La grande occasione persa dell’Area di Crisi Industriale

La grande illusione dell'Area di Crisi. Tutti corsero a prendersene i meriti. Ma i risultati non si sono visti. In altre zone però le cose sono andate in modo diverso

Roberta Di Domenico

Spifferi frusinati

Doveva essere il provvedimento di svolta per il rilancio dell’occupazione e dell’economia in provincia di Frosinone. Furono scritti fiumi di inchiostro per reclamarlo, sollecitarlo, annunciarlo. E infine firmarlo. Era il 12 settembre 2016 quando il Ministero dello Sviluppo Economico firmò il decreto il riconoscimento dell’Area di Crisi Industriale Complessa della provincia di Frosinone.

Ci misero il cappello un po’ tutti: amministratori e politici di qualsiasi schieramento, sindacati, imprese. Tutti assicurarono di avere fatto la loro parte. In realtà non ci credevano. E probabilmente molti neppure sapevano della possibilità di ottenere il riconoscimento del Sistema locale del lavoro di Frosinone come area in situazione di crisi. La verità è che quella firma ha spiazzato politici e associazioni. (Leggi qui: Si fa presto a dire Area di Crisi Complessa).

Sono passati quasi 7 anni da allora. Risultati? Un po di cronistoria, aiuta a capire meglio.

Il Sistema Locale del Lavoro

Videocolor, la centrale di cogenerazione (Foto © Pietromassimo Pasqui / pigeoneyes.com / LostItaly

La zona industriale del “Sistema locale del lavoro di Frosinone” (SLL di Frosinone) è stata riconosciuta, in quella data, Area di crisi industriale complessa. Cioè? Un’intera area andata in crisi a causa del crollo dei pilastri industriali sui quali si reggeva. Con l’azienda principale era venuto giù tutto l’indotto, la logistica, la ricerca, la manutenzione.

Fondamentale per il riconoscimento dell’area di crisi fu il collasso di Videocon e con lei il fallimento del salvataggio di Videocolor: il complesso industriale di Anagni che apparteneva alla multinazionale francese Thomson. Un polo produttivo con annesso centro ricerche: produceva cinescopi per i più grandi marchi del settore nel mondo, Philips, Sony, Grunding, Nordmende, Saba solo per citarne alcuni. Videocolor era il secondo colosso industriale della Ciociaria dopo la Fiat di Cassino. Aveva più di 2.000 dipendenti diretti e altrettanti nell’indotto.

Nacque sull’onda dei benefici fiscali introdotti da Giulio Andreotti con la Cassa per il Mezzogiorno: investire in Ciociaria conveniva e venivano a farlo da tutto il mondo. Finita quell’onda durata trent’anni nessuno ha avuto la lungimiranza di pensare a come stimolare i trent’anni successivi. Così, Anagni produceva i migliori cinescopi al mondo ma a Parigi avevano già pronti i brevetti per le linee per le tv al plasma e soprattutto quelle al Led. Sono andati a fabbricarli lontano dall’Italia: qui non conveniva.

I francesi non possono permettersi brutte figure. Vendono Videocolor ai magnati indiani Dooth di Videocon: strana vendita, invece di farsi dare i soldi in cambio della fabbrica danno la fabbrica e pure i soldi per tenerla aperta nei tre anni successivi. Sappiamo come sono andate a finire le cose. E nessuna multinazionale ha più pensato di investire in Ciociaria.

Un’area di crisi per 46 Comuni

Foto: Tama66 / Pixbay

In quello stesso periodo entra in crisi il chimico – farmaceutico e collassa il comparto turistico termale. Nasce così un’area di crisi che comprende metà dei Comuni ciociari.

L’area di crisi comprendeva i 46 Comuni afferenti al Sistema locale del lavoro di Frosinone. Così articolati: 37 Comuni della Provincia di Frosinone, tutti localizzati nell’area nord; nell’elenco ci sono Acuto, Alatri, Amaseno, Anagni, Arnara, Boville Ernica, Castro dei Volsci, Ceccano, Ceprano, Collepardo, Falvaterra, Ferentino, Filettino, Fiuggi, Frosinone, Fumone, Giuliano di Roma, Guarcino, Morolo, Paliano, Pastena, Patrica, Piglio, Pofi, Ripi, Serrone, Sgurgola, Strangolagalli, Supino, Torre Cajetani, Torrice, Trevi nel Lazio, Trivigliano, Vallecorsa, Veroli, Vico nel Lazio, Villa Santo Stefano.

Con loro ci sono 9 Comuni della Provincia di Roma. Si tratta di Artena, Carpineto Romano, Colleferro, Gavignano, Gorga, Montelanico, Segni, Vallepietra, Valmontone.

Niente sostanza

La firma dell’Accordo di Programma 2018

Trascorrono praticamente 2 anni senza che nulla accada. Il motivo è chiaro da subito, già dal 2016. Appena una settimana dopo la firma c’è chi titola Area di Crisi Complessa, la firma c’è ma i soldi no. Solo a fine anno si sblocca qualcosa e viene dato il via libera ai 12 mesi di mobilità. Poi più nulla. Per due anni.

Dopodiché arriva l’Accordo di Programma del 23 ottobre 2018: il Ministero dello Sviluppo Economico, l’Agenzia Nazionale per le politiche attive del lavoro, la Regione Lazio, la Provincia di Frosinone, e Invitalia si sono impegnati ad attuare il Progetto di Riconversione e Riqualificazione Industriale (PRRI) dell’area. (Leggi qui: Di Maio e Zingaretti firmano l’accordo: via all’Area di Crisi Complessa).

L’Accordo ha una dotazione finanziaria da 10 milioni di euro stanziati dal Ministero dello Sviluppo Economico. Il progetto di riconversione, elaborato e coordinato da Invitalia, aveva la finalità di rafforzare il tessuto produttivo esistente, attrarre in quell’area della Ciociaria nuovi investimenti, sostenere il reimpiego dei lavoratori espulsi dal mercato del lavoro.

La montagna, la crisi ed il topolino

(Foto © Imagoeconomica)

All’avviso pubblico per la selezione di iniziative imprenditoriali da finanziare viene pubblicato nella Circolare 24 gennaio 2019 n. 21584. L’obiettivo è quello di stimolare la nascita di nuova aziende nelle quali assorbire almeno una parte di chi ha perso il lavoro con il collasso Vdc.

All’avviso rispondono 13 aziende. Presentano programmi di investimento totali pari a  € 81.139.542,23 e agevolazioni richieste per  € 58.422.494,59. Per un totale di nuova occupazione potenziale di circa 250 persone.

I progetti vengono avviati alla fase istruttoria. Sul sito del Ministero dell’Imprese e del Made in Italy è rilevabile l’aggiornamento della graduatoria, proprio a  febbraio 2023. È la graduatoria delle 13 aziende per poter acceder al contributo di 10 milioni previsti dal bando. E sono solo 2 le aziende potenzialmente finanziabili, quelle in posizione utile. Entrambe con il punteggio di 19.5 punti ed entrambe con una previsione di occupazione di 12 dipendenti ciascuno. Ma solo se tutto dovesse andare bene. La montagna partorirà (forse) il topolino.

E tutte le altre opportunità previste dal bando che avrebbero dovuto avere ricadute positive per le aziende del territorio? Ad esempio: la salvaguardia dell’occupazione? L’ attrazione degli investimenti? Gli interventi di bonifica e risanamento ambientale, in particolare della valle del Sacco?  La creazione di infrastrutture nelle aree industriali?

L’unica realtà è Catalent

A queste ultimi interventi infrastrutturali ci penserà il Consorzio Industriale Unico. Che nel frattempo è stato concepito e realizzato. Di tutto il resto, tanto reclamizzato negli anni precedenti da tutti, nessuno escluso, non c’è traccia in Ciociaria. Né ci potrà essere, visti gli atti e lo stato dell’arte.

Invece, senza andare troppo lontano, a Rieti ad esempio, con il polo logistico di Amazon le cose, anche dal punto di vista dell’occupazione, sono andate in maniera ben diversa. Per numeri, dimensioni e prospettive. Ed anche il reatino, come Frosinone, era stata riconosciuta, anni fa, area di crisi industriale complessa. Frosinone può vantare l’esempio opposto: il progetto della multinazionale del farmaco Catalent pronta ad investire 100 milioni di euro in un polo di ricerca ad Anagni.

Dopo due anni di attesa è andata via. A gambe levate. Dall’Area di Crisi, dalla Ciociaria, dal Lazio, dall’Italia.