l’impegno del Pd su questo tema”.

C’è però uno snodo cruciale. “Di contro, tornando al caso specifico oggetto di questo intervento, sui temi etici esiste la libertà di coscienza. È lo stesso statuto del Pd a sottolinearlo. Il Pd è un Partito plurale, l’unione e l’inclusione sono tratti distintivi e rappresentano il fondamento stesso del Partito democratico. Sono dunque contrario alle ‘punizioni’ sulle idee e bene ha fatto la segreteria nazionale a mediare dopo le iniziali proteste.

Il tema chiave è questo: tra i dem e per quelli come Fantini nessuno deve pagare per le proprie idee, anche quando si parla di idee antitetiche a quelle di una parte congrua del partito ed alla conseguente “linea”. Linea che però resta un’opzione, mai un ukase.

Il vecchio cortocircuito Legge-Legiferatori

Sì, ma allora perché la Bigon è stata sottoposta ad un provvedimento? “La verità è che molto spesso a livello locale si è costretti ad iniziare discussioni per colmare il vuoto dato dal grande assente di turno, ovvero il legislatore nazionale.

Palazzo della Consulta, sede della Corte Costituzionale

Ed è vero: sul fine vita la Consulta sta praticamente cazziando gli esecutivi da fine 2019 a suon di giudicati netti e chiosa di dispositivi. Spiegando che quando la politica legiferativa si accomoda sul battistrada della Giustizia qualcosa non va. La Legge applica quel che il Parlamento norma, non è mai il contrario e se accade il sistema è guasto. “Si agisca nel Parlamento nazionale per recepire la sentenza della Corte. Su questo siamo tutti d’accordo. Sui diritti, come Pd, saremo sempre in prima linea.

Non era difficile dirlo ma non tutti lo hanno detto. Perché ci sono due modi di trattare una polpetta avvelenata. Non addentarla proprio oppure morderla sapendo che il veleno è altrove. E metterci la faccia, come Luca Fantini.