Top e Flop, i protagonisti del giorno: mercoledì 2 novembre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di mercoledì 2 novembre 2022

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire, attraverso di loro e quanto hanno fatto, cosa ci attende nella giornata di mercoledì 2 novembre 2022.

TOP

MAURO BUSCHINI

Daniele Leodori con Mauro Buschini

Avrebbe potuto impugnare il megafono ed aggiungere la sua voce a quella del coro che in queste ore strepita contro la norma che vieta i Rave Party. Con una sana dose di realismo Mauro Buschini, Coordinatore della maggioranza in Regione Lazio, ha preferito prendere la penna, cospargersi il capo di cenere per il pessimo risultato del Pd nazionale, ricordare a tutti che nel Lazio da anni è tutta un’altra storia. Perché è nel Lazio che è nata l’alleanza tra Pd e M5S che poi ha generato il governo giallorosso Conte 2. (Leggi qui: Regionali: Buschini e l’appello per suocere, nuore e mariti dispettosi).

Ha reso merito al Centrodestra che ha vinto in maniera chiara le elezioni ed ora ha il compito di governare. Ma ha aggiunto «l’autocritica è giusta, il catastrofismo no». Ha ricordato che già cinque anni fa, nello stesso giorno gli elettori ridussero in macerie il Pd di Renzi ma elessero Zingaretti per la seconda volta in Regione. Perché? Merito di «una classe dirigente radicata sul territorio, che amministra bene Comuni ed enti».

Sul piano politico ha ricordato che ci sono state ben cinque scissioni (Renzi, Calenda, Possibile, Articolo1, MdP) e molti hanno cercato di rastrellare voti al Pd: «Tutti, perfino i potenziali alleati, si sono preoccupati prioritariamente di attaccare noi, di togliere voti a noi. Di impedire al fronte Progressista di organizzarsi per vincere. Nonostante tutto questo siamo il secondo partito del Paese e senza i Democrat non esiste alcuna alternativa credibile alla Destra».

Ha ricordato i risultati ottenuti in questi anni di centrosinistra al Governo della Regione. Partendo dal nervo sensibile: la Sanità «passata dalla Macroaree di Polverini agli Hub d’eccellenza in ogni provincia con Zingaretti». Ed ha sollecitato tutti gli attuali alleati a scendere in campo insieme. Ricordando che al momento, fare un dispetto al Pd facendogli perdere le Regionali, equivale al celebre dispetto del marito che per punire la moglie… ci diede un taglio.

Ogni tanto qualcosa di sinistra.

ORAZIO SCHILLACI

Orazio Schillaci (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Da Magnifico a Munifico è stato un attimo, ma con garbo: ha fatto più cose Orazio Schillaci in questa settimana che Claudio con la bonifica del Fucino. Il neo ministro della Salute aveva tre rotte da seguire e le ha seguite tutte: lasciare la “sua” Tor Vergata in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico; arrivare dritto sparato al “suo” ministero per prendere confidenza con la nuova mission; conformare perfettamente la terza alla linea del Governo che lo ha in novero e della premier che lo ha voluto.

Ecco, la terza mission abbisognava di cose delicatissime perché bisognava far capire che il nuovo ministro della Salute era davvero nuovo. Ma si doveva anche far capire che quella parola, “salute”, non è che uno se la scorda solo perché è cambiata la musica e sono cambiati i musicanti.

Tanto per cominciare Schillaci è partito dai protocolli prima che dalle norme. Protocolli su cosa? Sul Covid, ovvio, e il ministro ha resettato l’usanza-icona di due anni e mezzo di terrore: via il bollettino giornaliero di contagiati, ricoverati e morti e si a quello settimanale.

Poi ha dato qualche annuncio in attesa del Cdm di domani, roba lieve ma che sta spalmata sui “desiderata” della premier pur con assoluta dignità di ruolo professionale dell’estensore: è giusto non confermare l’obbligo di mascherine negli spot sanitari, è giusto istituire una commissione d’inchiesta sul Covid soprattutto in ordine alle “spese fatte”. E sarebbe giustissimo resettare le multe a quelli che hanno aggirato il vaccino sulla scorta del principio del “lex regit actum”. In pratica: non che le multe fossero un errore, non c’era però una legge a disporle. È il principio sentenziato anche di recente a Frosinone. (Leggi qui: Il lockdown era fuffa e noi ci avevamo creduto).

E alla fine Schillaci ha chiosato: “Oggi la malattia è completamente diversa da quella che c’era una volta e quindi stiamo vedendo di fare in modo che man mano ci possa essere un ritorno a una maggiore liberalizzazione”. Ecco, quel “liberalizzazione” al posto di “Libertà” magari gli è scappato, ma a chi non scapperebbe avendo in squadra a Palazzo Chigi la gente del Cav?

(Quasi) tutto bene, diremmo.

FLOP

Damiano Coletta (Foto © Andrea Apruzzese)

DAMIANO COLETTA

Già sindaco di Latina per ben due volte (più supplementari) Damiano Coletta riunisce i suoi al Circolo Cittadino, dopo la chiusa della esperienza comunale. E quella riunione la dedica ad un “noi” che sostituisca l'”io“. Lui che si faceva chiamare capitano, mutuando l’appellativo calcistico di quando era terzino del Latina. (Leggi qui: Il messaggio di Coletta in versione ‘noi’).

Durante l’incontro avanza l’ipotesi retorica “disposto a farmi di lato“, sapendo bene che non c’è alcuno che possa metterlo a lato. Napoleone si volle far imperatore, decise di farsi incoronare Papa Pio VII a Roma. Mentre organizzava la cerimonia fu colto da un dubbio: ma se lo incoronava il Papa, il Papa era più importante di lui. Decise di incoronarsi da solo “davanti” al Papa che non incoronava ma assisteva.

Ecco a Latina c’è stata una incoronazione. Anche perchè Lbc (la civica Latina Bene Comune) è Coletta al centro. Tanto è vero che la più ambiziosa del gruppo, Valeria Campagna, ha evitato di assistere.

Quanto sarebbe stato bello dire: il campione sono io. Per Napoleone la Guardia si fece massacrare a Waterloo ma lui non andava di lato, ma dritto al centro… della storia. 

Io mi sposto ma voi ditemi di restare.

LICIA RONZULLI

Licia Ronzulli (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Lei è arrabbiata e lo ha fatto sapere all’universo mondo con una intervista a la Stampa uscita ieri, giorno dedicato ai santi della Chiesa. E forse contagiata dall’odor di santità (politica) che essudava dal calendario Licia Ronzulli ci ha provato.

A far cosa? A passare per la grulla che non sapeva nulla di nulla del casino che in suo nome ha combinato Silvio Berlusconi per la genesi del governo attuale. Per quella e per colei che alla fine si ritrovata a subire gli eventi più che a determinarli.

La (o il?) capogruppo di Forza Italia in Senato ha rilasciato perciò un lungo sfogo in cui però alla fine si è contraddetta in dodici secondi netti di lettura concettuale di ciò che ha sciorinato al cronista. Da un lato infatti lei si è definita “il capro espiatorio per coprire un disegno che non mi riguarda e non conosco”; dall’altro si è incazzata come una biscia perché la sua mancata elezione è stata dovuta al fatto che grazie ai social lei è diventata una sorta di “trend topic” in negativo; il che ha impedito agli italiani di cogliere la sua perfetta idoneità ad un posto da ministra (o ministro?).

Insomma, un ossimoro grosso come una casa che è storia vecchia in tutte le faccende umane: quelle in cui ogni “genio non proprio geniale” fa lo scettico blu (in questo caso azzurro) ma al tempo stesso “rosica” e dice che se una cosa non è successa è stato perché altri l’ha mandata in vacca. Come il menisco rotto di ogni promessa del calcio oggi impiegata al Catasto che “se non mi fossi rotto qua Maradona scansati”.

Ma le cose non stanno così: lo sa la Meloni, lo sa Berlusconi e lo sanno anche quelli che hanno creato il “trend topic”. E forse lo sa anche la Ronzulli. Forse.

Ar-core non si comanda.