Tre mandati sul comò tra la filastrocca leghista e la tattica di Abbruzzese

Chiedere il voto europeo a chi sente il bisogno di un totem territoriale. Il segreto di "Supermario" per eludere i guai della maggioranza

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

In metafora giornalistica fa bene Mario Abbruzzese a concentrarsi sulle “vendite” invece che sulla tiratura. Cioè su quello che il Governo nella sua interezza ha messo nero su bianco e può essere fatto assurgere a risultato complessivo, senza distinguo urticanti. Sui suoi social il candidato della Lega per l’Italia Centrale alle Elezioni Europee non scarta uno slot ma li sceglie con cura. “È un’ottima notizia l’approvazione dell’emendamento nel decreto milleproroghe che mantiene il regime di esclusione dall’iva per gli enti del terzo settore fino a gennaio del 2025”.

E già che ci si trova lancia anche l’appuntamento elettorale del prossimo 2 marzo alle Terme di Pompeo a Ferentino. I capataz territoriali e nazionali del Carroccio là ci saranno in massa, a gridare “Avanti!” al politico cassinate che vuole fare alla Lega quello che la piscina di Cocoon faceva ai vecchietti sfasciati che ci si mettevano a mollo. E’ prevista la presenza di Claudio Durigon, senatore, sottosegretario e commissario di Salvini in Sicilia.

A Ferentino per dire “Avanti” a Mario

Ciacciarelli tra il Nicola Ottaviani e Claudio Durigon

Poi di Pasquale Ciacciarelli, assessore della Pisana e forse consigliere patentato da un ricorso giudiziario ancora in itinere. E a seguire Nicola Ottaviani, deputato e responsabile provinciale del Carroccio, Maria Veronica Rossi che all’Europarlamento ci sta già. In chiosa il segretario regionale Davide Bordoni Luca Zaccari ed Andrea Amata, consiglieri provinciali.

La strategia di Abbruzzese è encomiabile: da un lato tende a non separare il grano dalla pula e punta sui risultati del “governo”, cioè della sommatoria di tutti e tre i Partiti che pure sono avversi su molto ed avversari per Bruxelles. Dall’altro rifugge come la peste proprio i temi su cui Lega e Fratelli d’Italia in particolare sono al muro contro muro. Temi come quello dei tre mandati ai governatori ed ai sindaci di comuni “over 15mila”.

La bocciatura in Commissione al Senato

Lì le cose si sono fatte talmente roventi che dopo il voto in Commissione Affari Costituzionali del Senato si sono più o meno precipitati tutti. A fare-dire cosa? A spiegare che quella frattura interna non è e non sarà mai prodromo o sintomo di una frattura più sistemica.

Il che sta a significare più o meno due cose. Che proprio perché c’era la necessità di dire che non c’era rancore forse rancore c’è stato. E poi che su voto regionale in Sardegna ed Europee c’è in giro qualcuno che prima o poi esigerà una cambiale.

Chi? Matteo Salvini, che nell’isola ha dovuto ingoiare il rospo-Truzzu a discapito del suo prefetto del pretorio Solinas. E che per Bruxelles ormai è in modalità “io ballo da solo”. La summa l’aveva data il solito, bizantinissimo Maurizio Gasparri: la frattura va derubricata a “semplice bocciatura di un emendamento, come capita spesso in Parlamento”.

Il braccio di ferro è (era) quello noto sul terzo mandato e con schieramenti messi in campo come spartani ed ateniesi mentre Serse avanzava: Fdi e Fi contro la Lega.

Com’era andata a finire? Con 16 i voti contrari alla proposta leghista (Fdi-Fi-Pd-M5S e Avs), poi “4 i favorevoli (il voto di Italia Viva che si aggiunge ai tre della Lega), un astenuto (Durnwalder delle Autonomie)”. Mentre “Azione, con Mariastella Gelmini, non ha partecipato al voto”. Parola di AdnKronos. La Lega l’ha presa più o meno come l’ha presa Salvini: male ma non al punto di calare briscole di rottura, non ora, magari dopo le Europee o già dopo la Sardegna.

Quando ci metti la faccia…

Giorgia Meloni durante la conferenza stampa d’inizio anno

Ma il sugo analitico è un altro, in cui l’emendamento Tosato-Bizzotto-Stefani diventa una specie di movente o di lente Zeiss per capire meglio le dinamiche del periodo. A livello nazionale c’è ormai tutta una serie di distinguo forti che qualificano come la maggioranza di governo sia scollata forte.

Ma a livello territoriale e di collegio prevalgono le esigenze dei singoli candidati di pescare nel magnetismo corale e di non sottolineare divergenze. Perché quando la faccia è la tua e la conta è su di te è difficile fare massa e messe se ti metti a cavalcare l’identitarismo in purezza. Quello decotto di un capo che sta in bilico e che ne spara una più grossa delle precedente con cadenza “Gatling”.

L’approccio scaltro di Mario Abbruzzese sta tutto riassunto in questa fotografia impietosa, dove oggi Giorgia Meloni ha in Salvini il suo oppositore più vivace. E dove Antonio Tajani non perde occasione per lanciare messaggi di affidabilità liberal contrapposta al lessico mastino del Capitano.

Il voto del territorio che chiede Abbruzzese

Ma Abbruzzese punta sulla territorialità, cioè sul fattore per cui gli elettori lo dovrebbero votare per avere un alfiere di zona (zona larga) a Bruxelles. Perciò parte dalla precondizione di non dover solo “allamare” gli strani leghisti etruschi. Ma in particolare su Cassino, Latina, Frosinone e Roma di convincere un pueblo largo a cui serve uno Zorro che non disdegni appartenenze contigue.

Le tigne dei piani alti perciò non gli servono, anche al netto di ciò che i salviniani dicono dell’incidente sul terzo mandato. Dequalificandolo a questioncella sciapa o comunque non determinante: “Non vogliamo che venga messo in discussione il nostro sostegno al governo”.

Insomma, hai voglia ad averla voluta trasformare in una specie di battaglia campale, quella faccenda là. Mancano i presupposti per farlo in pienezza di risultato e soprattutto mancano le basi. Perché? Perché come al solito quando Matteo Salvini addenta un osso pop tende a dimenticarsi che proprio quello stesso osso in circostanze diverse lo aveva sputato in buca.

Quando Salvini era contro: come al solito

Luca Zaia

E questo ormai i leghisti di terza generazione, i governisti alla Zaia ed i quadri meno intruppati del Carroccio lo sanno. E non vogliono fare figure di roba calda e marrò, preferendo che sul mainstream a farle sia il capo. Cioè uno che già dai tempi del Papete è sacrificabile e che ormai ha un timing strettissimo. Nel 2016 a Pontida Salvini si espresse con veemenza contro il terzo mandato, definendolo un potenziale poltronificio di stasi.

Oggi invece ci vede un’opportunità per tenere quelli bravi in sella e soprattutto un gancio per non lasciare caselle libere al suo principale competitor, Luca Zaia. Uno che va assolutamente tenuto impegnato nel periodo in cui Salvini sarà più in bilico. Perciò chi corre sotto il “suo nome” ha capito la solfa e si tiene alla larga dal campo minato del segretario meno “Hurt Locker” della situazione.

Come Mario Abbruzzese, che il 2 marzo a Ferentino avrà tutta la Lega che conta intorno per chiedere il voto. E che sa che c’è una Lega che conta ed una Lega che si conta, quella che per Bruxelles non può permettersi ammutinamenti. Non ancora almeno.