Covid, l’ora più buia nel paese dei balocchi

Foto © Carlo Lannutti / Imagoeconomica

Il nuovo picco di Covid-19 nonostante fosse stato abbondantemente previsto. Ma invece di agire si gioca a 'sparare sul pianista'. Non si dice che gli operatori sul campo sono la metà di quelli che c'erano alla prima ondata. E che le Terapie Intensive non sono state riattivate. Si gioca a fare Lucignolo

Corrado Trento

Ciociaria Editoriale Oggi

Schiacciati, anche psicologicamente, dal peso dei numeri relativi ai nuovi contagiati. In Italia, nel Lazio e in provincia di Frosinone. In questo clima quasi nessuno cerca di analizzare la situazione, mentre tutti si affollano sulla giostra dello scaricabarile.

Addirittura a livello nazionale il Governo fa passare il messaggio che dovranno essere i cittadini a “meritarsi” il Natale. Ma un Governo cosa ci sta a fare? I cittadini hanno osservato un lungo periodo di lockdown, in tanti hanno perso il lavoro, in troppi aspettano da mesi la cassa integrazione, quasi tutti osservano le prescrizioni. Un nuovo lockdown metterebbe in ginocchio il Paese. E rappresenterebbe il monumento al fallimento del Governo.

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In questi mesi cosa è stato fatto davvero per evitare una nuova emergenza di questo tipo? Oggi il commissario per l’emergenza, Domenico Arcuri, accusa le Regioni di non aver attivato i posti di terapia intensiva. Prima del Covid ce n’erano 5.179, ne erano poi stati attivati 9.463, oggi ce ne sono 6.628 funzionali. E ce ne dovevano essere almeno 1.600 in più. Dito puntato contro le Regioni, ci sta. Ma il Governo dove stava?

In Ciociaria la curva si è impennata, sfondando quota 100 per via di casi non comunicati nei giorni passati. Arretrati cioè. Ma qualcuno si è chiesto perché? A marzo e aprile si effettuavano 300 tamponi in provincia di Frosinone e il Fabrizio Spaziani aveva l’assetto da Covid hospital. Con più di 80 persone addette ai test molecolari e ai tracciamenti. Quando in quel periodo, per via del lockdown, ogni persona contagiata aveva mediamente un link di due o tre contatti. Oggi di tamponi se ne fanno 1.300-1.400 al giorno e ogni contagiato ha almeno dieci contatti. E gli addetti non superano i 40, perché in estate l’assetto Covid hospital è stato smantellato. (Leggi qui I contagi continuano a crescere, D’Amato prepara la “stretta”).

La scorciatoia di sparare sul pianista

Foto © Vince Paolo Gerace / Imagoeconomica

Anche in provincia di Frosinone lo sport preferito è quello di prendersela con l’anello più debole della catena, cioè con gli addetti al tracciamento. È evidente che in questo momento in tutta Italia non si è in grado di tracciare tutti i contagi e che di conseguenza la strategia di contenimento del virus non sta funzionando come dovrebbe. Ma nessuno dice che gli addetti sono pochissimi.

Tracciare un contagio è un’operazione delicata, lunga e complessa. Infatti le decine e decine di casi positivi “arretrati” lo dimostrano. Però in questi anni (quasi) tutti hanno inneggiato ai tagli selvaggi sulla sanità, alla chiusura di postazioni spacciata per “ottimizzazione”. Nessuno, anche in provincia di Frosinone, si è preoccupato davvero della cronica mancanza di anestesisti. Una categoria, quella degli anestesisti, fondamentale per presidiare la trincea di questa pandemia. Vale a dire le Terapie intensive.

In estate la guardia è stata abbassata ad ogni livello. E nessuno si è posto il problema che in autunno sarebbe stato complicato fare la sorveglianza senza la capacità di testare tutti i soggetti a rischio. Con la riapertura delle scuole e tutto il resto sarebbero servite risorse gigantesche per tamponi, reagenti e strutture. Ma nulla è stato programmato, come nella peggiore tradizione di questo Paese. E oggi si chiede ai cittadini di “meritare” il Natale.

Ha detto il professor Andrea Crisanti in un’intervista al Corriere della Sera: «Diciamo che non abbiamo imparato bene la lezione della prima ondata, quando eravamo riusciti a riportare i contagi a zero. Non sono stati fatti i necessari investimenti in sorveglianza e prevenzione, l’unico sistema possibile per bloccare i focolai».

L’irresistibile tentazione di Lucignolo

Roberto Benigni sul set di Pinocchio di Matteo Garrone

Lo scrittore Stefano Massini, nell’ultima puntata di Piazza Pulita, ha spiegato la pandemia con la favola di Pinocchio. Dicendo alla fine: «Siamo il Titanic che sceglie deliberatamente di andare a impattare contro l’iceberg, salvo poi inveire per le poche scialuppe a disposizione. Tutto già visto».

Nel suo percorso da burattino a bambino vero, Pinocchio paga di persona moltissimi sbagli. Ma la “morale” vera è un’altra. Perché l’Italia è il Paese che preferisce sempre seguire Lucignolo, detestando il Grillo Parlante, al quale pure riconosce saggezza e autorevolezza. Si sceglie sistematicamente di andare nel paese dei balocchi. Se poi si va a sbattere, si vedrà. In qualche modo si farà. L’apoteosi della logica dell’io speriamo che me la cavo. L’abusisvismo edilizio? Qualche condono arriverà. L’evasione fiscale? Qualche condono arriverà. E se pure non dovesse arrivare, poi si vedrà. Solo che stavolta occorre fronteggiare una pandemia fortissima. La programmazione sarebbe fondamentale.

Detto questo, però, la situazione è diversa rispetto a marzo e aprile. Il quotidiano bollettino di contagi e decessi non spiega che oggi la maggioranza dei malati di Coronavirus è asintomatica o paucisintomatica. E che trascorre la malattia in isolamento domiciliare. Mentre a marzo erano quasi tutti ricoverati. I parametri veri da tenere sotto controllo sono quelli dei decessi (e delle cause dei decessi) e dei posti occupati nelle terapie intensive.

Avremo davanti settimane e mesi difficili. Lo hanno detto tutti, a cominciare dall’assessore regionale alla sanità Alessio D’Amato. Serviranno nervi saldi, competenze, posti letto, ventilatori polmonari e personale sanitario. Non serve a nulla eccellere nello scaricabarile, non serve a nulla “sparare sul pianista”.

È l’ora più buia di una pandemia iniziata nove mesi fa. Non ieri. Si doveva evitare, in estate, di andare nel paese dei balocchi. Schiacciando il grillo parlante.

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