Va tutto ben, madama la marchesa: perché Meloni ha troppi maggiordomi

Il bisogno antico della politica di non ammettere mai le difficoltà e quello attuale di una premier che non cita mai il paese reale

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

“Allò Battista, che c’è di nuovo, cos’è accaduto? Dite un po’! Voglio sapere che cosa trovo quando al castel ritornerò”. Cantata negli anni ‘30 da Nunzio Filogamo la canzoncina lieve sciorinava una serie di cause che eccepivano come tutto andasse bene, ma in modalità concessiva. Esse tiravano in ballo cavalli morti, ladri nel castello, gioielli scomparsi ed incendi. Cantata da Giorgia Meloni a se stessa ed ai suoi nella cornice del question time al Senato ultimo (e forse unico) scorso, quella “canzoncina” ha un doppio tono. Tono un po’ stantio.

Il primo è quello legato alla necessità primeva e sbagliata di ogni politico da quando la politica esiste di dover dire per forza che le cose vanno bene. Il secondo è quello per converso, che spinge le opposizioni del momento a controbattere che no, va tutto malemalissimo.

Insomma, non se ne esce mai con l’obiettività in queste faccende, e siccome certe sedute istituzionali sono abbondantemente teletrasmesse e social diffuse finisce che non passa la verità. No, passano i messaggi edulcorati o esacerbati. Messaggi vestiti a puntino con la verità che ad essi si vuole far indossare, ciascuno per sua sponda.

Enzo Salera e le verità scomode

La verità? Merce rara, e ancor più rari quelli che, impegnati nella Cosa Pubblica, ne fanno uso schietto senza averne vanto retorico. Enzo Salera ad esempio è uno di quelli che la verità la dice in maniera talmente cruda che quando gliela chiedi per un tot alla fine ti arriva al quadrato. Certo, neanche lui è immune dal generalismo tattico, ma almeno non rifugge i temi urticanti.

Sulla datata e delicata questione delle contrapposizioni con la Presidente d’assise Barbara Di Rollo il sindaco di Cassino non ha mai taciuto. E secondo alcuni, meglio sarebbe stato se lo avesse fatto, risparmiandosi così un’ulteriore carico di rancori. Sta tentando pazientemente di ricomporre il puzzle adesso che gli incastri sono diventati complessi nel gioco di caselle in vista delle imminenti Provinciali sottoposto in queste ore ai gruppi di maggioranza.

La sintesi tra le due sensibilità interne al Partito Democratico passa per quel gioco ad incastri. Ma dirsi le cose in faccia ed a brutto muso, in questi anni ha lasciato il segno. Ed ora c’è chi si mette di traverso e non vuole riallacciare i rapporti con la presidente. C’è chi pretende, come segno di fiducia, le sue dimissioni dalla carica comunale prima dell’elezione allo scranno provinciale. (Leggi qui: La ribellione di Imma, l’orgoglio della Lega).

Ammettere come modo per vincere

Giorgia Meloni

Ma il dato è un altro ed è quello sottolineato da Beppe Severgnini nello studio di Otto e Mezzo. La sincerità ad ogni costo ormai è roba da cineteca della politica. Quando si tratta di ammettere che ci sono state cose non in linea con le promesse elettorali le radiografie in pubblico di chi quelle promesse le aveva fatte sono sempre drogate. E il rammarico per una classe dirigente che ha perso il gusto di asseverare che non tutto è andato bene è grande, perché i politici che sbagliano e lo ammettono sono molto più credibili di quelli che dicono di non sbagliare mai.

Per converso, chi sta all’opposizione gioca a polarità invertita ma su flusso medesimo. E piuttosto che ammettere che qualcosa di buono è stato magari “messo a terra” si farebbe fare lo scalpo da un Pawnee con problemi di ulcera. Perciò il problema ricomincia ma a parti invertite.

Giorgia Meloni sta messa così: deve tenere botta ad ogni costo malgrado più di un dato dica che botta non l’ha tenuta. E la minoranza non sa rinunciare ad amplificare le zoppie, magari condendole con verità parziali.

Renzi superstar, ma fa come i Kiss

Matteo Renzi in senato (Foto: Sara MInelli © Imagoeconomica)

Un esempio? Lo ha offerto Matteo Renzi mentre si rivolgeva alla premier nell’ormai famoso botta e risposta finito con la battuta di Meloni sui buoni uffici di Bin Salman – fresco di incasso di Ryad 2030 – in tema carburanti. Lui la butta rock ma cade nel tranello dei Kiss, che il rock lo hanno “caricato” di trucco. E trucchi. Non è vero che, come ha detto Renzi, che il governo in carica ha “aumentato le accise sui carburanti”. Semplicemente, e di certo con medesimo nocumento, non ha rinnovato gli sconti fatti dal governo Draghi e quelle, le accise, sono tornate ai valori di sempre.

Solo che metterla così è meno efficace e quelle maledette telecamere con annessa claque di parlamentari di gruppo pesano come ghisa. E sui migranti? Tutti a dire, nella parte avversa, che da quando c’è Meloni in cassero gli sbarchi sono aumentati. Gli stessi che dicevano a parti invertite o in contesti più analitici che non c’è alcun rapporto fra chi sta a Palazzo Chigi ed il volume degli sbarchi. Una cosa ovvia al punto da rasentare il ridicolo e con la premier che da candidata aveva promesso mirabilia. Ma vuoi mettere tirarci su un loop musicato per attaccare l’avversario?

Come ad esempio sul tema dello stato di salute del Paese, dove Meloni si gioca la matta della finanza e non dell’economia reale. Così i numeri concettuali, i verdetti di trading e gli occhiali inforcati a Bruxelles le danno quel tanto di ragione che le permette di farci un sermone di gloria ed un cazziatone ai disfattisti. E tuttavia con l’economia spicciola del paese che dice ad esempio che a considerare “occupato” uno che magari lavora tre ore a settimana è una roba farlocca. Roba che solo l’Istat poteva mettere in piedi e solo un maghetto malevolo poteva usare come coniglio dal cilindro.

Finanza ed economia reale: meglio la prima

Non se ne esce perciò, e il clima di polarizzazione su temi così delicati e meritevoli di un’attenzione più serena innescano reprimende. Quelle e le analisi ex post di chi vorrebbe incarnare la politica nella pienezza della sua veste concreta. Né agiografica né sabotatrice. Gente come Carlo Calenda, ad esempio, che su Twitter ha pubblicato il suo spiegone periodico.

In parte ha ragione ed in parte se se ne prende un po’ di più non è tanto colpa sua, ma di chi “gliela serve”, tutto sommato fa politica, non scoutismo. “Negli interventi ieri in aula al Senato si è ripetuto un gioco delle parti davvero stucchevole che va avanti da almeno trent’anni in Italia. Poi l’endiade alla Cicerone dei tempi migliori, decisamente non quelli formiani. “Il Governo sostiene che va tutto bene e l’opposizione che va tutto male. Meloni, quando era all’opposizione, solo un anno fa, sosteneva che andava tutto male. Ora in un anno, ogni singolo indicatore, viene usato per avvalorare la tesi di un nuovo miracolo italiano”.

E quelli che a Meloni si oppongono in emiciclo? Frecciata anche per loro, c’è da giurare di mezzo soddisfazione a contare il ruolo di totem-istrione dell’ex amico Renzi. “Al contrario per le opposizioni tutti gli indicatori sono in fondo negativi anche quando sono positivi. Sì. ma le conseguenze sul cittadino, che poi è fruitore finale di siparietti e soprattutto conseguenze pratiche?

“Gli italiani non ci capiscono nulla e cessano di dare qualsiasi valore alle opinioni politiche. Sinistra e destra si attestano su due linee politiche ‘tutto male’ vs ‘tutto bene’ che sono indifendibili e lasciano poco spazio al confronto”. Il rilievo tecnico ci sta tutto: “La maggior parte degli indicatori economici dipende dalla congiuntura internazionale. E dunque non dall’azione (positiva o negativa) di un Governo, certamente non dopo un anno dal suo insediamento”.

Via i partigiani, ora si lavora

(Foto Carlo Lannutti / Imagoeconomica)

In chiosa mesta quel che accade oggi: “Così funziona, con qualsiasi governo, con qualsiasi opposizione e in qualsiasi condizione storica. Anche questo cattivo costume dovrebbe cessare. Non porta bene ai governi e non aiuta le opposizioni quando poi devono finalmente governare.

Come a dire che alla “marchesa” non servono “maggiordomi” calmieri alla Italo Bocchino o fustigatori cerebrali alla Massimo Giannini. Ma serve un esempio che li sciolga da quei ruoli partigiani. E il solo esempio è quello della verità. La verità di dire, no, magari di canticchiare che “non va bene una beata, madama la marchesa”. Va benino semmai, potrebbe andare meglio e ci proveremo.

Con il pubblico ad applaudire e che non segue più i cavalleggeri in divisa. Perché il pubblico siamo noi e non siamo a teatro perché qui si deve vivere e sopravvivere ai siparietti. Noi che invece amiamo essere gregge.