Top e Flop, i protagonisti di sabato 24 giugno 2023

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 24 giugno 2023.

I fatti, i personaggi ed i protagonisti delle ultime ore. Per capire cosa ci attende nella giornata di sabato 24 giugno 2023.

TOP

ELLY SCHLEIN

Elly Schlein (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Reduce dalla scelta di Campobasso, dove ha deciso di affratellarsi con il M5S, Elly Schlein ha avuto un merito in queste ore che non sta esattamente nella sua “agenda genetica”: quello di puntare alla giugulare le debolezze degli avversari politici e di mordere, invece di mettere da parte la “meschinità buona” del leader di razza e limitarsi ad enunciare concetti. (Leggi qui: Campo largo e Campobasso, ma D’Amato ci vede solo Amici miei).

La Segretaria dem è scivolata sulle dichiarazioni in merito alla tragedia del Titan comparata in benaltrismo all’inerzia sui migranti ma stavolta si è rimessa in piedi subito, ed ha virato sul concreto. Schlein lo ha fatto dopo che questa settimana il governo capeggiato da Giorgia Meloni ha incassato un altro “colpo basso” in sede parlamentare, dimostrando che a fare la tara a decretazione diretta e voti di fiducia non è affatto invulnerabile da scossoni.

E la Schlein ha colto questo aspetto ed ha deciso di affilare i denti per gli avversari invece che le unghie per l’armocromista. E ha detto, affondando il coltello nella ferita: “La maggioranza è nel caos. Dopo quanto avvenuto alla Camera sul Mes, con il ministero dell’Economia che sconfessa la propaganda del governo, oggi al Senato non riesce a far approvare emendamenti preparati all’ultimo minuto, che cercavano di mettere toppe ai tanti obbrobri contenuti nel Dl Lavoro, e va sotto“. (Leggi qui: La strada sbarrata di Salvini: Visco e Santanchè mettono ‘in crisi’ Meloni).

Ma bisognava anche enunciare i punti di debolezza ed amplificare la portata di quello che tutto sommato resta un episodio, ancorché sintomatico di possibili crepe, a contare la situazione attuale in Forza Italia e il caso Santanchè: “Il Dl Lavoro era una delle bandiere programmatiche del governo Meloni. Oggi le forze di maggioranza non riescono nemmeno a garantire che gli emendamenti della relatrice siano approvati”.

Poi il giudizio, apodittico e molto “alla Schlein” ma dopo un paio di morsi ci sta anche la roba di concetto: “Il Dl Lavoro è un provvedimento sbagliato, che va cambiato, e noi continueremo ad opporci a norme che aumentano precarietà e povertà. La verità è che questo esecutivo non sta in piedi, incapace di passare dalla propaganda ai fatti”.

Mezza metamorfosi.

MATTEO PIANTEDOSI

Matteo Piantedosi

La presenza è fondamentale. Fa nulla se sanno che ci sei e stai a cento chilometri appena e non nell’altro emisfero del globo terracqueo. Esserci, in presenza, è un’altra cosa. Vuoi mettere avere la bella collegata da remoto sullo smartphone o averla lì in presenza a due passi da te? Ecco, la visita del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a Latina ha dato un segnale di presenza dello Stato ad una città che mai come in questo momento ne aveva bisogno.

Perché i chioschi prendono fuoco, i conti si regolano in strada ed in pieno giorno: roba da Gomorra e non da una perla realizzata pochi decenni fa come emblema di un mondo nuovo. Latina si sta casertizzando. E lo Stato deve decidere se cedere ai malommini anche questo angolo di Paese. O tenereselo stretto. Mandare il ministro dell’Interno è già un segnale.

Meglio ancora. il ministro dice coram populo, come ha fatto, che «Latina è un territorio importante, stretto tra due città metropolitane come Roma e Napoli, con la presenza della criminalità organizzata ma con forze dell’ordine all’altezza». Presiedere il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, insieme ai comandanti provinciali di carabinieri, polizia, guardia di finanza, vigili del fuoco oltre al procuratore De Falco ed al presidente della Provincia ed al sindaco del capoluogo, rappresenta un altro chiaro segnale.

Meglio se non avesse detto che i numeri sono «in linea con le altre province italiane», meglio quando ha ammesso «i numeri non sono esaustivi dei problemi, Latina mantiene una certa effervescenza». Ecco, ora lo Stato ne prende atto. E non si gira dall’altra parte. Adesso è il momento di passare alla fase due: quella della croncretezza.

Un primo passo.

FLOP

ALFREDO MESSINA

Alfredo Messina (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

E’ stato uno dei manager più fidati di Silvio Berlusconi, tanto fidati da diventare il “custode”, legale e quasi sacrale, del simbolo di Forza Italia. Di quello e delle sue casse. Alfredo Messina ha dovuto però fare i conti con i conti messi su carte dalla famiglia del leader azzurro, ed è stato sostituito come quei Gran Maggiordomi di palazzo le cui sorti vanno solo e soltanto a traino con la vita terrena dei monarchi assoluti.

La notizia per cui Forza Italia era pronta a cambiare il suo uomo dei conti, il cosiddetto tesoriere era nell’aria da tempo ma ha trovato sostanza nell’ordine del giorno del Comitato di presidenza convocato nella sede nazionale del partito a Roma. In agenda ufficiale c’era esattamente quel macigno per un pezzo di storia azzurra: “Sostituzione del commissario dell’amministratore nazionale”.

Quell’incarico era in testa a lui, il fedelissimo ex senatore azzurro e manager Fininvest, Alfredo Messina. E il simbolo di Forza Italia, secondo lo Statuto, ha una titolarità singola e nominale. Il suo uso in qualsiasi competizione elettorale appartiene al tesoriere del partito pro tempore.

Solo che dopo la morte del Cav lo storico emblema azzurro ideato nel ’93 e lanciato l’anno successivo, quello della discesa in campo, era diventato oggetto del desiderio sia della famiglia di Berlusconi, che vorrebbe assumerne il controllo diretto, che dei vertici di un partito non immune da correntismi di ritorno innescati dalla dipartita dell’uomo cardine.

Messina era anche commissario-amministratore nazionale, una sorta di depositario che aveva esclusiva facoltà decisoria sul “brand” forzista. Poco tempo fa, durante il primo e lungo ricovero di Berlusconi al San Raffaele di Milano, aveva spiegato: “Da statuto così è previsto, io sono il depositario del simbolo e nessuno ha chiesto di cambiare lo statuto”. Non fino a poche ore fa, almeno.

Le ultime parole famose.

RICCARDO MASTRANGELI

È come la fase di scarico dopo la botta di adrenalina. Come l’urlo con il quale liberi tutta la tensione accumulata. È una fase pericolosissima: perché è il momento in cui il giornalista carogna (cioè quello che sa fare benissimo il suo mestiere e conosce i tempi giusti) ti piazza il microfono sotto al naso sapendo che hai bisogno di sfogarti.

Riccardo Mastrangeli ieri mattina ha avuto la sua umana fase di scarico dopo avere sventato il trappolone della sera precedente in Consiglio comunale. Ed essere riuscito a far approvare il nuovo Piano dei Rifiuti nonostante otto Consiglieri della sua maggioranza gli abbiano voltato le spalle rifiutando di partecipare alla votazione. (Leggi qui: E il sindaco finì ostaggio della sua maggioranza. E leggi anche Ora a Frosinone tutto può succedere).

Ha vinto la sua partita. Lecito l’urlo, lecito lo sfogo. Poi però se dopo esserti lanciato nell’arena del Colosseo ed avere eroicamente slegato Licia impedendo che venga sacrificata, cominci ad offendere l’anima di tutti i morti di Nerone e non sei Ursus ma un abilissimo Golia, il minimo che puoi aspettarti è una reazione della Guardia Pretoriana. Meglio non sfruculiare e magari guardare dritto nel grugno Nerone e dirgli ‘per ora e questo, se vuoi ci stanno pure le altre‘.

Riccardo Mastrangeli nel suo ‘scarico’ ha invece scelto la prima ipotesi. Dicendo: «Sto portando avanti gli indirizzi programmatici stabiliti all’atto delle candidature. Se adesso ci sono delle situazioni in cui alcuni consiglieri ci hanno ripensato o non sono più d’accordo, la cosa migliore penso sia quella di tornare al voto. Io mi sono ripromesso una missione: quella di cambiare questa città, di farla diventare moderna, europea e avanzata ma se ho delle resistenze è giusto tornare al voto».

E per dirla tutta. Mastrangeli fa sul serio. Perché è assolutamente nelle sue corde mettere in chiaro:Non ho intenzione di farmi logorare né di sottostare ai diktat di questo o quel consigliere. Si torni al voto, io mi ricandiderò e saranno i cittadini a scegliere. Hanno sottoscritto un programma che oggi non intendono più rispettare? Per me è un fatto di onore rispettare quello che ho sottoscritto prima delle elezioni”.

Eroico come Ursus, Top, anzi toppissimo. Però c’è un particolare: è passato appena un anno. Ed il rischio è che gli elettori scambino il bel gesto cavalleresco per un fallimento. Troppo alto, troppo aulico. Meglio concedere prima il tempo per capire cosa sta accadendo. Provare a mettere tutti di fronte all’irrealizzabilità della loro pretesa. E solo dopo ribaltare il tavolo dando l’ultimatum.

Perché gente come Ursus, Sansone e Pietro Micca è entrata nella leggenda. Ma sotto le stesse macerie che avevano scatenato.

Spegni il fiammifero Ricca’.