Corsa all’incentivo e salvadanaio-Zes, che però non riguarda Frosinone

Nessuna organicità per chiedere incentivi e progetti che latitano. Oppure che sono roba vecchia ma che adesso ha solo più fondi. Cosa non sta funzionando nella fiscalizzazione agevolata.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Decotti e felici: Stefano Firpo, direttore Assonime, ci vede così. E lo fa sulla scorta di un’analisi impietosa per la quale gli incentivi del Governo alle imprese sono nella brughiera dei propositi. Cioè abbastanza decantati da aleggiare comunque sul mainstream ma raffazzonati quanto basta da essere di scarsissimo aiuto ai settori economici trainanti del Paese.

E se l’Italia è “vetrino” difficile da studiare perché sempre a metà tra pubblicistica e fatti logici Assonime è forse la lente migliore per scrutarci. Si tratta dell’associazione per le Società per Azioni italiane. Ha in target studio e trattazione dei “problemi che riguardano gli interessi e lo sviluppo dell’economia italiana”.

Insomma, c’è da fidarsi se da quelle parti lanciano un allarme perché è proprio da quelle parti che stanno molti di quelli che sanno leggere l’Italia che produce. E c’è un paradosso amaro che va rilevato. Se da un lato infatti si registra un parere di inadeguatezza delle misure, dall’altro c’è il dato per cui alcuni territori parte di quelle misure neanche le vedranno.

Il paradosso del pane e dei denti

Insomma, dove ci sono funzionano poco e dove non ci sono non hanno bisogno di radiografia in negativo. Perché il fatto stesso che non ci siano pone alcuni territori indietro su una griglia di start che è già “arretrata” di suo. E caotica. Zone come le province di Frosinone e Latina, ad esempio, che sulla mappa della fiscalizzazione agevolata per trattenere industrie ed imprese non ci compaiono proprio.

Colpa di Roma, che con il suo budget economico potenziale ha riversato quell’aura di coefficienza “rosa” anche su territori che vedono solo nero. E che non sono stati inseriti tra quelli che potranno fregiarsi di titolo e vantaggi Zes. Pochi giorni fa si è riunito il Comitato per la Ripresa e lo Sviluppo Sostenibile della provincia di Frosinone presieduto da chi presiede oggi Palazzo Iacobucci, Luca di Stefano. Si tratta della prosecuzione pratica degli Stati Generali di novembre a cui aveva partecipato anche il Governatore del Lazio Francesco Rocca. (Leggi qui: Doccia fredda sul Comitato per lo Sviluppo).

Ripresa e lo Sviluppo Sostenibile, lo start

Alessio Porcu, Luca Di Stefano ed Enrico Pittiglio

Il board è la summa di quegli organismi ed associazioni che possono fare qualcosa senza limitarsi ad enunciare soluzioni di principio. Unindustria, Cisl, Cgil, Uil, Ugl, Camera di Commercio Frosinone-Latina, Ance Frosinone, Confimprese Italia, Confapi, Anbi, Cna, Federlazio, Unione Artigiani Ciociari e Confartigianato. Poi Confcoperative Lazio Sud, Acea Ato 5 e Saf. Tutti sono direttamente legati ad un progetto di rilancio dello sviluppo ed alla pastoia del mancato riconoscimento Zes. Cioè del fatto che a pochi chilometri dal Lazio, seicento metri a sud di San Vittore, un imprenditore che volesse metter bottega avrà agevolazioni, a monte però no.

Guido D’Amico di Confimprese aveva indicato la via pratica di affidarsi alle Zls, le Zone logistiche semplificate, pur sapendo che non è la stessa cosa, ma che è pur sempre un inizio. Valido per spingere progetti lungimiranti come il suo, quello dell’eco turismo sostenibile. La rotta per i territori non agevolati è comunque quella di mettere a sistema le forze e scrivere dal basso le regole. Questo per non soccombere a massimi sistemi di sola logorrea, delocalizzazione e burocrazia asfissiante. (Leggi qui: Ecoturismo senza le Zes: la rotta di Confimprese per farcela comunque).

Come ti riduco l’aliquota: poco e male

Ma pare che anche sul fronte “convenzionale” e su quello di chi avrà vantaggi le cose non vadano affatto bene. Un esempio cardine che su Il Foglio cita Firpo è quello del “provvedimento attuativo della delega fiscale sulla riforma dell’Ires. Da cosa sarebbe rilevabile la stanca attuativa? Dal fatto che pare manchi la marcata riduzione dell’aliquota a fronte di investimenti produttivi. Cioè, se investi non avrai tasse decurtate al punto tale da ammortare ciò che spendi per investire, ma solo una riduzione minimal. Riduzione che quell’investimento te lo trasformerà comunque in un mezzo Golgota debitorio.

“A oggi il sistema fiscale delineato dai primi provvedimenti della riforma non presenta alcuna novità sotto il profilo della premialità fiscale per chi investe”. Firpo cita i casi dove si sarebbe addirittura andati a ribasso. “Con la soppressione dell’Ace (l’Aiuto economico d’impresa con deduzione di reddito d’impresa – ndr), la situazione è peggiore. Rispetto a prima per le imprese che, proprio per investire, incrementano la patrimonializzazione. Poi il nodo Zes, quello che non è diventato nodo frusinate e pontino.

La corsa all’incentivo: brada

Si era partiti bene ma i criteri di erogazione degli incentivi pare abbiano fallito la mission di ampio respiro. Soprattutto per quel Sud che della istituzione delle Zes è contenitore eziologico pressoché unico. “L’incentivo agli investimenti produttivi nelle regioni del Mezzogiorno poteva essere un volano di grande portata ma alla fine è stato strutturato attraverso un sistema di erogazione a rubinetto. Che significa? Che il meccanismo non è chirurgicamente asservito ad un piano di ampio respiro che pre-individui i passaggi, ma su “meccanismi prenotativi”.

In buona sostanza e secondo la più consolidata tradizione in mood Cassa del Mezzogiorno è scattata le corsa all’incentivo. E senza che dietro quelle aspirazioni ci siano sempre piani produttivi strutturati. Un mezzo bonus travestito da strategia fiscale insomma. E ancora: “Mancano alcuni provvedimenti attuativi e nella sostanza lo strumento, nonostante si applichi a investimenti fatti entro il 15 novembre 2024. Ovvero da avviare nell’arco dei prossimi 8 mesi non è ancora operativo.

Roba vecchia ma con più fondi

Foto: Mikhail Nilov / Pexels

Messa meglio: ci sono circa 2 miliardi di dotazione che andranno a coprire investimenti già messi in cantiere prima. Che non risentono quindi dell’upgrade operativo che dovrebbe appartenere ad un progetto di sviluppo concreto. E’ roba vecchia che adesso ha più fondi, non roba nuova a cui servono fondi proprio per dispiegare tutta la sua benefica novità. E pare non vada meglio si altri campi cruciali come gli incentivi sulla Transizione 5.0. “Nella recente rinegoziazione di diversi progetti del Pnrr si era riusciti a rifinanziare, con il beneplacito della Commissione europea, una nuova edizione del piano Industria 4.0 per oltre 6 miliardi di euro”.

Poi era scattato il nuovo modello, Transizione 5.0 appunto. Esso metteva di nuovo in griglia il credito di imposta Industria 4.0, dava più aiuti e inseriva nel “paniere” ulteriori “beni strumentali e software agevolabili”.

Transizione 5.0: il casino in Commissione

Solo che poi, quando si era andati a negoziare con la Commissione Europea in ambito Pnrr “qualcosa deve essere andato storto. Nessuno al tavolo di negoziazione con la Commissione si è accorto che un credito di imposta per gli investimenti effettuati nel 2024 e 2025 comporta importanti disallineamenti. Dove? “Fra cassa e competenza. E produce effetti anche nel 2026, quando i denari europei non possono essere utilizzati a copertura”.

(Foto: Dominique Hommel © European Union – EP)

Il risultato? In termini di approvazione in Cdm si sta ancora in alto mare, in attesa di sanare l’errore. L’unica a questo punto sarebbe trasformare il credito di imposta in contributo a fondo perduto. Ma servono coperture e molteplici passaggi burocratici. Esattamente quelli che l’Italia vorrebbe sconfiggere.

E che Frosinone e Latina stanno provando a battere senza quegli stessi aiuti che, per chi ha avuto diritto ad averli, sembrano essere diventati più caotica mangiatoia che volano di sviluppo. Da noi, che ne facciamo uno eccezionale, si dice “chi ha il pane non ha i denti…”.