Concessioni idroelettriche senza gara: Fitto sbotta ma il Lazio è virtuoso

La quinta rata del Pnrr vacilla per colpa di un emendamento che vorrebbe lasciarle così in casi specifici. Cosa aveva deciso la Pisana

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Presente la vicenda Bolkestein? Lì l’Italia è sotto scacco di una sanzione Ue per aver disapplicato la direttiva sulle licenze balneari e mercatali. Il governo Meloni ritiene che i concessionari storici delle stesse non meritino un reset e sta cercando spiagge libere per compensare “all’italiana”. Bruxelles dal canto suo ci guarda come il vigile Alberto Sordi guardava il sindaco smargiasso Vittorio De Sica.

Ecco, tolti i lidi e sempre in tema acqua, ma acqua dolce, la situazione rischia di ripetersi paro paro con le concessioni idroelettriche. Sulle quali orientamento di partiti di maggioranza e di una cordata trasversale di califfi di segreteria stanno spingendo per rinnovarle senza gara in alcune circostanze. Non tutte, ma bastevoli per quot a fare “ammuina”.

Il risultato? Il solito alla Sordi-De Sica ma con un aggravio pratico: l’Italia rischierebbe così l’invio della V rata del Pnrr. Chi lo dice lanciando l’allarme? Non uno della minoranza ma Raffaele Fitto, che è di Governo e d’Europa per ruolo, battage e croci da portare sul groppone. Ecco perché il ministro a tema ed in quota Fdi ha preso “penna e carta” ed ha scritto ai rivoltosi, spiegando loro che così ce la rischiamo tutti, e di brutto pure.

Il ministro scrive ai suoi: “State buoni”

Raffaele Fitto

Lui per primo, dato che Fitto è l’uomo mastice tra ciò che l’Europa ci dà e ciò che il governo ritiene gli spetti. In termini di autodeterminazione normativa e di pescaggio di consenso. Brutto ruolo, cruciale e mai immune da grane, specie se di mezzo c’è la instabile politica italiana e la sua scacchiera più mutevole della scale di Hogwarts.

“Tessere rapporti di fiducia con tecnici e rappresentanti della Commissione europea”, come spiega Il Foglio, non è la cosa più semplice del mondo. Non lo è “garantendo loro che l’Italia farà tutti i compiti a casa previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza”.

I media parlano di una fuga in avanti rispetto alla casella Fitto sul tema delle concessioni idroelettriche. Fuga da parte “di chi nella sua stessa maggioranza si intesta battaglie per difendere interessi particolari senza curarsi di scucire quello che intanto cuce lui in Europa”. Preambolo tecnico necessario: la messa a gara delle concessioni idroelettriche è nel novero delle voci attive e vincolanti del Pnrr.

Trasparenza per gradi: non ci siamo abituati

E il cardine è quello della concorrenza trasparente. In Italia però la trasparenza fa da sempre a cazzotti gagliardi con le camarille: non è illegalità, sia chiaro, non solo e non sul caso di specie. Piuttosto è una consolidata abitudine, retaggio di un passato free, a consolidare certi ambiti di consenso tenendo certi vantaggi ben ancorati ai fruitori degli stessi.

Poi è arrivata l’Europa e all’improvviso ci ha detto che da Cirini Pomicini ci dovevamo trasformare tutti in Ned Flanders. Così, di botto, senza neanche un paio di secoli di rodaggio è dura davvero dai… Ma di cosa parliamo? Per concessione s’intende una “collaborazione” pubblico-privato o pubblico-pubblico. La pubblica amministrazione conferisce ad un soggetto unico o ad un consorzio di essi “la facoltà di esercitare un’attività riservata ai pubblici poteri”.

La titolarità del bene concesso in uso ed esercizio “rimane in capo alla pubblica amministrazione”. Cioè, comanda sempre lo Stato che vigila o dovrebbe vigilare. Quella idroelettrica è una delega parziale a favore di chi volesse derivare e utilizzare a qualsiasi uso le acque pubbliche (sotterranee da pozzo, da sorgente o con derivazione da corso d’acqua superficiale) per la produzione di energia idroelettrica”. Per farlo serve una concessione amministrativa sull’utilizzo di pubblica risorsa, serve pagare un canone demaniale e mettere a regime una “derivazione”.

A chi tocca autorizzare i concessionari

Fabrizio Ghera (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Cioè? “Qualsiasi prelievo di acqua da corpi idrici (sotterranei o superficiali) realizzato mediante opere, manufatti o impianti fissi”. C’è un elenco indicativo sulle azioni d’ambito. Opere di raccolta, regolazione, estrazione, derivazione, condotta, uso, restituzione e scolo delle acque.

A chi tocca autorizzare? Alla Province per le “piccole derivazioni” ed alle Regioni sulle “grandi derivazioni”. E le Regioni hanno anche un altro obbligo derivato: quello di conformarsi alla normativa Ue. Come ha fatto la Regione Lazio il 15 novembre scorso. In quell’occasione il Consiglio regionale della Pisana approvò con 27 voti favorevoli, uno contrario e 11 astenuti, la proposta di legge regionale n. 65 del 10 agosto 2023.

Era quella sulle “Disposizioni in materia di concessioni di grandi derivazioni d’acqua a scopo idroelettrico in attuazione dell’articolo 12 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79”. Ad illustrarla in sede di discussione fu Fabrizio Ghera, assessore alla Tutela del territorio in quota FdI. Ed inconsapevole totem di un paradosso tutto interno a via della Scrofa, a contare che anche da lì sarebbero arrivate fronde. Cioè sull’attuazione della Direttiva 96/92/CE “recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica”. Quella legge regionale sancì dunque l’adeguamento agli obblighi europei.

Il “fuoco amico” di Via della Scrofa

E in mezzo a quel faldone c’era una voce specifica. Quella proprio sul “recepimento di una direttiva comunitaria che prevede adozione di misure trasparenti e imparziali per l’attribuzione delle concessioni. Fecero fede il Dl 135 del 2018 convertito in legge 12 del 2019. Questo però aveva posto un problema già ben noto con la vicenda Bolkestein: come comportarsi con i concessionari “storici”? E qui è scattata la manovra che ha infilato un piede nella porta di Raffaele Fitto e della rata del Pnrr. La maggioranza intera ed Italia Viva hanno presentato alcuni emendamenti. Essi consentirebbero alle Regioni “di riassegnare le concessioni in scadenza alle imprese uscenti, fatte salve certe condizioni”.

Condizioni che ovviamente sono state già pre-censite come attuabili per il bacino di utenza che interessa. Di fatto e per tre quarti è “fuoco amico” ed il ministro ha preso, prima d’aceto, poi di curaro ed infine “d’inchiostro”. Per Fitto quello scenario “è una minaccia per la quinta rata del Pnrr che l’Italia ha formalmente richiesto a dicembre in cambio del raggiungimento di 52 obiettivi”. Lo è perché tra essi campeggia con l’Italia mezza recidiva “l’entrata in vigore delle misure legate alla concorrenza”. Ma il dato politico è ancora più evidente: è quello per cui a Via della Scrofa sembra aver attecchito (o non essere scemato) un certo “lobbysmo bullo” (nell’accezione light, nessuno prenda d’aceto).

Una condotta cioè che non si interfaccia con il quadro europeo e non si conforma alla linea di affaccio del partito al di fuori della sua matrice capitolina da “generone ammanicato”. Tutto questo Giorgia Meloni lo sa? E come la pensa in merito?

La multa che Sordi fece a De Sica

Giorgia Meloni

Il Foglio è impietoso: “In prima fila, a sostenere la tutela delle concessioni, ci sono diversi esponenti del partito del ministro. Lui tratta in Europa, loro difendono le lobby. Lui cerca di evitare strappi a Bruxelles (vedi Mes), loro puntano i piedi su concessioni idroelettriche, balneari e ambulanti.

Urticare la Lega sorpassandola a destra andrà pure bene, con il voto Europeo alle porte. Così come malemale non va nel coltivare fronde interne, ma su temi che interni restino. Cioè dove la dialettica politica non fa danno e fa curriculum.

Però se hai l’Europa a sorvegliarti ed a tenere i cordoni della borsa non conviene scherzare. Perché alla fine Alberto Sordi se ne fregò che De Sica era il sindaco che lo aveva assunto. E abbassando il capoccione sul libretto scrisse serio quel che doveva scrivere e gli fece la multa.