L’Europa che spariglia le carte nei Partiti: piccola mappa strategica

Le dinamiche che precedono le elezioni Europee del 2024. Le strategie dei principali attori. L'influenza delle decisioni a livello locale ed in particolare dal Lazio. Dove gli effetti del Congresso Regionale hanno cambiato il Pd. E la posizione di Abbruzzese obbliga il centrodestra alle contromosse

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Aristotele dice che ci sono solo tre tipi di umanità: i vivi, i morti e quelli che vanno per mare. Ecco, che le Elezioni Europee del 2024 siano in un certo senso il “mare” che deciderà chi sarà vivo e chi morto in politica italiana è dato appurato. E attenzione a non commettere l’errore dell’intruppamento nella combo tra chi vince e chi perde perché la rotta è un’altra. La lotta sarà tra chi avrà le caselle migliori e non necessariamente quelle con la coccarda di esecutivo o di maggioranza.

In molti casi si tratta addirittura di sopravvivenza, in altri di sabotaggio. In altri ancora di conferma strategica delle aspirazioni personali o delle dinamiche di singoli territori. Partiamo dal Pd.

Conte lepre ed Elly levriera

L’abbraccio tra Elly Schlein e Giuseppe Conte

Il partito di Elly Schelin ha un problema grosso che si chiama (anche) Elly Schlein. La Segretaria fomentatrice suo malgrado di divisioni potrebbe decidere di candidarsi lei stessa. Non lo farebbe per andare in Parlamento, ma per dare un segnale identitario alle rotte composite del suo Partito che in Europa riflette le sfaccettature interne come non mai.

Schlein sa benissimo che prima o poi Giuseppe Conte, anche dopo Foggia, le tirerà un colpo mancino e deve mettersi al riparo. Ma di quale tiro mancino parliamo? Il dato è che attualmente Conte è la lepre e Schlein il segugio. Il leader M5s non azzecca un sondaggio benevolo da mesi. Perciò sa benissimo che se andasse ad appaltare una battaglia della Dem portandosela in casa costringerà la Segretaria del Nazareno ad inseguirlo per quelle ostiche fratte ed a spostare il suo asse ancor più in là. Dove seguirla non sarà facile per tutti gli iscritti.

Il che indebolirebbe ancor più Schlein nei confronti dei miglioristi riformatori di area avversa. Che da un po’ di tempo non sono solo i sornioni bonacciniani, gente che sa stare ad attendere sulla riva del fiume. Adesso si sono fatti sotto anche gli irrequieti pasdaran di Dario Franceschini, fedeli alla linea ma solo fin quando la linea non è kamikaze.

La tattica di Franceschini che parte dal Lazio

Dario Franceschini (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

L’ex ministro del Turismo ha in mente una sorta di “grande centro Pd”. In quel calderone neo ulivisti e lettiani in esilio stanno ritemprando le forze. E si stanno pian piano convincendo che aver sostenuto la Schlein a suo tempo è stato giusto, ma che continuarla a sostenere oggi è roba da bondage con frustino. Non stanno con Stefano Bonaccini perché non ci sono mai stati e non staranno più con una pasionaria che in punto di dialettica sembra una nerd della “Pantera” universitaria che combatteva il ministro Ruberti nei primissimi ‘90.

A dare vitamine al ragionamento sono le conferme che arrivano dal Lazio. Qui nei mesi scorsi è stata tentata un’operazione nuova, diversa, ispirata da una disperazione arrivata al limite estremo. Perché il Lazio è la Regione dove i franceschiniani di Area Dem, la sinistra di Claudio Mancini, i riformisti di Francesco De Angelis con la sua Pensare Democratico si sono combattuti senza pietà. Non uno scontro politico ma una faida peggio di quella tra gli Orsini ed i Colonna con analoghi ammazzamenti, trappole, congiure. Delle quali ha pagato il conto però tutto il Partito. A mettere fine a quella contrapposizione è stato un Congresso Regionale vero e modello di democrazia.

È stato un Congresso nel quale tutti hanno indicato Daniele Leodori come leader e Segretario regionale. Ma questa volta senza listoni precostruiti, senza quote calcolate a tavolino. Il Congresso è stato vero, le liste delle diverse sensibilità interne si sono contate e da quella conta è uscito l’attuale gruppo dirigente strutturato sugli equilibri dettati dai numeri. I report di questi giorni dalle Federazioni del Lazio dicono che l’equilibrio tiene e che quel congresso con il suo modello funziona.

Avere peso per concorrere: quello giusto

Matteo Renzi e Carlo Calenda (Foto Paolo Lo Debole / Imagoeconomica)

Ma cosa c’entrano le Europee? Semplice e ben squadernato da Il Foglio: “In tanti quelli che sanno che non saranno più ricandidati alle future elezioni politiche, dove, restando probabilmente il sistema elettorale immutato, sarà Schlein a decidere chi potrà sedere in Parlamento.

Quindi l’unica per molti sarà aggiogarsi ad una corrente Dem di peso per pesare in sede di cernita delle candidature. L’effetto Bruxelles pare non abbia lasciato immune neanche Matteo Renzi, che dopo il lungo e stucchevole muro contro muretto con Carlo Calenda ha capito che la stanca attuale della politica italiana ha un solo “sfogo”. Quale? Quello di candidarsi in Europa e correre per sostituire Charles Michel nella carica di presidente del Consiglio europeo.

A Renzi serve la Francia di Emmanuel Macron per giocarsi questa briscola e il suo anti lepenismo non è solo la cambiale che vuol far pagare al “fantaccino col ‘91 e proscrittore di scioperi” Matteo Salvini. Per chiudere il cerchio intorno al suo Risiko però Renzi ha bisogno di nuovo di Calenda da cui ha divorziato con i gruppi parlamentari. Ne ha come in quei ricorsi storici in cui il compagno di classe che avevi picchiato al liceo te lo ritrovi funzionario all’Agenzia delle Entrate quando hai “buffi”.

Renzi ci prova: Parigi val bene un… Calenda

Giorgia Meloni

Il Foglio ha riportato nei giorni scorsi una dichiarazione molto chiara di Renzi che vorrebbe una candidatura con doppia birra, in combo con Azione. “Carlo deve capire che nemmeno lui riuscirà a superare la soglia del quorum fissato per quelle consultazioni. Perciò, o nel corso della legislatura Forza Italia, apparentemente disinteressata, ma in realtà a rischio quorum, tenterà di convincere Giorgia Meloni ad abbassare la soglia, oppure nell’Europarlamento non ci sarà nemmeno Calenda”.

Oppure si torna quasi amici, che guarda caso è un film francese, e ci si prova: per sfangarla e per farlo aiutando Renzi, il che per Renzi non guasta mai. Il dato politico è un altro e per comprenderlo bisogna ragionare su due piani.

Con il voto europeo del 2024 non sono in ballo solo le sorti dei partiti e delle grandi aree di geopolitica, ma gli uomini e le donne. Cioè personaggi che se da un lato devono fare il pieno di voti per le loro segreterie dall’altro devono trovare un’uscita-entrata. E devono farlo in un momento nel quale la politica italiana è “condannata” in stasi plastica allo strapotere del destra centro per almeno un altro mandato, tra l’altro con la riforma pro premierato in agenda.

Come sta messa ai blocchi la Ciociaria

Mario Abbruzzese

E in Provincia di Frosinone che fa parte della circoscrizione elettorale gigante dell’Italia Centrale? La Ciociaria dovrà concorrere all’elezione di 15 eurodeputati con il setaccio del proporzionale e tre potenziali preferenze.

E dovrà farlo sull’onda di una situazione politica radicalmente mutata dal 2019. Allora la Lega ebbe il 40,3% delle preferenze e tirò come nessun altro nel Lazio. Fratelli d’Italia si attestò all’8,9% ma non era ancora il partito monstre che di lì a poco avrebbe sovvertito ogni ordine pregresso. Il Pd si prese un mesto 16% inferiore al trend laziale che fu al 23,7%. Il Movimento Cinque Stelle ottenne il 18,5%. Dal canto suo la Forza Italia ciociara ebbe un 8,1%, due punti in più del risultato del Lazio e grazie tante agli sherpa di lusso come Claudio Fazzone che non a caso oggi è abbastanza critico sulla riforma del premierato di Meloni.

Stavolta lo scenario è differente. Il vento soffia sulle vele di Giorgia Meloni. per contrastarlo servono uomini con le preferenze. Quelle cucite addosso e che ti seguono sotto qualunque bandiera tu decida di posizionarti. Come nel caso di Mario Abbruzzese: i 14mila voti con il nome di Pasquale Ciacciarelli portati sull’altare della Lega alle scorse Regionali parlano da soli. È per questo che il Carroccio intende candidarlo: convinto all’inizio di poter attingere a mani piene su quel bacino, consapevole ora che Abbruzzese è uno che la partita per l’elezione invece può giocarsela fino in fondo.

Lo agevola l’assenza di Francesco De Angelis sulla griglia di partenza. Il presidente dimissionario del Consorzio Industriale con la sua componente, sull’altare del Partito Democratico alle Regionali ne ha portati oltre 17mila di voti. Questa volta pare preferisca concentrarsi sulla costruzione del Partito rinnovato anziché correre per Bruxelles. Una variabile potrebbe essere la scelta di Fratelli d’Italia qualora puntasse su un nome del territorio: come l’assessore Comunale di Frosinone Fabio Tagliaferri o il sindaco di Ceccano Roberto Caligiore. Nessuna delle due ipotesi è al momento esclusa.

La clessidra girata dal 2019

Dalla scorsa tornata è come se una gigantesca clessidra fosse stata capovolta: quella del tempo e quella dei rapporti di forza. Ed è indubbio che anche nel Frusinate, nel Cassinate e nel Sorano sono in atto manovre che dovranno seguire sia il trend dei Partiti per la loro sopravvivenza che quello del territori per la loro rappresentanza.

E non sarà facile seguire entrambi. Perché a volte pensare a te e pensare al tuo partito non è affatto la stessa cosa.