Salvini blinda Durigon: “Nessuna nostalgia dei regimi”

Il leader della Lega al lavoro per disinnescare quella che sarebbe una “bomba” nel partito e nella maggioranza. Lo scrutinio segreto, i franchi tiratori, l’ipotesi di dimissioni, lo scannatoio di un Parlamento delegittimato: tutto quello che è in gioco.

Quindi nessuna nostalgia per nessun regime: né il fascismo né il comunismo. E quel parco a Latina è stato per decenni intitolato al fratello di Mussolini, quindi non è nulla di nuovo ma non ci interessa il ritorno al passato. Siamo nel 2021, diritti e libertà non si toccano”: così Matteo Salvini stamattina a Radio24 sulla vicenda che convolge il sottosegretario leghista Claudio Durigon.

Perché la  vicenda che coinvolge Claudio Durigon è particolarmente delicata. Il sottosegretario al Mef sta riflettendo seriamente sul da farsi e deciderà a fine mese. Sta mettendo in conto l’ipotesi delle dimissioni volontarie, che però nessuno gli ha chiesto finora nel Governo. E’ una vicenda interna alla Lega e Durigon lo sa bene. (Leggi qui Il caso Durigon è una “bomba”. Che preoccupa Mario Draghi).

La chiave per comprendere l’intera vicenda sta nello scrutinio segreto del voto sulla mozione di sfiducia che verrà presentata e votata dal Pd. Ma anche dal Movimento Cinque Stelle, da Leu-Articolo Uno e dalla Sinistra. Italia Viva di Matteo Renzi ha già fatto sapere che non voterà la sfiducia. (Leggi qui Ecco perché Renzi non voterà la sfiducia a Durigon).

La bomba che Salvini deve disinnescare

Foto: Livio Anticoli / Imagoeconomica

Il punto sta dunque nel centrodestra. In Forza Italia e nella Lega. Dove circola già da giorni il nome del possibile sostituto, Massimo Bitonci. Un’indicazione gradita all’asse formato da Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia. Cioè, nel segreto dell’urna potrebbero entrare in azione i franchi tiratori che si annidano nella Lega e in Forza Italia.

Durigon si dimetterà prima se avrà questa certezza. Ma per adesso è Matteo Salvini a giocarsi la partita. Il Capitano non può permettersi i “franchi tiratori”, ma non può permettersi neppure un allontanamento di Claudio Durigon, sottosegretario al Mef e coordinatore regionale del Lazio. Fedelissimo del leader leghista, da sempre.

Il Carroccio sta stretto in questa maggioranza, ma deve anche fronteggiare l’avanzata di Fratelli d’Italia, soprattutto a Roma e nel Lazio. Per questo motivo la partita è tutta interna alla Lega.

Il fronte nella maggioranza

Mario Draghi

Ma in ogni caso la mozione del Partito Democratico apre un fronte “caldo” all’interno della maggioranza. Enrico Letta vuole la “testa” del sottosegretario da mostrare nella campagna elettorale per le comunali. Specialmente a Roma. Giuseppe Conte vuole la stessa cosa, ma ad uso interno ai Cinque Stelle.

Resta però da fare un approfondimento sul fatto che sono le polemiche sui fatti storici e sui valori culturali delle forze politiche a creare situazioni come questa. Il che va benissimo, se non fosse che in carica c’è un Governo di salvezza nazionale. Il che richiederebbe un senso di responsabilità in quantità industriale. Invece no.

Ma proprio questo dimostra che la nomina di Mario Draghi presidente del consiglio certifica il fallimento di un Parlamento e di una politica mai così sterili. Tanto è vero che prima di Draghi non c’era una straccio di Piano di vaccinazione e il Recovery Plan aveva diritto di cittadinanza nel mondo delle idee di Platone.

E mentre il Governo deve fare le riforme serie (il Fisco dopo la Giustizia) per ottrenere i fondi del Recovery, i Partiti continuano a “scannarsi” su tutto. Anche al proprio interno, con i franchi tiratori in servizio permanente effettivo.