Top e Flop. I protagonisti della giornata appena conclusa. Per capire meglio cosa ci attende nelle prossime ore
TOP
EMANUELE MACALUSO
È il grande vecchio della Sinistra italiana. Nel senso letterale, anagrafico. Emanuele Macaluso ha criticato fortemente la posizione del Pd sul referendum. Ha detto all’Huffington Post di ritenere la posizione dei Democrat stupida.
Spiegando: “Sì, stupida. Non c’entra niente, il governo, la tattica, queste cose… Niente. Ed è una posizione sbagliata due volte. Primo sul piano dei principi: il punto è la Costituzione, cioè la Carta fondamentale, le regole che riguardano tutti. E prescinde dai governi: le Costituzioni restano, i governi passano”.
“È sbagliata anche politicamente. Il governo si deve mettere da parte, mostrare una sua neutralità. Se si schiera col sì, si indebolirà molto seriamente, perché è chiaro che politicizza anche il “no”. A quel punto chi vota No vota no contro il Governo. Vedo che c’è già un bel pezzo della sinistra in piazza per il No. Perché dire che sono contro il governo?”.
Ragionamento impeccabile, che fra le altre cose riporta al centro del ragionamento un principio cardine della sinistra italiana: la centralità della Costituzione. Un ulteriore elemento di riflessione per Nicola Zingaretti.
Padre costituente.
TOMMASO MIELE
Non ama i riflettori, gli preferisce le buone relazioni. Forse perché quelle si fanno a tavola e da seduti. Il giudice Tommaso Miele, presidente della Corte dei Conti del Lazio, questa volta però ha dovuto rompere la sua tradizionale riservatezza. E rilasciare una dichiarazione ufficiale. È finito nel mirino di una macchina del fango che ha un solo obiettivo: toglierlo dalla corsa per diventare presidente nazionale della Corte (leggi qui Il trappolone a Tommaso Miele ed i falsi tweet su Renzi).
Non avendo né vizi né scheletri nell’armadio, avendo come unico eccesso quello della buona tavola, trovare qualche schizzo di fango da tirargli addosso è stato complesso. Si è dovuti arrivare a scavare nei tweet di quattro anni fa. Individuandone alcuni nei quali l’allora premier Matteo Renzi veniva insultato in maniera triviale.
Tommaso Miele, oltre che di solida preparazione e specchiata moralità, è di rigorosa onestà intellettuale. Quella che nelle ore scorse lo ha portato a scusarsi con Matteo Renzi. Non per le frasi scritte in quei tweet ma per avere lasciato incustodito 4 anni prima il suo iPad. Ed avere così permesso a qualcuno di utilizzarlo a sua insaputa.
Il magistrato, infatti, non è in grado nemmeno di dire se quei tweet esistano o meno. “So solo che quei tweet non sono miei, non mi riconosco in quelle parole. Io non uso quel linguaggio. (…) Lasciavo l’Ipad senza password perché potessero usarlo i miei collaboratori per la ricerca di leggi o provvedimenti. Un errore che oggi non ripeterei. Riconosco di essere stato poco accorto da questo punto di vista. (…) Chiedo formalmente scusa non già per il contenuto dei tweet che non sono miei, ma per il fatto che siano stati pubblicati per effetto di mia mancata vigilanza sul profilo social“.
Chi è stato? Miele lo sa benissimo. E nel linguaggio di chi frequenta da anni i Palazzi lo dice: Non ci voglio neppure pensare che in una magistratura, in occasione della nomina del vertice, si ricorra a complotti”.
Ti conosco mascherina.
ANDREA CRISANTI
Da scienziato può permettersi il lusso di non dover essere né simpatico né popolare. Andrea Crisanti, ordinario di microbiologia all’Università di Padova, è il virologo che all’inizio della pandemia ha “salvato” il Veneto. Ora il Governo vorrebbe affidargli la supervisione di questa fase dell’emergenza Covid.
Lui non si preoccupa di “piacere” a tutti i costi. E a proposito delle mascherine nelle scuole ha detto: “Le mascherine servono e funzionano. Se teniamo gli studenti tutti zitti per ore va bene che non la indossino in classe, ma non ce la vedo una classe che sta in silenzio per ore. Di fatto aboliamo l’interazione sociale in una classe, perché nel momento in cui si parla si emette droplet. I ragazzi dovrebbero avere a disposizione la mascherina e se parlano se la mettono. Le mascherine andrebbero indossate anche seduti al banco, specialmente se si inizia una conversazione. A scuola si parla”.
Poi sui tamponi ha aggiunto: “Quelli che facciamo adesso ci bastano appena per controllare la situazione. L’aumento del numero dei tamponi è una cosa positiva ma consideriamo che le scuole non sono ancora ripartite, che le attività produttive ripartono questa settimana e che ci sono milioni di persone che entrano e escono dall’Italia ogni mese. Ci dovrebbero bastare tra i trecentomila e i quattrocentomila tamponi al giorno”.
La strada per “controllare” la pandemia è fatta di verità scomode. Non di “leccaculismi”.
Scienziato vero.
FLOP
ALFONSO BONAFEDE
Bufera politica senza precedenti sulla vergogna dei boss usciti dalle carceri durante la pandemia e non ancora rientrati negli istituti di pena. A sparare ad alzo zero contro il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, per chiederne le dimissioni, è stata l’opposizione. E questo, nonostante i decreti con i quali il Guardasigilli ha dato lo stop alla circolare del Dap che, ad inizio pandemia, aveva previsto la possibilità dei domiciliari.
Su 223 esponenti della malavita, 112 si trovano ancora a casa: è la notizia che ha scatenato le reazioni. Giorgia Meloni ha attaccato: “È scandaloso che 112 mafiosi e narcotrafficanti scarcerati durante il lockdown non siano mai tornati dietro le sbarre e si trovino ancora ai domiciliari. Bonafede aveva giurato che dopo averli liberati li avrebbe riportati uno ad uno in galera, ma era una colossale menzogna. Fratelli d’Italia lo ha denunciato fin dall’inizio: per riportare i boss in galera bisognava revocare, e non semplicemente sospendere, la scellerata circolare del Dap che ha spalancato le porte del carcere ai mafiosi e cancellare immediatamente l’ignobile articolo 123 del decreto ‘Cura Italia’, che ha introdotto il nesso tra detenzione e rischio contagio. Bonafede abbia la decenza di dimettersi”. Scatenato anche Matteo Salvini.
Il ministro Alfonso Bonafede, difeso dalla maggioranza, si è limitato a a replicare che sulle scarcerazioni legate all’emergenza coronavirus “decise dalla magistratura in piena autonomia e indipendenza nel bel mezzo della pandemia”, il ministro della Giustizia ha “già avviato uno stretto monitoraggio per verificare l’applicazione dei due decreti antimafia”, che hanno “imposto ai giudici di rivalutare le loro decisioni”.
Polemica politica a parte, siamo in presenza di qualcosa che veramente fa indignare gli italiani. Possibile che un ministro non possa fare nulla? Nemmeno scusarsi? Un monitoraggio, per quanto stretto, non può bastare.
Scaricabarile.
PAOLA DE MICHELI
“Abbiamo istituito una commissione per capire qual è lo strumento migliore per collegare la Sicilia alla Calabria. Per collegarle su ferro, su strada e con una pista ciclabile”.
Sì, una pista ciclabile. Lo ha scritto con un tweet la ministra dei Trasporti e delle Infrastrutture Paola De Micheli. Sui social si è scatenata l’ironia a suon di battute al vetriolo da parte degli esponenti del PD, il partito della De Micheli.
Matteo Orfini: “Si potrebbe provare pure con il teletrasporto”. C’è chi ha proposto il monopattino. Però insomma, a volte uno se la pure cerca. Ma al di là dello scivolone da cinguettio, ogni volta che si parla di ponte sullo Stretto si decide di… farlo al prossimo giro. E finisce sempre in farsa.
Però con la pista ciclabile si potrebbe pensare a farci passare il Giro d’Italia.
Maglia rosa.