Mario, i Draghi e il Trono di Spade

Il Trono di Spade per Mario Draghi. Tra consultazioni che hanno del surreale, leader frastornati che non hanno capito ancora cosa sta accadendo. E chi lo ha capito benissimo: come Matteo Salvini

Franco Fiorito

Ulisse della Politica

Correva l’epoca del Pdl. Un giorno in una vivace riunione consumata tra le solite competizioni e qualche battuta da caserma improvvisamente squilla il telefono ad Alfredo Pallone, che obiettivamente bisogna dire per alcuni aspetti della politica ha del genio, il quale si alza dal tavolo rispondendo ad alta voce “pronto Mario” e si allontana a proseguire la conversazione nell’altra stanza.

Al termine di questa torna e gli astanti chiedono infastiditi dall’interruzione “ma chi era Abbruzzese”? E lui di rimando: “no Draghi”.

Subito un nutrito gruppo di detrattori dubitò fortemente della veridicità di tale informazione apostrofando soavemente in varie maniere e con ridanciana serenità Alfredo che di rimando con la sua classica intonazione gli diede collettivamente degli stronzi.

In effetti in quel periodo nel suo ruolo di parlamentare europeo nella commissione Finanze non sarebbe stata improbabile la comunicazione con l’importante dirigente della Banca Centrale Europea ma la malizia ciociara non ha confini al pari della maldicenza.

Ovviamente nessuno seppe mai la verità su quella telefonata, un po’ come la storia del cargo battente bandiera liberiana. Fatto sta però che ogni volta che rispondeva al Mario, suo pupillo cassinate, le stesse malelingue sussurravano… “è Draghi”? E la risposta era sempre la stessa parolaccia della prima volta.

Draghi e Monti pari non sono

Quello è stato l’unico momento della mia vita in cui mi sia capitato di dibattere “politicamente” sul nome di Draghi. Nessuno in quel momento immaginava per lui un ruolo politico di rilievo così alto come quello in cui è stato incaricato in questi giorni: la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Primo perché era uno dei migliori dirigenti che l’Italia esprimesse ai vertici delle istituzioni e svolgeva egregiamente il suo compito. Secondo perché, seppur siano passati una decina di anni, all’epoca la politica era ancora la politica, ancora non aveva abdicato a sé stessa, ragionava ancora su come vincere le elezioni e governare, non di ammucchiate istituzionali ammantate di connotazioni salvifiche per la nazione.

Mario Draghi al Quirinale

Da li a poco però si abbatté sull’Italia la scure oscura dello spread, le dimissioni di Berlusconi, recentemente rivelatesi forzate, ed il mefitico governo Monti che tutti noi ricordiamo con lo stesso affetto del tornado Katrina.

Infatti al momento dell’incarico a Draghi due filoni hanno invaso le colonne dei giornali. Il primo più serioso che riportava il parallelo col Governo Monti, col tecnico paracadutato dai poteri forti europei, con i timori di nuove misure draconiane. Il secondo più ilare che mutuava gli istinti distruttivi dei draghi della nota serie il Trono di Spade col naturale paragone tra le irrequiete bestioline ed il cognome del futuro Presidente del Consiglio.

E giù vignette, meme, paralleli più o meno simpatici ed attinenti.

I draghi di Mario

Per chi non l’avesse vista il Trono di Spade è una serie fantasy in cui una regina nanerottola bionda madre dei suddetti draghi va in giro a conquistare i sette regni dando fuoco a tutti quelli che si frapponevano tra lei ed il successo dell’impresa attraverso quei simpatici animalotti volanti che al proferire della parola “Dracarys” abbrustolivano il malcapitato di turno fosse una persona o una cosa.

Un po’ una metafora cicciottosa della Merkel, che nanerottola e bionda lo è, che ogni volta che gli rompiamo le scatole ci annichilisce con qualche manovra del genere.

In particolare stavolta il confronto con Draghi era anche lessicalmente calzante. E quindi giù tutti a fare profezie catastrofiche sotto forma di paralleli incendiari tra il serio ed il faceto. Anche per prendere tempo perché, diciamoci la verità, le misure a Draghi come politico non le aveva ancora prese nessuno perché, fino a qualche giorno fa, l’ipotesi del Conte ter sembrava impressionante ma realistica. (Leggi anche Ragazzì, mo’ basta giocare però eh? Io chiamo Mario…).

Il Conte giubilato

Giuseppe Conte

Invece no. Renzi e compari con somma cattiveria hanno indotto con mefistofeliche lusinghe il povero Giuseppi a dimettersi con la promessa del reincarico salvo poi rapidamente giubilarlo con una freddezza e perfidia che poche volte si è vista in politica.

È cosi che quello che molti adulatori definivano il miglior presidente possibile, grande statista, promotore di un Partito dalle straordinarie prospettive, uomo forte del momento, si è ritrovato nel giro di una settimana scarsa ad essere completamente estromesso dal potere politico. Miracoli dell’epoca dell’effimero, dove un giorno sei un’aquila, il seguente un inutile fagiano.

È così che il povero Conte giubilato, per ritagliarsi due secondi di spazio, si è ridotto a mettersi con un banchetto da “poraccio” sotto a palazzo Chigi in mezzo alla strada a dire che lui “ci sarà ancora”, che suonava più come una minaccia che come un sostegno, e che bisognava completare l’agenda politica da lui dettata in questi mesi di governo. Che poi era esattamente il motivo per cui se lo erano tolto dalle scatole gli stessi suoi sodali, impedirgli di continuare a fare danni.

Il Crimi frastornato

Deve aver creduto a questa cosa anche il Movimento Cinque Stelle, in particolare Vito Crimi che ieri, nel nuovo giro di consultazioni, stavolta con Draghi ha riferito di aver comunicato che “Bisogna partire da ciò che è stato già realizzato” per poi lanciarsi in una perifrasi dalla contorsione unica che suona così: “abbiamo trovato da parte sua la consapevolezza di partire con l’umiltà di chi accoglie il lavoro fatto da chi c’era prima e su quelle basi costruisce il futuro”. Letterale.

Vito Crimi dopo le consultazioni (Foto Casasoli via Imagoeconomica)

Che forse in italiano voleva dire: Draghi ci ha ricevuto si è quasi scusato di aver interrotto il nostro eccelso lavoro ma ci ha assicurato che lo proseguirà senza dubbio alcuno.

Ora a parte che è la prima volta che sento nella storia delle consultazioni che non si parla per sé ma per il presidente incaricato mettendogli in bocca cose che quello con assoluta certezza non pensa minimamente. Ma ve lo immaginate voi cosa avrà pensato Draghi, che è stato messo lì proprio per sanare gli enormi errori fatti e per invertire la rotta mentre quell’orsacchiotto di Crimi gli spiegava cosa fare?

Draghi, con quel volto che ha la stessa espressività di un mocassino, sarà riuscito a trattenere comunque l’incipiente smorfia di disgusto che lo attanagliava? Non lo sapremo mai.

Sappiamo però che l’incisività politica del movimento oggi è pari allo zero, e forse non lo hanno nemmeno realizzato.

Una prece per (sde)Renata

Renata Polverini (Foto: Imagoeconomica)

Peggio di loro stanno solo Renata Polverini, a cui va un pensiero deferente, la Maria Rosaria Rossi e tutto quel manipolo di sfigati che si erano lanciati festosi e responsabili verso il Conte trionfatore per ritrovarsi in pochi giorni ad essere degli emeriti ed impotenti sconosciuti. Sembra li abbiano già visti girare per Palazzo Madama con la maglietta “siamo tutti Ciampolillo.

Forse troppo occupati ad auto incensarsi in questo periodo i pentastellati non hanno nemmeno ascoltato il discorso di Draghi al recente meeting di Rimini in agosto in cui tuonò letteralmente i sussidi finiscono, ai giovani bisogna dare di più” volendo colpire con dura efficacia proprio le misure promosse dai Cinque Stelle in particolare il Reddito di Cittadinanza.

È nello stesso discorso che delineò con straordinaria lucidità gli “elementi della sostenibilità del debito, se quello sottoscritto in futuro sarà utilizzato a fini produttivi, investimenti in capitale umano, infrastrutture cruciali, produzione, ricerca che egli stesso definì “debito buono”.

E fu proprio questo concetto che mi fece apprezzare particolarmente quell’intervento. Perché se fosse realizzato così come esposto sarebbe il miglior programma di governo degli ultimi decenni.

La camicia di Grillo

Ci sarà quindi da sperare che il Draghi che vedremo sarà questo, quello visto al meeting di cl e non il commissario liquidatore imposto dall’Europa in una riedizione rivista e corretta di Mario Monti.

Ma a mio modesto avviso Draghi pur rappresentando molte delle cose che ho avversato nella mia personale opinione politica ha la statura umana, tecnica e politica di poterlo fare. Il tempo rapidamente ci dirà se sarà così.

Beppe Grillo (Foto: Livio Anticoli / Imagoeconomica)

D’altronde ai microfoni parlava Crimi ma alle consultazioni si è ripresentato il redivivo Grillo che, dopo mesi di oblio, si è presentato senza cravatta con la camicia blu fuori dalle braghe ed un paio di calzoni verde oliva da fare invidia ai camalli.

Serviva per certificare che, nonostante le vaste e documentate contumelie, si rimangiavano ufficialmente, con metodo ormai consolidato,  le espressioni contrarie a Draghi, all’Europa ed all’euro che in centinaia di video girano in questi giorni sui social.

Serviva l’impronta del capo. E lui ancora sotto scacco col lentissimo processo del figlio e neo ambasciatore del china monopattino style in Italia non ha potuto esimersi. D’altronde l’Italia è il paese del “tengo famiglia”.

Lo scompiglio di Salvini

Non bastava però la serie di catastrofi interne. Ci si è messo pure il centrodestra a mettere alla prova le già stressate coronarie dei grillini e del Pd.

Centro destra che, seppur dividendosi sulle posizioni, ha dato finalmente cenni di qualche intraprendenza dopo le statiche posizioni pro elezioni.

Berlusconi capofila che con la sua immediata disponibilità al governo Draghi ha sparigliato le fila. Apparso in tv sorridente riprendeva il conduttore Porro perché nel servizio appena andato in onda si diceva che lui era stato favorevole alla nomina di Draghi. Invece sentenzia fiero Berlusconi “io sono stato determinante” enumerando tutte le sue azioni favorevoli alla nomina di Draghi a governatore. Era così entusiasta che per un momento mi ha ricordato il Pippo Baudo delle migliori occasioni quando presentando personaggi famosi diceva immancabilmente “l’ho inventato io”.

Matteo Salvini al termine delle consultazioni (Foto Casasoli via Imagoeconomica)

Non si sa se spiazzato dal Cavaliere o con la pistola puntata di Giorgetti alla schiena stavolta anche Salvini ha fatto una mossa che condivisibile o meno sta creando lo scompiglio nel campo progressista.

Si perché dando la disponibilità senza alcuna condizione a sostenere il governo Draghi ha creato un possibile scenario di governo allargato. Dove i Cinque Stelle ed il Pd dovranno stare nello stesso esecutivo con il loro bersaglio favorito degli ultimi mesi. Il loro nemico giurato. Tanto che molti sono corsi a rinfacciare a Renzi. “Bel capolavoro hai fatto hai riportato Salvini al governo”.

E la fibrillazione è palpabile in particolare nella base dei rispettivi Partiti che ormai è stordita dai continui cambi di linea politica.

Il colpo raffinato

Gli unici senza patemi sono i militanti di Fratelli d’Italia perché bisogna dire che seppur statica la posizione di non andare mai al governo né col Pd né coi Cinque Stelle è coerente e forse sarà anche redditizia elettoralmente.

Qualche maligno ha ricondotto la rinnovata verve di Salvini alla recente e poco pubblicizzata scarcerazione del buon Verdini. È avvenuta nei giorni scorsi. Proprio all’inizio della crisi di governo. Scriveva il giudice giorni or sono che le condizioni carcerarie erano rischiose per un contagio covid. Solo che il covid è qualche mesetto che gira. Ma forse i magistrati non devono essere stati tempestivamente informati ed appena saputo della pandemia, nei giorni scorsi, hanno sollecitamente provveduto. Fortunata coincidenza.

Denis Verdini (Foto: Stefano Carofei / Imagoeconomica)

Indubbiamente ha fatto bene al leader leghista che ha piazzato un colpo raffinato che rischia di far esplodere di rabbia coloro che lo hanno schernito e che ora forse lo dovranno sopportare come alleato.

Folgorato sulla via di damasco poi ha fatto professione evidente di europeismo avvenimento che ha gettato ancora più confusione tra rinfacci reciproci ed accuse al vetriolo.

L’incubo Dragarys

Insomma una bella confusione. Ma che al confronto dei discorsi monocorde di Conte scritti a quattro mani con Casalino suona come una novità. Perlomeno suscita speranza che, come si sa, è sempre una buona medicina.

Con la speranza di trovare un Draghi formato meeting di Rimini allora tutti aspettiamo curiosi lo svolgersi di queste strane consultazioni, del totoministri e di tutto il rituale pregovernativo. Con l’aspettativa che quelle parole si trasformino in fatti ed azioni di governo. Per debellare un virus che sembra passato molto in secondo piano. E per dare un vero rilancio all’economia fiaccata da troppe misure incomprensibili.

L’unica cosa che scongiuriamo che accada è che Draghi sia il nuovo Mario Monti. O peggio ancora il missionario inviato dall’ Europa solo per garantire la gestione degli ingenti fondi del Recovery Fund. Che probabilmente arriveranno e che certo non avevano nessuna intenzione di far gestire alla banda Conte Crimi Di Maio. Poveri illusi.

Mario Draghi arriva al Quirinale (Foto: Alessandro Serranò via Imagoeconomica)

Ci rimane solo un ultimo terrore fantasy. Quasi un incubo. Che, sbrogliata la matassa, Draghi, finalmente nominato Presidente del Consiglio si presenti al parlamento per la fiducia ed una volta ottenuta, accingendosi al pulpito per il discorso inaugurale, come in un brutto film alla mission impossible, prima di iniziare a parlare si strappi lentamente la maschera di silicone che indossa svelando sotto il volto rubicondo della Merkel che, preso un respiro, ci guarda negli occhi e con la consueta perfidia urla: “DRACARYS”!