L'assemblea nazionale dell'Anbi a Roma. Il piano messo a punto da 13 università per contrastare la grande sete. La doccia fredda dell'ex ministro. Le promesse di Battistoni. L'impegno di Leodori. Le follie dalla Toscana. Il primo giorno di lavori dice che o si fa squadra o sarà tutto inutile
L’Italia ha sete. I fiumi sono in secca, le sorgenti al minimo, i ghiacciai hanno iniziato il ciclo della loro estinzione. Roma brucia per il caldo: un inferno di fuoco e fumo è partito dalle sterpaglie arse dal sole nel quadrante Nord, il vento ha fatto il resto spingendo la linea del fuoco per 50 ettari dalla Pineta Sacchetti all’Aurelio. A qualche quadrante di distanza, al parco de’ Medici, l’Associazione delle Bonifiche d’Italia consegna la sua risposta: pronta, immediata, cantierabile da subito.
Il piano presentato dal direttore Massimo Gargano all’Assemblea Nazionale dei Consorzi di Bonifica è il risultato dello studio portato avanti per tre anni da 13 università italiane e non solo. Anbi nei mesi scorsi ha messo intorno ad un tavolo le migliori teste in materia di idraulica e problemi idrici: ne è uscito un progetto che è dannatamente semplice ed efficace. Creare una serie di laghetti artificiali per raccogliere la pioggia.
Tutto qui? Invece no. Perché dietro quei laghetti, dove realizzarli, come farli c’è uno studio dannatamente complesso: perché quegli invasi devono avere la capacità di rifornire i fiumi e dare il tempo alle falde di ricaricarsi; devono tenere conto della spinta necessaria per garantire la qualità delle acque ed impedire che il mare risalga le foci salando i corsi d’acqua dolce ed uccidendo i pesci e le coltivazioni. (Leggi qui: Emergenza idrica e siccità, i Consorzi di Bonifica convocano i guru del clima).
Ne parliamo da troppo, è ora di agire
Abbiamo la soluzione. Ma ha un sapore amaro. Il motivo lo spiega da Strasburgo, in collegamento Skype l’europarlamentare Paolo De Castro. Nel presentarlo, il vice direttore News Mediaset Maurizio Amoroso sottolinea che nell’ambiente delle Bonifiche lo considerano “il migliore ministro dell’Agricoltura che l’Italia abbia avuto nel periodo recente”.
È lui a dire che il piano presentato da Massimo Gargano “Non è una novità. È sicuramente un piano moderno, aggiornato, tarato sulle ultime e più recenti ricerche e scoperte. Ma sono quarant’anni che Anbi ci sta avvertendo che è quella l’unica via d’uscita. Ce lo sta dicendo da quando acqua ce n’era a volontà ma nessuno gli ha dato ascolto”.
Nessuno ha dato ascolto a Gargano ed ai suoi predecessori, ad ambientalisti e climatologi quando avvertivano che stavamo superando il punto di non ritorno. Ora lo abbiamo superato, il prossimo step è tra sette anni: rischiamo di rendere la Terra un pianeta inospitale per l’Uomo. Facciamo ancora in tempo a fare qualcosa? Paolo De Castro è netto: “In Italia abbiamo ancora una quantità ragguardevole di acqua che viene sprecata. Perché non viene raccolta e regimentata”. Si quel progetto è utile e fattibile.
Dalla cultura dell’emergenza alla programmazione
È Francesco Battistoni, il sottosegretario all’Agricoltura a mettere il dito nell’altra piaga aperta: i tempi di realizzazione. Ma questa volta Anbi ha portato tutto: i progetti sono pronti, bisogna solo autorizzarli e finanziarli. Certo, senza aspettate i quattro anni in media che occorrono per autorizzare un’opera idraulica e vedere il via al cantiere. Battistoni sul punto è stato diretto: “Non possiamo permetterci perdite di tempo. Ne è stato perso già a sufficienza. È arrivato il momento di passare dalla cultura dell’emergenza a quella della programmazione”. Per la prima volta nella mattinata al Parco de’ Medici si alza l’applauso.
Riprende il tema anche nella sessione pomeridiana. E lì ribadisce “l’importanza di fare squadra per affrontare le problematiche che toccano la nostra risorsa idrica, efficientando la rete e il settore. Alle risorse pubbliche, bisogna affiancare progettualità che possono venire dai privati e dalle organizzazioni di settore”.
Chiama in causa l’Europa. Lo fa dicendo: “Spero che una risposta positiva arrivi dall’Ue dove giovedì, nella Plenaria. Il tema siccità e i TEA in agricoltura, verranno dibattuti per trovare una visone comune nell’affrontare i cambiamenti climatici, che non riguardano solo l’Italia ma tutta l’Europa”.
E che sia un problema non solo laziale, non solo italiano, lo ribadisce in collegamento da Lisbona il rappresentante di Irrigants d’Europe l’associazione che riunisce le associazioni continentali della Bonifica.
I bastoni tra le ruote
Già, ma occorre poi la volontà di fare le cose. Il dibattito pomeridiano mette a nudo cosa c’è dietro quei quattro anni di attesa media rivelati al mattino. C’è un sistema perverso nel quale chiunque può bloccare un iter mentre il Paese inizia a diventare arido ed i fiumi iniziano a seccarsi.
Non ha peli sulla lingua Stefania Saccardi, assessore all’Agro-alimentare, caccia e pesca nonché vicepresidente della Regione Toscana. Racconta dell’esperienza che hanno vissuto quando hanno provato a farli quegli invasi. Si sono mobilitate finanche le associazioni a tutela della lucertola rosa che doveva attraversare la strada sulla quale andava realizzata l’opera. E poi è arrivata la magistratura, con inchieste e finanche arresti: tutto chiarito, non c’erano reati; ma intanto s’è perso altro tempo.
Un dato è chiaro: fare quei lavori ci sarebbe costato molto meno dell’emergenza che stiamo affrontando in questi giorni. Da meno di ventiquattrore il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza per siccità in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia-Romagna. Il Consiglio dei ministri ieri ha dato l’ok per le Regioni che stanno soffrendo di più la mancanza di acqua e pioggia e che da settimane chiedevano un intervento dell’esecutivo. In tutto sono stati stanziati 36,5 milioni di euro: 10,9 per l’Emilia-Romagna; 4,2 per il Friuli Venezia Giulia; 9 per la Lombardia; 7,6 per il Piemonte, 4,8 per il Veneto.
Il miraggio semplificazione
Il Lazio ci ha provato a semplificare. Ma è stata una via crucis. Lo racconta il vice presidente della Regione Daniele Leodori. Spiega che era stata individuata una dozzina di punti sui quali intervenire, ridotti poi nel corso del dibattito interno. E poi – nei fatti – azzerati quando c’è stato il confronto con il Governo nazionale: ha rivendicato la sua competenza in materia. Il sospetto in sala è che non si volesse avere lo scomodo precedente di una Regione riuscita a semplificare le procedure che lo Stato invece mantiene ancora nei suoi rigidi bizantinismi.
Allora il Piano Invasi ce lo dobbiamo scordare nel Lazio? Daniele Leodori assicura l’esatto contrario. Promette una procedura senza intoppi. E cita un esempio concreto: Anbi Lazio negli ultimi tre anni ha cambiato in modo radicale il suo approccio, raccogliendo la sfida lanciata da Regione Lazio. Che le ha detto ‘volete i fondi? Li abbiamo, sono fondi Ue in scadenza: fateci vedere se siete capaci di fare i progetti in tempo ed all’interno dei rigorosi canoni previsti dall’Unione. Fatto. Missione compiuta. Il Lazio ha cantierato una serie di grossi progetti di sistemazione ed ammodernamento idraulico. Un esempio da prendere come modello, ha detto il vice presidente Leodori.
Paga da bere il direttore del Lazio Andrea renna. In mattinata Ornella Segnalini (Assessore Lavori Pubblici e Infrastrutture Comune di Roma) ha dato la migliore testimonianza dell’efficienza raggiunta dal Consorzio di Bonifica di Roma. Ha annunciato che Roma capitale deve effettuare una serie di lavori di sistemazione idraulica: li affiderà al Consorzio.
Ce lo impongono cibo, energia, autosufficienza
La battaglia contro la siccità è una sfida che non può essere persa. Il motivo lo ha spiegato nell’intervento finale il direttore Massimo Gargano. “Siamo chiamati a immaginare se i Consorzi di bonifica possono, nel terzo millennio, interpretare la risposta che impongono i cambiamenti climatici, la transizione ecologica e l’economia bellica. Lo impongono per il cibo, per l’energia, per quella autosufficienza necessaria anche per la libertà“.
Sta qui quella chiamata alla responsabilità fatta alle università e non solo a loro. “Con loro abbiamo voluto scrivere una cornice e delle linee guida che potessero ispirare la nostra attività nel terzo millennio. Potevamo farlo da soli, ma ci siamo avvalsi di 13 università di tutto il Paese, delle principali associazioni agricole, delle associazioni dei lavoratori, delle associazioni ambientaliste, delle associazioni dei consumatori e degli enti di ricerca pubblici. A tutti abbiamo detto che volevamo affrontare questa sfida e se immaginavano di poter dare un contributo”.
Quel piano invasi è il risultato di un lavoro lungo ed approfondito. “Abbiamo lavorato per tre anni, siamo arrivati alla conclusione e ne siamo orgogliosi. Ancora una volta questo sistema di autogoverno degli associati, fortemente sussidiario, cooperativo e federalista, dimostra con tutta quella progettualità di cui altri prima di me hanno parlato, di poter essere utile a questo Paese, al territorio e all’occupazione“.