Dal dialogo in Regione alla benedizione di Prodi: il silenzioso percorso di Zingaretti

Foto: © Imagoeconomica, Raffaele Verderese

Tutto si decide martedì. La strada costruita da Nicola Zingaretti. Dal dialogo con i 5S in Regione Lazio. Fino alla benedizione di Romano Prodi

Tutto dipende da cosa scriverà in quell’ultima mozione. Il futuro del Governo (e buona parte del futuro del Paese) sta in una paginetta ancora tutta da scrivere. A scegliere le parole da mettere nero su bianco sarà il Partito al quale un anno e mezzo fa, un elettore italiano su tre andati alle urne, ha affidato il proprio voto. Il Movimento 5 Stelle sta per scrivere la mozione da presentare in Parlamento e da votare dopo l’intervento del presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte.

Sono tre i possibili svolgimenti del tema. Il primo: cari ex soci leghisti, avete provato a fregarci portandoci a nuove elezioni, vi abbiamo dimostrato che i più forti siamo noi; andiamo avanti tenendolo chiaro in mente. Il secondo: non ci fidiamo più, andiamo avanti con altri partner al posto vostro. Il terzo: torniamo alle urne e decidano i cittadini.

Tanto dipenderà da cosa scriverà su un’altra serie di fogli Giuseppe Conte. Sono quelli con il suo intervento. Le lettere inviate in questi giorni al Ministro dell’Interno lasciano supporre il contenuto di ciò che dirà martedì in Senato il Presidente del Consiglio.

Matteo Salvini

Con molta probabilità si toglierà dalle scarpe una serie di sassolini. Ribaltando il fronte: accusando la Lega di essere il vero freno a mano allo sviluppo del Paese, non il fronte del No a tutto evocato in questo giorni da Matteo Salvini. Rimprovererà al vice premier di avere creato confusione riunendo al Viminale industriali e sindacati mentre toccava farlo al suo collega dello Sviluppo Economico. Lo smaschererà, rivelando che il crollo negli arrivi dei migranti è frutto della strategia voluta da Marco Minniti con il Governo Gentiloni, la Lega c’entra niente. Gli dimostrerà che la dottrina Minniti ha funzionato così bene al punto che il ministro Salvini non ha avuto bisogno di andare quasi mai al Ministero per elaborare un’alternativa. Ma si è potuto permettere di andare in giro per una campagna elettorale permanente.

Poi la mozione. Che andrà votata. Cosa scriverà il Movimento 5 Stelle? Potrebbe lasciare uno spiraglio all’ultimo momento per la Lega e lasciar decidere a loro cosa votare: confermare il contratto di governo o confermare la rottura annunciata a Sabaudia. In entrambi i casi sarebbe una sconfitta per la Lega: ne uscirebbe comunque ridimensionata da una retromarcia ingranata in piena corsa, oppure da una crisi sfuggita del tutto dalle mani.

Zingaretti e Ruberti

Il momento della scrittura sarà quello in cui entrerà in azione la linea di dialogo costruita dagli sherpa del Partito Democratico con il M5S. E della quale Nicola Zingaretti dice di non sapere niente usando l’espressione “Non ho contatti con il Movimento 5 Stelle“. Verissimo: non si troverà nessuna sua impronta digitale. Ma a cercarle in Regione Lazio si troverebbero quelle del suo espertissimo vice presidente Daniele Leodori, del suo attivissimo presidente del Consiglio Mauro Buschini, del suo diplomatico e felpatissimo direttore generale Albino Ruberti. Che la linea di comunicazione l’hanno stabilita con le truppe di Roberta Lombardi, capogruppo grillino alla Pisana, già capogruppo a Montecitorio. (leggi qui Il Retroscena. Così la ‘sintonia’ Pd-M5S ha blindato l’Aula della Regione Lazio).

Sia Zingaretti che Leodori, Buschini e Ruberti vengono dalla vecchia scuola. Quella che agisce nel buio e fa trovare tutto costruito appena si accende la luce. Quella nella quale Breznev e Carter non si incontrarono mai ma la storia poi ha dimostrato che i contatti tra gli sherpa delle due superpotenze, riservatamente, avvenivano. Il Segretario nazionale del Partito Democratico aveva previsto anche uno scenario di stallo come quello attuale: nel quale i conti impongono a tutti i costi di evitare una crisi, anche a costo di attuare un ribaltone. È fisiologico, fa parte della natura del sistema semiproporzionale con cui sono state composte le Camere.

È grazie a quella linea di dialogo interna con l’ala Fico – Lombardi – Di Battista che sta in piedi ancora adesso l’ipotesi di un premier che martedì tirerà fuori quelli che ritiene siano i fallimenti di Matteo Salvini e quindi le inadempienze della sua parte, al contratto. È un passaggio chiave. Perché – contrariamente a quanto si dice in questi giorni – toccherà ai Partiti presentarsi al Quirinale con una soluzione alla crisi.

Prodi e Zingaretti

Il resto della strategia si completa con la benedizione arrivata in queste ore da Romano Prodi: il papà dell’Ulivo, l’unico uomo che per due volte ha battuto alle urne Silvio Berlusconi in mattinata, con un fondo su Il Messaggero, ha dato la sua benedizione ad una coalizione composta dalle forze politiche che a Strasburgo hanno eletto la nuova presidente della Commissione von der Leyen. È la coalizione dalla quale è partito tutto, spingendo Matteo Salvini a fare l’unica mossa possibile per evitare di finire su un binario morto. (leggi qui Il binario obbligato di Salvini per arrivare a tutto e non restare senza niente).

Ora, tutto dipenderà da cosa decideranno di scrivere su quelle pagine martedì.

Il tutto mentre a livello locale continua a regnare il silenzio. O il silenzio o frasi di circostanza, equilibrate, preoccupate di tenere insieme tutti gli scenari possibili. A livello locale nessun big si è sbilanciato su questa crisi di ferragosto.

Segneri e Buschini

Il Movimento Cinque Stelle ha tre parlamentari: Luca Frusone, Ilaria Fontana ed Enrica Segneri. Loro naturalmente hanno sostenuto in questo anno e mezzo il governo gialloverde. Adesso lo farebbero ancora? Si fiderebbero ancora di Matteo Salvini e del Carroccio? Oppure preferirebbero un’intesa con il Partito Democratico. Tra la piattaforma Rousseau e la base esistono i gruppi parlamentari. Sarebbe importante conoscerne le sfaccettature, i convincimenti politici.

Nella Lega a livello locale non c’è spazio per una riflessione critica nei confronti del suicidio politico di Matteo Salvini. Prevale il profilo del tifoso. Prevale nel sottosegretario Claudio Durigon, nei parlamentari Francesco Zicchieri, Francesca Gerardi, Gianfranco Rufa. “C’è solo un Capitano”. Si capisce, ma se la Lega dovesse finire all’opposizione dopo essere stata ad un passo dal chiedere e ottenere i pieni poteri democratici, qualcosa significherà?

Nel Pd allineati e coperti i fedelissimi zingarettiani, da Francesco De Angelis a Mauro Buschini. Ma pure i simpatizzanti renziani, a cominciare da Antonio Pompeo e Valentina Calcagni.

Quadrini e Ciccone

In Forza Italia la linea la sta dettando Claudio Fazzone ed attuando sul territorio Gianluca Quadrini. I rumors dicono che il silenzio di Salvini abbia irritato Berlusconi. E che una parte delle truppe azzurre potrebbe appoggiare un governo di Salute Pubblica in chiave antisovranista. Per il resto, Mario Abbruzzese ha seguito Giovanni Toti, molti altri hanno inserito la marcia indietro o la velocità di crociera. Dopo giorni di tensione c’è stato il disgelo con un pranzo tra Quadrini ed il coordinatore provinciale Tommaso Ciccone del quale chiedeva le immediate dimissioni.

Gerardo Antonazzo

L’unico sussulto è arrivato da un sacerdote, don Donato Piacentini, in un’omelia che è rimbalzata in tutta Italia. Per lui ci sono prima i poveri italiani e nutre dubbi che molti dei profughi scappi da guerre e viva in condizioni di povertà. Naturalmente il Vescovo Gerardo Antonazzo ha preso le distanze, mentre il leader di Forza Nuova Roberto Fiore gli ha offerto la tessera onoraria. Nessuno però, specialmente nelle alte sfere ecclesiastiche, ha ricordato che in fondo anche Gesù, Maria e Giuseppe erano dei clandestini che fuggivano da persecuzioni.

Chissà se anche questo entrerà negli appunti del premier Conte per il suo intervento di martedì.