Stellantis, l’inizio della fine del vecchio modello Fiat

Stellantis annuncia 1.000 esuberi alla Sevel. È la conferma dell'allarme lanciato nei giorni scorsi da Unindustria per Cassino Plant. Ma nessuno si è mosso. Nessuno ha reagito. Quei silenzi che condannano il territorio. E le cifre della nostra disfatta.

Alessio Porcu

Ad majorem Dei gloriam

L’inizio della fine parte da uno stabilimento che fino a pochi mesi fa era un gioiello: la Sevel di Atessa è sempre stato uno dei plant Fca indicato come capolavoro di efficienza. I guadagni venivano da lì perché la qualità del prodotto ed i volumi erano alti, il borsino dei direttori vedeva destinati in Abruzzo quelli più capaci nell’organizzazione dei grandi numeri e delle economie di scala. La fine del vecchio modello Fca e l’inizio della nuova geografia Stellantis inizia da lì: Il gruppo ha annunciato circa 1.000 esuberi alla Sevel. E sul destino Cassino Plant, che appare sempre più chiaro, l’unica a non capire e restare in silenzio è la politica.

Rimane in silenzio perché non ha ancora capito che il mondo è cambiato. Che è finita l’epoca di Fiat dove la geografia era tutta italiana. Con Fca è diventata mondiale ed ora con Stellantis è globale. Significa che la scala dei valori sulla quale ragionare qualche anno fa è superata: ed uno stabilimento che sulla mappa Fiat era straordinario invece rischia di essere l’ultimo nella nuova mappa disegnata dalla fusione con i francesi di Psa.

L’allarme ignorato di Unindustria

Francesco Borgomeo

Il presidente di Unindustria Cassino Francesco Borgomeo lo sta dicendo da mesi: produrre a Cassino, in queste condizioni, a Stellantis non conviene. E converrebbe ricordare che a fare l’analisi è l’uomo che da vent’anni guida una società all’avanguardia per la consulenza e l’intervento nelle riconversioni e ristrutturazioni aziendali; ha sviluppato una grande expertise nell’attrazione di investimenti, assistendo diverse multinazionali nella definizione di progetti comunitari per lo sviluppo di piccole e medie imprese, ma anche di fusioni, acquisizioni e partnership industriali. Tra i clienti di Borgomeo arrivano a figurare player di grande prestigio come Enel, Eni, Wind, Glaxo Smith Kline, IBM e Hewlett Packard.

Nei giorni scorsi è arrivato a lanciare un messaggio che in pochi hanno compreso. La proposta di realizzare un termovalorizzatore in ogni polo dell’Automotive italiano per produrre energia elettrica a basso costo e togliere a Stellantis uno dei pretesti chiave per andare via e delocalizzare, in realtà era un’ultimo segnale d’allarme lanciato a chi deve decidere le politiche industriali sui territori. Per fargli capire che ormai e tardi e l’inizio della fine è dietro l’angolo: sta per iniziare un nuovo modello. (Leggi qui Qualcuno faccia una proposta ora per Stellantis… o sarà tardi).

Il silenzio dei politici locali

Il ministro Roberto Cingolani (Foto via Imagoeconomica)

Chi ha capito quel messaggio? Chi ha risposto al segnale di Borgomeo? E chi ha chiesto un approfondimento con il presidente di Unindustria Cassino? Se si chiede l’agenda dei suoi impegni, si scopre che nessuno dei 4 parlamentari della Lega eletti dal territorio si è scomodato: eppure c’è un ex sottosegretario papà di Quota 100 e c’è un deputato che due anni fa assicurava un futuro solidissimo per Cassino Plant in quanto lì ci lavorano i suoi geniori. Non ha alzato il telefono per capire cosa stesse accadendo nessuno dei 3 parlamentari eletti dal Movimento 5 Stelle in provincia; eppure c’è un sottosegretario alla Transizione Ecologica.

Il paradosso vuole che l’unico a chiedere un focus sia stato il senatore Massimo Ruspandini di Fratelli d’Italia; che sta all’opposizione.

Eppure poche ore dopo la provocazione lanciata da Unindustria Cassino è arrivata una conferma concreta. Quella del ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani, partecipando al convegno della Cgil a Genova: “Lo scorso trimestre la bolletta elettrica è aumentata del 20%, il prossimo trimestre aumenta del 40%. Tutto questo succede perché il prezzo del gas a livello internazionale aumenta“.

Che sia drammaticamente tardi hanno iniziato a comprenderlo in regione Lazio, sponda M5S: Devid Porrello, Consigliere M5S e Vicepresidente del Consiglio Regionale del Lazio nelle ore scorse ha detto: “Non possiamo farci trovare impreparati alla sfida delle rinnovabili, dobbiamo accelerare sulle nuove tecnologie ed essere in prima linea in nuovi progetti ambientalmente ed economicamente sostenibili, senza doverci trovare per l’ennesima volta a rincorrere un qualcosa che poteva e doveva essere programmato per tempo”.

La risposta fuori dal tempo

L’ingresso di Cassino Plant

Una risposta era arrivata da Legambiente: No sollevando una serie di perplessità. Sostenendo che “la soluzione rappresentata dai termovalorizzatori sia sbagliata e antistorica. Lo dimostrano una serie di evidenze difficilmente contestabili: in primo luogo, questi impianti sono dei veri e propri “attrattori di rifiuti indifferenziati” da luoghi anche molto distanti. In sostanza, disincentivano la differenziata. Inoltre, si tratta di impianti costosi da costruire e da gestire,. Per questo, è difficile pensare che l’energia elettrica ottenuta da termovalorizzatori gestiti in modo adeguato possa avere “costi irrisori” come sostiene Borgomeo”. Che tradotto significa: No perché i termovalorizzatori producono energia bruciando un combustibile ricavato dai rifiuti; meglio bruciare il petrolio che inquina di più?

Il concetto espresso da Legambiente era ineccepibile qualche anno fa. È superato dal tempo (e dalla tecnologia) da quando i dati ufficiali di Arpa – Agenzia Regionale per la protezione dell’Ambiente hanno certificato che l’aria in uscita dai camini del termovalorizzatore realizzato ad Acerra da A2A è più pulita di quella che entra. Grazie all’impiego di tecnologie e filtri modernissimi. Costosi. Ma necessari per garantire l’aria pulita.

Dire che gli impianti di trent’anni fa sono come quelli di oggi è come dire che la Fiat 124 è come le attuali auto elettriche ad emissioni zero. (E – per inciso – A2A è la stessa che vorrebbe fare in provincia di Frosinone un impianto con il quale trasformare i nostri avanzi di cucina in concime naturale e metano bio).

Quei silenzi che condannano il territorio

La vera voce che manca è quella di chi deve gestire il processo, prendere la decisione, scrivere l’agenda industriale di questo territorio. Per paura di assumere decisioni impopolari. Perché Greta fa tanto figo e tanto green ma basta che vada a farlo lontano dal mio giardino.

Foto: Imagoeconomica

Sono silenzi che durano da anni. L’Automotive occupa ancora oggi nel Lazio 35mila addetti, tutti pensano che il Lazio sia la regione del Farmaceutico, dove invece sono impiegati in tutto 14mila addetti. Colpa di un marketing territoriale che fino ad oggi non è stato fatto da una classe politica che è stata impegnata a lottare per la sua sopravvivenza e non quella del nostro principale asset industriale. La conseguenza? Fino a pochi mesi fa, al Ministero dello Sviluppo Economico il Lazio non sedeva al Tavolo dell’Automotive: c’era il Piemonte, la Campania e addirittura l’Emilia Romagna con la sua recentissima Motor Valley. Ecco il livello dei politici mandati a rappresentare questo territorio.

Non è un Si ad essere mancato in questi giorni. È una risposta di fronte ad un problema epocale: la fine del vecchio modello Fiat, l’inizio di quello nuovo targato Stellantis. Che cancellerà migliaia di posti, ne creerà altri ma con qualifiche e mansioni diverse. Non necessariamente qui. È questo che molti non hanno ancora capito.