Il vero testamento di Berlusconi e il “lascito” alla provincia di Frosinone

La settimana del Consiglio che eleggerà Tajani presidente azzurro e la rotta di Fazzone sui territori che hanno retto meglio al calo di gradimento

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Più dei milioni a Marta Fascina, più di quelli a Marcello Dell’Utri e delle quote -controllo a Mediaset, di ciò che ha lasciato Silvio Berlusconi conta il lascito politico. Un Testamento n°2, forse quello più importante, che coinvolge direttamente anche la Ciociaria. Cioè il posto dove gli uomini del Cav hanno vissuto un’età dell’oro che li ha capillarizzati in ogni sistema complesso di governo e ad ogni livello. Per le Regionali che hanno consegnato la Pisana a Francesco Rocca avevano contribuito con un 6,3% solo a Frosinone città.

Lì e sul territorio gli azzurri c’erano e ci sono. I numeri del voto di febbraio confermavano che Forza Italia è Partito che in Ciociaria aveva fatto argine alla sua stessa flemma. Quella fisiologica e storicistica “stanca” che nel destra-centro lo aveva “relegato” in terza posizione. Poi era morto Silvio Berlusconi e si era alluso-pensato-scritto-gridato alla diaspora, un po’ come ovunque nel paese del resto.

Il soldato Fazzone a presidio dei territori

Antonio Tajani (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Ma con una differenza: in provincia di Frosinone le percentuali di rispetto di FI avevano disegnato un possibile domino-bomba. Un’emorragia ipotetica molto più fluviale che nella più parte dei territori dove il partito-azienda aveva già ceduto terreno e caselle strategiche. Perciò Frosinone andava blindata e protetta molto più della media dalla mistica del “rubinetto che perde”. E ci aveva pensato Claudio Fazzone.

Lo aveva fatto a giugno in sincrono con la parole del “delfino” del Cav, quell’Antonio Tajani che da Milano aveva equalizzato umori e rotta futura ancor prima di avercela, una rotta. Il coordinatore regionale era stato più conducator del solito. E schietto aveva detto: “In queste ore ho letto illazioni e ricostruzioni che fanno parte del gioco della politica. Ma io dico una cosa chiara e precisa: l’unità e il futuro di Forza Italia dipendono da noi. Soltanto da noi. Non dobbiamo mai dimenticare il più grande insegnamento di Silvio Berlusconi: Forza Italia era e resta strategica nel centrodestra“.

Poi, questo neanche un mese fa, aveva zoommato e ristretto il campo di visuale. La stessa impostazione deve valere per i territori del Basso Lazio. Ho frequentato Silvio Berlusconi, incontrandolo tante volte. E posso assicurare che è sempre stato orgoglioso dei risultati che il partito ha ottenuto in provincia di Frosinone e in provincia di Latina”. Come va letta?

I numeri che blindano

Che almeno per il momento nel Sud del Lazio Forza Italia ha una sola rotta: la stessa tenuta finora. Con il timone affidato ad un capitano di lungo corso come Claudio Fazzone. Che – piaccia o no – ha tutto il diritto di ascriversi il pieno merito del risultato politico centrato alle Regionali ed alle Politiche. E cioè un orgoglioso 10,43% alle Regionali di febbraio, che va a confermare il 10,21% raggiunto nel settembre 22 alle elezioni Politiche nel collegio Camera 2.

In schede: 17.486 quelle votate Forza Italia in autunno per Montecitorio e 18.691 quelle di febbraio per le Regionali. E questo nonostante della vecchia guardia sia rimasto più nessuno. Migrati in Fratelli d’Italia i gemelli del voto Alfredo Pallone (già fidatissimo coordinatore regionale del PdL nel Lazio) e Antonello Iannarilli (recordman delle preferenze in Ciociaria). Saliti sul Carroccio della Lega gli altri gemelli contrapposti ai primi: Mario Abbruzzese (già presidente del Consiglio Regionale del Lazio) e Pasquale Ciacciarelli (storico coordinatore provinciale, consigliere ed assessore regionale). Via quadri di altissimo rilievo: come Alessia Savo (ora consigliere regionale FdI), Riccardo Del Brocco (ora assessore a Ceccano in quota FdI), Danilo Magliocchetti (passato dall’assessorato comunale di Frosinone ai ruoli di palazzo Chigi).

Quei numeri, ottenuti senza l’appoggio del Gruppo storico, sono figli di una linea tracciata da Claudio Fazzone ed affidata ai suoi colonnelli sul territorio. Ai quali nessuna logica assegnava quel 10% abbondante di consenso. E che blindano ulteriormente il feudo del Lazio Sud. Che ora attende la consacrazione della “nuova” linea del partito che arriverà dal Consiglio nazionale del 15 luglio.

I tre che hanno dato colla e vernice

Rossella Chiusaroli, Daniele Natalia, Adriano Piacentini

Quello che consacrerà Antonio Tajani presidente e numero uno, un po’ per merito, un po’ perché il Numero Uno ed Unico non c’è più. E che darà di vomere e concime al terreno fino al Congresso, che è in agenda per il 2024. Un atto (ri)fondativo in sincrono, o giusto prima, delle Elezioni Europee e di una conta nel Ppe che potrebbe arginare l’ondata ultra conservatrice. Per provare a portare Giorgia Meloni a posizioni più “ibride” e draghiane e meno sovraniste ortodosse con una crasi che rappresenterebbe un capolavoro strategico.

Tra i territori che hanno dato motivo di riflessione ad Arcore ci sono proprio Pontino e Ciociaria dove la flessione nazionale di Forza Italia è stata meno curvata e i tre sub coordinatori hanno fatto i salti mortali per dare mastice ad ogni linea di frattura. Daniele Natalia, Adriano Piacentini e Rossella Chiusaroli hanno dato mani e mani di vernice di coesione emergenziale evitando ogni occasione di equivoco. Hanno saputo aprire le vene del Partito a nuova linfa: quella di un recuperato Gianluca Quadrini con il quale è stato ritrovato un efficace modus vivendi (basta lasciarlo fare), di un poderoso Giuseppe Sacco sindaco di Roccasecca con percentuali che nemmeno in Bulgaria potevano immaginare.

Ed hanno avuto come alleato l’evanescenza ciociara di un Terzo Polo che è serbatoio naturale di confluenza ma che sul territorio ha un grip ancora incerto. Se manca il punto ai approdo dei naufraghi e se tieni la nave e galla sul pennone la bandiera resta, poco da fare.

Tredici pagine per mettere Tajani sul “trono”

Lo scopo di Fazzone è perfettamente coincidente con la rotta nazionale: attendere le urne per Strasburgo e contarsi, in peso e numeri. “Le europee saranno un test importante e decisivo per i partiti. Si vota con il proporzionale: la classe dirigente del nostro partito sarà messa alla prova. Una mezza chiamata a resistere insomma, con le 13 pagine del documento programmatico varato dal Comitato di presidenza di Forza Italia che da poche ore sono Bibbia laica. Il reggente Tajani sarà tale solo per ancora pochi giorni, poi il vicepremier avrà lo scettro in mano e la ceralacca sul tavolo.

Due le direttrici di priorità: l’azione in Parlamento e quella a Palazzo Chigi degli azzurri. Circola una bozza fatta girare nelle Camere e il preambolo è in chiave empatica. Lo è con un “commosso omaggio alla memoria del nostro fondatore e leader”. All’Hotel Parco dei principi a Roma il Consiglio esaminerà il documento e dal 15 luglio la bozza sarà dogma. Con un cardine: “Il ruolo insostituibile di Fi nella politica italiana, quello di affermare e tradurre in azione politica i grandi principi liberali, cristiani,garantisti, europeisti, atlantici. Principi che costituiscono la nostra identità e che solo Fi rappresenta in modo organico e coerente”.

“Da questa cornice valoriale deriva la nostra appartenenza al Ppe, che orgogliosamente rappresentiamo in Italia. E che costituisce parte essenziale della nostra identità. Poi le righe-mastice, il flauto fachiro per il “cobra” sovranista. E per Giorgia Meloni a cui va tolto dai denti il “veleno” di Visegrad. La necessità cioè di costruire a Bruxelles l’alleanza tra popolari e conservatori in vista delle Europee.

Il copyright morale del Cav sul Ponte

E le priorità nazionali in punto di esecutivo? Vi figura un mezzo sberleffo agli irrequieti alleati della Lega ed a Matteo Salvini. Una cosa alla “ricordati che sei effetto, non causa”. Perché dentro ci sono i vangeli arcoriani in trittico: la riforma della giustizia, il taglio delle tasse e sì, il Ponte sullo Stretto.

L’opera è sotto tutela realizzativa ed ombrello pubblicistico del ministro delle Infrastrutture. Tuttavia quel documento ufficiale ricorda che se la realtà è vicina, immanente e messa su lucido progettuale è stato perché il sogno era stato tenace. E quello era un sogno di Silvio Berlusconi. Il cui “secondo testamento” adesso attende l’apertura, non da un notaio, ma a Roma. Al Parco dei Principi, tra pochi giorni, e con la Ciociaria mai così vicina ed “olografa” alla Capitale.