Cascami d’Abruzzo da cancellare e rimettere a fuoco: anche a Cassino

Il superfluo che ispira, con polemiche "agganciate" alla politica ma che con la sua mission non c'entrano affatto. Sotto l'abazia e dovunque

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Il cascame è per definizione uno scarto di lavorazione. Cioè una cosa che non serve per il prodotto finito a cui si aspira ma che viene buono assai per fare altra roba. Buona uguale ma “altra”. Ecco, i cascami delle elezioni regionali abruzzesi che sono in definizione e che sono diventate come il mercurio che correva una volta nei termometri son tanti. Ma a differenza di quelli industriali in purezza questi non sono utili. Il dato politico che non risparmia nessuna realtà italiana e su ogni livello è che quando ci sono le elezioni si va tutto in upgrade.

“Ci si mette il carico da mille”, si diceva una volta. E compaiono stuoli di maitre a penser, a volte equamente distribuiti, altre sbilanciatissimi, che prendono ogni episodio ai margini e lo buttano nel calderone della ricerca dell’ultimo spicchio di consenso. Vale per tutti: è valido per Giorgia Meloni che ha fatto la campagna elettorale più complottarda del quarto di secolo. E’ stato valido per i suoi avversari che hanno calato la briscola di un candidato avverso additato come più romano che abruzzese.

Città Martire o Pescara è uguale

Ed è valso anche per Cassino, dove a giugno gli elettori non solo dovranno scegliere il loro pezzo di Parlamento Europeo, ma anche il sindaco. Cascami, cascami a pioggia pronti per un riutilizzo di scopo che è passato di categoria, e che da loop a margine è diventato tema chiave per convincere gli elettori. O almeno a provarci.

Il nazionale fa scuola: arriva un’indagine sugli accessi abusivi di un presunto team di divise scialone e furbette a carico di politici, vip e maggiorenti? Parte subito, scattista, il filtro che ne ripulisce la congruità storica (è roba del 2019 conclusa proceduralmente nel 2021/22) e che dà ad essa il maquillage giusto. Quello di prova provata di una Spectre assassina, sinistrorsa e giornalistico-bucaniera che voleva fare la ghirba solo o prevalentemente al povero destracentro.

Chi invoca i mandanti, chi vuole “giustizia”, chi blatera di dossieraggio e di “non sapete cosa ci aspetta ancora”. No, quello è stato uno sconcio ma recintato dai paletti di una sconcezza definita. Lo sa bene Anna Teresa Formisano, che in quella guazza ci si è ritrovata in mezzo.

Accessi illegali: la maniglia perfetta

Foto: Mikhail Nilov / Pexels

Tutto faceva, fa e farà brodo per allamare qualche gonzo in più, meglio se in tempo per spingerlo in cabina “indinniato” e cotto al punto giusto. E se poi non fosse così poco male, ci sono sempre il voto in Basilicata, in Piemonte e le Europee a giugno su cui spalmare questa narrazione farlocca e di spleen. Non falsa o minimal, si badi, ma fuori contesto.

Cassino non fa eccezione. Pochi giorni fa e in una sede prestigiosa come quella dell’inaugurazione dell’anno accademico di Unicas accade lo sconcio. Quello di una cerimonia ignorata in corso d’opera da una processione di “maggiorenti” che più che stringersi a coorte hanno fatto corte.

La “fuitina” dalla cerimonia Unicas

Non si depreca il solo fatto in sé, cosa santa e buona squadernata sui social da un grandioso rettore Marco dell’Isola che ha cazziato tutti. Piuttosto si parte, ognuno per sua fiata, ad indicare i colpevoli dello sconcio medesimo, ma con la cura certosina di scremarli dalla parte avversa. Cioè da quella che a giugno se la giocherà in urna. Tutto in loop. Luigi Maccaro ha dalla sua la meritata bona fides di chi su giovani e sociale sta in trincea. Ed è assessore uscente e che sta con Enzo Salera che depreca la fuga dall’evento in corso d’opera. Lui lo fa accusando ecumenicamente il codazzo di “follower” del governatore Francesco Rocca?

Benedetto Leone

Non passano dodici secondi netti che sui social Benedetto Leone gli replica che a scappar via non sono stati i soli tizi del destracentro, ma anche gente “mancina”. E pubblica il video famoso, quello in cui rappresentante degli studenti, omologa del personale tecnico ed incaricato di lectio magistralis si vedono sfilare davanti, ignorati, decine di flabellieri furetti.

Leone replica piccato anche a Mario Costa, che sulla fuitina untuosa delle truppe cammellate di Rocca (e non solo) ci fa l’articolo acido. E spiega con piena ragione concettuale che sì, è stata una cosa vergognosa, ma mette in tacca di mira privilegiata uno dei “fuggitivi” in particolare. Chi? Il candidato sindaco del destracentro Arturo Buongiovanni.

Cioè uno fra tanti in mood, ma bersaglio utilissimo e settato per creare il contrappunto con Enzo Salera, che invece se ne è restato immoto come il premolare nella mascella di un caimano ad ascoltare. La keyphrase potrebbe essere: Magari viene buono a giugno, ‘sto fatto.

Cecchini su cose serissime, ma “autonome”

Arturo Buongiovanni

Il senso, la chiave di volta non sta nei singoli episodi o nella marmellata di ragioni e torti. Piuttosto sta nel cecchinaggio voluto su cose che con la politica non c’entrano una mazza ma che per certe velleità politiche alla fine diventano utili. O riutilizabili, come i cascami. Giorgia Meloni a Palazzo Chigi ci è salita da tempo utileutilissimo per dare una botta di equalizzazione al suo vittimismo congenito, però mica schioda. No, mai, “checché” diceva Totò. Per lei è sempre “Attacco al potere” ma senza Morgan Freeman.

Il lessico della premier è e resta quello di una underdog che sfugge ad una canea affamata dei suoi garretti e che lo fa invocando la solidarietà del bosco. Di una Peterpanessa che con i suoi bimbi sperduti vola in cieli farciti di contraerea assassina e malevola. E che nel parlare del suo cita la parola record più volte di Gerry Scotti. Per il voto in Abruzzo ha tirato fuori tutto lo starter pack del caso e per precauzione si è allungata anche a dopo. Vuole, fortissimamente vuole tartufare trame invece che tessere tele; ma così non è più politica, è Robert Ludlum all’amatriciana.

Chi ce l’ha con la Meloni? Ditecelo

Giorgia Meloni

Pochi ma violentissimi poliziotti picchiano duro studenti sbarbati? “C’è un brutto clima, mi preoccupa nell’anno della presidenza italiana del G7”. E noi a pensare: Machec… Si deve vincere nella regione-roccaforte del suo Fdi dopo la scoppola sarda? “Io ciò l’elmetto e grazie a voi non ci potranno far nulla”. Cioè? Ma Benedetto Iddio diceva Tonino Di Pietro: chi cacchio è che dovrebbe far qualcosa a Meloni ed al Governo? Dove stanno tutti questi sicari-dimòni politici che non dormono la notte per far cadere male la premier a suon di briscole malefiche?

Chi sarebbe disposto a considerare gli esponenti di destracentro e centrosinistra fuggiti a Cassino a metà cerimonia un’oncia in più di un plotone di sprovveduti ammalati di notabilato scondinzolante pro tempre?

Come Sordi-Mombelli: “Viva il Direttore”

E magari consci subito dopo di aver preso una cappellata istintiva da galoppinaggio sciolto malgrado la tappa successiva fosse quella austera ed assolutoria della Reno De Medici ma per il solo Rocca? Nella vulgata del campo largo la prova provata che Marsilio debba sloggiare sta quasi tutta nel fatto che mangia più gricia che arrosticini e che dice “annàmo” invece che “jàmme”. Roba che Adenauer scansati.

(Foto © Andrea Apruzzese)

Il sunto è tragico: al di là dei cascami utili alla fuffa, dove sta il prodotto, la polpa su cui un elettore decide o un cittadino si orienta nel quotidiano meno parossistico dove non preme l’usta da voto? Siamo tutti come il maestro Mombelli di Vigevano impersonato da Alberto Sordi. Quello che quando il capoccia dell’istituto faceva trucemente capolino in classe sudava a bidoni, andava in modalità prona e faceva scattare i poveri alunni “In…pièd!!!”.

E quando l’orco panzuto e giolittiano abbandonava la classe diaccia intimava loro di cantare: “Vivaviva il Di-ret-tòre, nostro grà-nd’ edu-ca-tòre!!!”. Ma poi i guai del maestro erano gli stessi. E la scuola, quella vera, restava sempre misera. Un cortile murato e non un affaccio sulla vita.