Le Langhe di Giuseppe Cortese, gigante umile

La spina dorsale del versante Barbaresco e un'eredità di tenacia familiare che ha figliato vini immensi. Che soggiogano la memoria nei mille profumi di beve memorabili.

Marco Stanzione

Non invitatemi mai a bere...

È ufficiale, le Langhe danno dipendenza. Dal basso Lazio non è facile andarci spesso ma con la mente ci vai quasi ogni giorno. A me capita, basta aprire la galleria del mio smartphone e vedere le foto che ho fatto per viaggiare di nuovo e trovarmi in mezzo a quelle straordinarie colline.

Il patrimonio UNESCO che non è fatto di mattoni ma di foglie, acini, grappoli e fatica. Immagino i profumi delle cantine, dei mosti, delle botti… E allora stappo una bottiglia e vi racconto chi l’ha fatta, attraverso sensazioni e ricordi.

Oggi vi parlo di un gigante delle Langhe, una persona che ha contribuito con i suoi vini a costruire la spina dorsale del versante Barbaresco. Oggi stappo un Rabaja e vi racconto la mia visita alla cantina Giuseppe Cortese.

Da viticoltore a produttore di vino

La cantina Cortese

«Giuseppe ci ha insegnato tutto – spiega Gabriele, nostro cicerone in cantina e genero di Giuseppe Cortese –. Tutta la sua famiglia veniva da generazioni di viticoltori nati proprio su questa collina. Ma se oggi parliamo ancora di Cortese come uno dei più importanti produttori della zona è proprio grazie a Giuseppe».

Si perché Giuseppe era un tipo ostinato e geniale, quindi ad un certo punto ha compreso le potenzialità delle sue terre, l’inclinazione e la posizione perfetta delle vigne. E ha deciso di smettere di vendere le proprie uve migliori alle grandi cantine della zona. Per cambiare registro.

«Era il 1971, Giuseppe aveva trent’anni quando ha smesso di essere un viticoltore e ha iniziato a pensare e ad agire come un vero e proprio produttore di vino. Quindi lavoro più selettivo in vigna, più attenzione alla qualità e meno alla quantità». 

La famiglia: valori e tenacia 

La famiglia Cortese e le langhe, un binomio indissolubile

Gli anni passavano e le intuizioni di Giuseppe si palesavano giuste. Perché a fine anni 70 i suoi vini arrivano in tutta Europa. A metà degli anni 80 lo sbarco oltreoceano.

Ma la vera forza di questa cantina sta nei valori, mai cambiati dopo decenni e rafforzati dopo la morte di Giuseppe, due anni fa. «Giuseppe ci ha trasmesso conoscenze che vanno oltre l’aspetto lavorativo/ economico. Il figlio Pier Carlo ne ha raccolto il testimone ed è l’enologo dell’azienda. Siamo sempre stati sicuri del nostro prodotto ma non abbiamo mai smesso di essere umili. La gestione è stata ed è tutt’ora familiare».

«Qualcuno tempo fa disse che noi eravamo tra i precursori dei vini naturali nelle Langhe ma questa definizione non credo ci appartenga. Abbiamo sempre fatto i vini in maniera tradizionale, Nebbiolo in botti grandi, fermentazioni spontanee e nessun prodotto chimico. Ma non siamo i precursori di niente perché ci sono produttori in zona che ci hanno pensato prima di noi. Forse qualcuno ha seguito le nostre orme ed è bello essere d’ispirazione ma i precursori sono stati altri». Umiltà, appunto. 

I vini: Langhe Nebbiolo 2018

Quando ti approcci ad un produttore delle Langhe la prima opinione che cerca è proprio sul Nebbiolo “base” diciamo. Perché per molti di loro si tratta del vino di punta anche se vino di punta non lo è. Ma che carattere già da “ragazzino”!

Un vino che ha una sua struttura bella e definita, matura un anno in botti di rovere e poi almeno sei mesi in bottiglia. Si presenta di un rosso intenso, al naso bacche rosse, biancospino, ciliegie. Pulito e fresco al palato, tannini delicati. Non un vino di punta, dicevamo, ma un vino base che base non è perché è già importante. Questo con i suoi 14 gradi e con capacità di abbinamento anche con piatti di carne e formaggi semi stagionati.

Iniziamo bene!

Barbera D’Alba DOC Morassina 2016

Ora viene il bello, almeno per il sottoscritto. Questo barbera l’ho assaggiata diverse volte e questo la dice lunga sui ritorni. Perché dalla prima volta è stata sempre ben definita ed è uno di quei sorsi che difficilmente si dimenticano. Perché? Facile rispondere, perché racchiude tutto quello che può piacere in un vino, per appassionati e non. Una versatilità spaventosa, una complessità unica e per finire una facilità di bevuta che ha pochi eguali. Dopo 18 mesi in piccole botti francesi, alcune anche di secondo passaggio, e sei mesi almeno in bottiglia.

Le tre bottiglie iconiche del lavoro della famiglia Cortese

Dopo questo si presenta di un rosso rubino impenetrabile, ai margini del calice leggeri riflessi porpora. L’olfatto è ciò che ti resta più nella testa, almeno per me, intenso, leggermente vinoso, sentori di visciole, prugne e spezie. In bocca è asciutto ed avvolgente, sorprende la freschezza ed il finale morbido e abbastanza lungo.

Come dicevamo prima è un prodotto estremamente versatile anche a tavola. Però a mio avviso la morte sua è la pasta al ragù, decidete voi quale, lasagne, cannelloni, agnolotti… boh. E’ talmente buono che anche l’abbinamento passa in secondo piano!

Barbaresco DOCG Rabaja 2017

Questa l’ho bevuta a casa, l’ho stappata e ho iniziato a scrivere queste righe nell’attesa di poterla degustare dopo una mezz’oretta di aria. Perché a casa? Perché prima di tutto sono un masochista. Oggi è una giornata di nostalgia e ricordi e voglio farmi del male guardando le foto delle Langhe di quest’estate. E poi ho voluto il tempo necessario che merita una bottiglia come questa, non semplice ma di grande soddisfazione.

Verso e guardo le foto della vigna Rabaja, da cui prende il nome il vino e la zona. Una vigna bellissima, delicatamente spalmata su di una collina.

Le migliori selezioni delle migliori annate finiscono in questa bottiglia che ho appena aperto. Non semplice dicevo, perché il Barbaresco non lo è, proprio per questo già mi affascina. Ci dobbiamo sedurre a vicenda, è un corteggiamento vero e proprio. E questo non si può fare in una degustazione breve. Tutto parte dallo sguardo, i miei occhi vedono un granata limpido e un movimento sinuoso e consistente. L’olfatto è un rincorrersi: tutto è maturo, dai frutti di bosco, alla fragola e ai lamponi.

Pochi luoghi ammaliano la memoria come le Langhe

Dopo qualche minuto la liquirizia, il cacao, il cuoio ed il tabacco. Il sorso all’inizio e pieno e scontroso, poi dilagante. Acquista eleganza sorso dopo sorso, una trama tannica fitta sempre presente ed un finale piacevolmente lungo. Come tutti i vini del genere consiglio di non abbinare. Se proprio volete, degustatelo con piatti di carne, formaggi stagionati. Ma io vini del genere li bevo in solitaria e in solitudine. Qualche stuzzichino solo per non abbandonare lo stomaco ad un duro lavoro, ma Rabaja va degustato nella sua purezza!

Un grazie a Gabriele per il tempo che ci ha dedicato, una persona competente ed estremamente gentile. Vi lascio con un consiglio: Se avete una bottiglia di Rabaja conservatela per almeno un decennio (io ne ho un paio hehe…). Poi, se ce l’avete già da tanti anni bevetela con Silk di Wolf Alice in sottofondo, non ve ne pentirete!