La Lega molto “peace” e poco “love” che punta Meloni e Tajani: alla gola

Il leader del Carroccio è in campagna elettorale "spinta" e sta sottolineando tipicità e differenze con gli alleati. Ogni volta che parla

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Muoversi con cautela perché Giorgia Meloni ha lanciato chiari messaggi ai suoi alleati. Ma comunque muoversi. E farlo saltando in arcione a tutti i temi del momento che possano essere utili per le Europee. La Lega di queste settimane è così: furetta, furtiva e con improvvisi scatti da diavolo di Tasmania. Matteo Salvini tira la corda dei rapporti con la premier alleata con strattoni incontrollati. Poi magari retrocede e lascia qualche metro lasco. Ma è indubbio che si tratti di un tiro alle fune.

Su cosa? Su tutti quei temi che ultimamente stanno in graticola del governo, moltissimi dei quali in pieno reflusso. Fisco, Mef, migranti e giudici “schierati”, guerra in Ucraina, tutto sembra fare brodo per trasformarsi da occasione di coesione a movente di diversità. Perfino sui terribili fatti di Israele il leader leghista sembre voler portarsi “un passo avanti” dalla sua alleata. (Leggi qui: Troppo grave per dividerci su slogan, la guerra di Israele è una cosa seria).

Libero dalle pastoie del potere di massima rappresentanza, ieri da Nicola Porro su Rete4 Salvini ha sfoderato il meglio del meglio della sua visione. Luogocomunismo ed accuse di “complicità” alle frange di Cgil e Pd che hanno “giustificato” la Palestina.

Marcare le differenze con la premier

Matteo Salvini con Nicola Porro

Lui usa quella “differenza” che serve al vicepremier e ministro per marcare le distanze dall’alleata e provare ad intercettare quanti più voti possibili alle Europee 2024. Un mese fa a Roma venne eletto in Davide Bordoni il segretario regionale della Lega nel Lazio. C’era il presidente della Pisana Francesco Rocca e c’era anche un Matteo Salvini in gran spolvero. E proprio all’hotel Ergife di Roma era scattata la protesta di un’attivista solidale con le Ong. Salvini aveva colto la palla al balzo ed aveva fatto Salvini al cubo.

“Un applauso alla prossima partecipante al Festival di Sanremo. Se piacciono le Ong spero che questa ragazza si imbarchi”. In quel frangente risuonarono anche altre parole, più di protocollo. “Congratulazioni a Davide Bordoni eletto all’unanimità Segretario Regionale della Lega nel Lazio, un’elezione che dimostra una importante compattezza ed unità di partito, paradigma necessario per continuare il nostro percorso di importante crescita”.

I sintomi al congresso laziale che ha eletto Bordoni

Parole e Musica di Pasquale Ciacciarelli, che in quell’occasione era stato scelto come membro del direttivo regionale del Carroccio. Ma il dato è un altro: è quello per cui Salvini è in sintonia come non mai sul loop per cui i temi caldi del governo per lui non sono solo spot più alti di una linea comune. No, da un po’ sono anche slogan di identità precisa che tendono a “staccare” il Carroccio dal basto degli alleati.

Tutti amici ma in giro c’è chi per gli elettori suoi e per quelli da intruppare ha cose più sugose da dire insomma.

Ed al di là della questione migranti e dei video post di Salvini sulla giudice Apostolico un altro tema che la Lega sta surfando con tigna autarchica è quello della guerra in Ucraina, attuale come non mai dopo l’apertura di un nuovo fronte bellico ad est. Il clima si è fatto più tiepido: gli Usa di Biden non hanno inviato l’ultima tranche per dare ossigeno al cronometro dello shutdown, la belluina Polonia non vuole inviare più danè e in Slovacchia ha vinto un autarca di sinistra che ha staccato la spina a Kiev. Insomma, se da un lato c’è un’Italia meloniana che è più atlantica che mai con la premier e con l’altro vice della Meloni, Antonio Tajani, dall’altro c’è un’Europa meno compatta che agli esordi.

Armi a Kiev? Magari adesso basta

Il bombardamento su Gaza (Foto: Mahmud Hams © Ansa / Afp)

Ed è esattamente in quel varco da “peace and love” che il Carroccio di Salvini ha deciso di infilare il piede. Lo sta facendo senza neanche tanto stravolgere la sua genetica, dato che la Lega è da sempre diffidente con Zelensky e morbida con Putin, ma stavolta l’occasione è grande. Lo è perché non c’è più la sbornia etica degli esordi e l’ecumenicità della “pace giusta” sta perdendo azioni nel borsino degli stati Ue.

Senza contare che il conflitto tra Israele ed Hamas ha rimesso al centro il problema di una pace conveniente, oltre che “giusta”. Chi lo vuole un est martoriato da due fronti bellici attivi e giganti? Se a questi si aggiunge che proprio per l’Ue si andrà a votare tra otto mesi e che la Lega punta al colpaccio in autonomia tutto è più chiaro.

I sintomi? Ne abbiamo. Come ministro degli Esteri Antonio Tajani ha annunciato al presidente Zelensky che “l’Italia è a lavoro per un ottavo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina”. Ma Salvini nella nicchia dello sparring a tutti i costi ci sta stretto e non solo per antiche motivazioni partitiche. No, lui lì ci sta stretto perché se caldeggiasse l’invio di armi ancora oggi che lo caldeggiano meno governi, si consegnerebbe ad un’Europa a trazione atlantica e Ppe che per lui sarebbe kryptonite.

Romeo Romeo, perché sei tu Romeo…

Il premier Robert Fico

Perciò mai come ora deve sottolineare il discrimine tra ciò che pensa e per cui agisce la premier e ciò che ha in mente lui. Serviva che qualche frutto cadesse dal pero, solo che non era un pero, era un… Fico.

Il premier slovacco è diventato per la Lega il trojan con cui iniziare a tastare il terreno e sondare il sistema nervoso di Meloni. Con un “basta armi a Kiev” oggi si prendono più voti per il Parlamento Europeo e, come spiega Il Foglio, il capogruppo al Senato Massimiliano Romeo aveva alzato le narici al cielo e fiutato l’aria. Poi aveva detto che Meloni non può “rimanere ostaggio della propaganda bellicista. Più papale di così… Romeo aveva incalzato, spiegando che “l’obiettivo della cessazione delle ostilità sembra più una dichiarazione di principio”.

Linea tracciata dunque? No, non ancora, almeno e non del tutto con i toni fluo dell’ammutinamento. Il dato è che la Lega salviniana a Meloni ultimamente non gliene ha mandata buona una. Dossier Germania, Francia di Le Pen contro Francia di Macron, migranti, fisco, minacce all’Austria protezionista sul trasporti: c’è un lungo rosario di doleances che aveva reso i rapporti tra premier e vice elettrici, tanto che Meloni aveva sbottato: “Basta inseguire il consenso a tutti i costi”.

Che Fico, adesso si può manovrare

Matteo Salvini

Ma allora cosa sta aspettando il Capitano per menare l’ultimo fendente all’amica che si appresta a diventare avversaria interna? Le elezioni in Polonia. Se anche da lì dovesse uscire irrobustita la nuova linea malpancista contro le armi a Kiev allora quello sarà il momento buono per Salvini di fare più il leghista che il ministro e vicepremier.

E sarà un momento nel quale il leader del Carroccio ha già preparato il suo alibi. Quale? Quello per cui Giorgia Meloni ha intorno gente che non sa tenere la bocca chiusa perché non vede mai la scacchiera ma solo la pedina che rappresenta.

Fidanza che non gioca a scacchi

Antonio Tajani, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Foto: Livio Anticoli © Imagoeconomica)

Gente come il capo delegazione di FdI-Ecr al Parlamento europeo Carlo Fidanza. Che al Corsera era andato a dire di Zelensky che “forse alcune rudezze nelle sue parole verso gli alleati europei dovrebbero essere un po’ rimodulate.

Spiegando all’universo mondo in pratica che anche la premier ha gatte interne da pelare e che la sua posizione non è quella tuttatutta di Fratelli d’Italia. Il che sta a significare che chi è al comando su una linea atlantica ha una plancia dove c’è gente che ubbidisce ma a denti ormai stretti.

Così Tajani prende d’aceto e lo spiega sornione a Manfred Weber, il Ppe torna diffidente, Ecr resta isolato e Identità rosicchia voti. E con essi tiene a galla un capitano in cerca di nuovi flutti da solcare. Senza (ancora) lasciare la linea della costa, ma già con le caldaie in pressione per il mare aperto.