La figura dell’ex premier non dispiacerebbe a Dario Franceschini e forse potrebbe essere gradita anche a Nicola Zingaretti. In ogni caso rappresenterebbe un segnale fortissimo “contro” Base Riformista. Ma intanto bisognerà vedere se l’assemblea di sabato e domenica non sarà rinviata. Orlando, Pinotti e Finocchiaro le altre opzioni.
Più passano le ore, più un ripensamento di Nicola Zingaretti appare improbabile. E allora, a meno di clamorose sorprese come un rinvio dell’assemblea nazionale fissata per il 13 e 14 marzo prossimi, il Pd deve trovare una soluzione. Non è semplice.
Intanto occorrerà decidere se puntare su un reggente oppure su un Segretario vero e proprio, quindi legittimato totalmente. Nel primo caso si tratterebbe di individuare la figura di un traghettatore per poi celebrare il congresso più o meno tra un anno. Nel secondo caso invece il Segretario arriverebbe fino al 2023, anno di elezioni Politiche e Regionali. Ma in ogni caso nell’immediato si tratterebbe di gestire degli appuntamenti da far tremare i polsi: le amministrative in autunno (alle urne anche Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna) e l’elezione del prossimo presidente della Repubblica, a gennaio 2022.
Ipotesi Letta
Nicola Zingaretti ha più volte ripetuto che non intende scomparire. Vuol dire che vuole avere un ruolo attivo nella scelta del successore. Resta da vedere se reggerà l’intesa che portò lui alla segreteria, quella cioè tra AreaDem di Dario Franceschini e la sinistra di Andrea Orlando. Franceschini vuole un nome forte e operativo.
Quelli che sono in prima fila hanno queste caratteristiche, ma forse serve qualcosa in più. Per esempio Andrea Orlando, attuale vice, è anche ministro. Ed è decisamente complicato pensare che il Pd indicare e convergere su di lui. Peraltro uno dei capi corrente. Poi ci sono due donne: Anna Finocchiaro (che non fa parte di nessuna corrente) e Roberta Pinotti, fedelissima di Franceschini.
Proprio il ministro della Cultura però sta pensando ad altro. Alla soluzione più forte possibile, quella che conduce all’ex premier Enrico Letta. In grado di gestire la permanenza in un Governo di salvezza nazionale guidato da Mario Draghi. Con una maggioranza che comprende anche Lega e Forza Italia. Oltre al Movimento Cinque Stelle. E Italia Viva di Matteo Renzi. (Leggi qui Pd, verso l’Assemblea senza una soluzione definita).
Quel passaggio gelido
Già Matteo Renzi. Ricordate il passaggio della campanella più gelido della storia politica italiana? Enrico Letta lo passò a Matteo Renzi dopo che quest’ultimo lo aveva “giubilato” alla guida di Palazzo Chigi.
Per Enrico Letta sarebbe anche una rivincita, ma il punto non è questo. Il punto è che il Pd ha bisogno di un nome che incarni molte situazioni. La figura di Enrico Letta significherebbe dire ai Cinque Stelle e a Giuseppe Conte che l’alleanza può durare ma vanno rivisti i parametri. Significherebbe anche dire a Base Riformista di Lorenzo Guerini e Luca Lotti che tutto può succedere meno che un rientro di Matteo Renzi nel Partito.
È una soluzione, quella di Enrico Letta, che piace a Dario Franceschini. E che non dispiace a Nicola Zingaretti. Si può fare. Anche se l’assemblea di sabato e domenica dovesse essere rinviata.
Congresso vero o Partito morto
Non è convinto che la soluzione stia in un uomo soltanto, il filosofo ed ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari. “A parte che non vedo stratosferiche altezze da parte di Letta rispetto a Zingaretti, ma al di là di questo particolare, la verità è che Zingaretti ha posto una drammatica questione e cioè che secondo lui, Segretario del Pd, il Partito è assolutamente inadeguato ad affrontare la situazione ben oltre la pandemia e le ultime vicende. Il giudizio di Zingaretti – rimarca Cacciari – riguarda in qualche modo l’intera storia del Partito Democratico”.
Ecco perché secondo Cacciari “o affrontano la questione e sia Zingaretti che Letta o pincopallo dicono ‘abbiamo capito la situazione e ci muoviamo in una ipotesi di completa rifondazione perché non è questione di nome (può essere Letta o Gentiloni o altri) oppure dicono ‘mettiamoci d’accordo, facciamo finta di niente, facciamo un altro bel pastrocchio tra di noi e chi più vivrà più vedrà’. E allora secondo me il Partito è spacciato, anche dal punto di vista elettorale perché non capisco chi potrebbe andare a mangiare in un ristorante il cui proprietario esce dicendo che si mangia da schifo”.
Per Cacciari infatti le dichiarazioni di Nicola Zingaretti hanno segnato di fatto un punto di svolta irreversibile. Perché non sono state dichiarazioni che possono essere messe tra parentesi, “facendo finta che non ci siano state, né è possibile ammorbidirle in qualche modo. Dopo dichiarazioni di quel genere fatte dal Segretario di un Partito l’unica cosa dare è dar vita ad un congresso che sia davvero decisivo in cui le tesi si contrappongano con franchezza e chiarezza cosicché dopo emerga un gruppo dirigente che possa condurre il Partito su una linea precisa. Altrimenti le parole di Zingaretti si trasformano in un puro e semplice epitaffio. Se capiscono questo bene, ma se fanno finta di niente sono morti”.