Top e Flop. I protagonisti della giornata appena conclusa. Per capire meglio cosa ci attende nelle prossime ore
TOP
NICOLA ZINGARETTI
Il Lazio come laboratorio politico. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti ha spiegato alla Direzione regionale del Partito che l’allargamento al Movimento 5 Stelle è il passaggio fondamentale e vincente “per costruire un nuovo centrosinistra più competitivo in tutte le elezioni future”. (Leggi qui Zingaretti lancia dal Lazio l’alleanza competitiva col M5S).
Il tema all’ordine del giorno era la discussione sull’ingresso dei pentastellati nella giunta regionale e nella maggioranza alla Pisana. Zingaretti non si è nascosto e ha detto: “Dalla Regione noi costruiamo un modello di un possibile nuovo centrosinistra, in cui il Pd è il principale protagonista e che è un credibile argine alle destre per vincere nei comuni. Questa nuova alleanza sicuramente renderebbe competitiva la futura sfida alle regionali e riapre la grande partita dei collegi quando tra un anno si voterà. Dobbiamo cominciare a seminare i semi di una competitività ovunque”.
Passaggio di grande importanza quello sui collegi, perché fa capire come la nuova legge elettorale sia tornata in gioco. E non è più scontata l’impronta proporzionale. E’ tornato ad affacciarsi il maggioritario.
Per il segretario del Pd l’apertura ai 5 Stelle è strategica. Ha affermato: “Si ritorna a combattere per vincere ovunque. Anche in quei territori del sud del Lazio che sono sempre più difficili e nei capoluogo dove abbiamo perso. E questo lo puoi fare solo se rilanciamo il partito democratico e nei sistemi maggioritari lo accompagniamo con alleanze competitive”.
Mentre Base Riformista, anche oggi, continua a chiedere il congresso, Zingaretti guarda al futuro.
Costruttore e volenteroso.
GIUSEPPE CONTE
Secondo il sondaggio Swg realizzato per la La7 una eventuale guida politica di Giuseppe Conte farebbe avanzare il Movimento Cinque Stelle di 6,2 punti percentuali, con la possibilità di arrivare fino al 22%.
Sicuramente il sondaggio va preso con le molle, ma è comunque indicativo. Il punto però non è soltanto questo. Dopo la disastrosa uscita di scena (negli occhi ci sono ancora le immagini dei tentativi di raccattare “responsabili” in ordine sparso), Giuseppe Conte ha saputo fermarsi. Tornando a fare il professore universitario, riducendo al minimo gli interventi pubblici, facendo gioco di sponda con Beppe Grillo.
Sa perfettamente che nei Cinque Stelle il suo ruolo è sopportato nella migliore delle ipotesi e duramente osteggiato nella peggiore. Ma fa finta di niente. In ogni caso gli va dato atto di una trasformazione per nulla semplice.
Giuseppe Conte fu catapultato dai Cinque Stelle a Palazzo Chigi, dove si ritrovò “stretto” nella morsa formata da Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Poi, dopo il “suicidio politico” della Lega, ha guidato un Governo insieme al Pd, a Leu e soprattutto a Matteo Renzi. Proprio Renzi lo ha silurato. Non era semplice rialzarsi e non era semplice accettare la sfida di provare a rifondare il Movimento Cinque Stelle, sfibrato da tre anni di Governo e da lotte intestine senza sconti. Giuseppe Conte ha accettato.
Ci mette la faccia.
FLOP
GIORGIA MELONI
Che Matteo Salvini (Lega) e Antonio Tajani (Forza Italia) abbiano esultato platealmente per il fatto che Domenico Arcuri non sia più il commissario straordinario per l’emergenza Covid ci sta. Entrambi hanno accettato la sfida del Governo, mettendo in conto di perdere qualche voto. E la sostituzione di Arcuri l’avevano chiesta soprattutto loro.
Che esulti platealmente anche Fratelli d’Italia ci sta fino ad un certo punto. Perché stare all’opposizione di un Governo di unità nazionale richiederebbe maggiore “intransigenza”.
Giorgia Meloni ha detto: «Bene ha fatto il presidente Draghi a rimuovere Domenico Arcuri da commissario straordinario per l’emergenza Covid-19. Siamo stati tra i primi a chiedere di dare un netto segnale di discontinuità sulla pessima gestione del governo precedente. Lo abbiamo detto chiaramente già durante le consultazioni, quando abbiamo consegnato al presidente Draghi un dossier con tutte le anomalie e zone d’ombra della gestione commissariale. Buon lavoro al generale Figliuolo per questo importante incarico. Le nostre idee, le nostre proposte e il nostro contributo in Parlamento sono a sua disposizione».
Allora, quando si tratta di salire sulle barricate per capitalizzare l’opposizione, non si esita a prendere le distanze perfino dagli alleati del centrodestra, con i quali Fratelli d’Italia si presenterà alle elezioni. Se poi però c’è un risultato politico ascrivibile soprattutto a Lega e Forza Italia, allora si rispolvera l’opposizione costruttiva.
Due parti in commedia.
VITO CRIMI
Fino a prova contraria è ancora lui il capo politico del Movimento Cinque Stelle. Vale la pena di leggere come l’Huffington Post ha riportato la seguente notizia: “Io ho sempre chiesto il dialogo, un confronto. Ma si preferisce epurare…”. Simona Suriano è tra gli oltre venti deputati M5s espulsi per non aver votato la fiducia al governo Draghi.
Nel caso specifico lei, insieme ai colleghi Cristian Romaniello e Yana Ehm, non ha partecipato al voto, decisione che le è costata una lettera ricevuta oggi in cui le è stato comunicato di essere stata cacciata. Non ha dubbi sul fatto che la linea pentastellata ormai sia questa.
Soltanto ieri si era ventilata l’ipotesi di una “grazia” per i parlamentari pentastellati che avessero voluto “redimersi”. Anche se Barbara Lezzi aveva tagliato corto: “Non mi presterò a umiliare me stessa e le mie ragioni. Non saranno i caminetti e i leader occulti improvvisati nelle call a farmi cospargere il capo di cenere”.
Però il punto vero è questo. Nel Movimento Cinque Stelle in tanti ricordano i Dieci Piccoli Indiani di Agatha Christie. Per un semplice fatto: sono decine i deputati e i senatori che sono stati espulsi. Possibile che non si riesca mai a sviluppare un ragionamento politico e accettare il dissenso interno? Neppure una fase dedicata come questa?
Vito Crimi dovrebbe perlomeno provarci. Altrimenti che ci sta a fare.
Ne rimarrà uno solo (dei Dieci Piccoli Indiani).