“Ora vi racconto come il bio metano ha cambiato il mio Comune”

Due sindaci della Lega: uno a Frosinone ed uno in Emilia-Romagna. E due storie simili: una maxi discarica sul territorio, i rifiuti da gestire. Il caso di Sant'Agata Bolognese. E del suo impianto per estrarre metano bio dagli avanzi di cucina. Inquinamento abbattuto, energia verde, tariffa dei rifiuti scesa, parco, aree giochi e barbecue

Marco Barzelli

Veni, vidi, scripsi

«Non vogliono i biodigestori in Ciociaria? E i rifiuti dove li mettono?!». A chiederselo è Giuseppe Vicinelli, il sindaco di Sant’Agata Bolognese. Cosa ne sa lui? Amministra il Comune emiliano in cui sorge il più grande sito produttivo dry di bio metano d’Italia: con il sistema di digestione anaerobica a secco.

È ospitato dalla cittadina di 7mila anime stranota per essere la “casa” della Lamborghini. Dal 2018, assieme a colossi come Milano, è sotto le luci della ribalta anche per i suoi numeri da record: ogni anno un risparmio di 6mila tonnellate di petrolio e una riduzione delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera pari a 14.600 tonnellate. Ci riesce estraendo il metano naturale da 100mila tonnellate di Forsu (gli avanzi delle cucine chiamati tecnicamente Frazione organica dei rifiuti solidi urbani) e da 35 mila tonnellate di scarti verdi e potature

L’impianto di Sant’Agata Bolognese

In cosa li trasforma? In 7.5 milioni di metri cubi di bio metano e 20 mila tonnellate di fertilizzante. Come? In modo del tutto naturale: avete presente quando fa molto caldo? La degradazione avviene con batteri termofili, quindi con una temperatura superiore ai 50 gradi. Si genera così un sottoprodotto: è il biogas, miscela prevalentemente formata da metano e anidride carbonica. Attraverso un processo di upgrading – la purificazione tramite rimozione di gas acidi e CO2 – diventa bio metano: un’energia rinnovabile al 100% immessa direttamente in rete. Il digestato (il residuo), invece, subisce un processo di compostaggio: diventa fertilizzante naturale attraverso un processo di disidratazione, miscelazione con materiale strutturante, stabilizzazione accelerata in biocelle aerobiche, maturazione in capannone e raffinazione del compost.

Via la  discarica puzzolente

La storia dell’impianto di Sant’Agata Bolognese dimostra come i rifiuti possano smettere di essere un problema (con i loro cattivi odori e l’inquinamento) per diventare una risorsa. Molto ricca per la città.

L’impianto nasce (lo realizza il gruppo Hera) con la chiusura definitiva della discarica di Crocetta. In sede di Conferenza dei servizi è il Comune a chiedere una serie di migliorie sul progetto: da un lato, l’immissione diretta del bio metano in rete, destinato all’utilizzo per autotrazione; in questo modo, finisce nei serbatoi dei bus del trasporto pubblico ed in quelli delle auto private. Dall’altro lato, ha chiesto che l’impianto venisse dotato di porte e impianto di aspirazione, nonché l’eliminazione delle vasche di percolato all’aperto, per limitare al massimo ogni rischio di propagazione di odori molesti. Quelli che, quando c’era la discarica, rendevano impossibile la vita degli oltre 700 residenti della zona. Zona in cui ora, attraverso un’opera compensativa, è stata anche realizzato un parco: un’area verde attrezzata. 

L’impianto di Sant’Agata Bolognese

Non inquina? Chi lo sostiene, mente. Né più né meno di ogni fabbrica, anche un impianto per estrarre bio metano ha emissioni in atmosfera. Sono composti azotati, solforati e volatili organici, bioaerosol e polveri sottili. E né più né meno di ogni altra fabbrica, se l’impianto è gestito in maniera onesta, le emissioni vengono abbattute sensibilmente grazie ai filtri. Ed il bioaerosol? Decade in maniera naturale a meno di 250 metri dall’impianto di compostaggio.

I progetti su Frosinone

La provincia di Frosinone, annualmente, produce oltre 40mila tonnellate di rifiuti organici, ossia l’umido “delle cucine”. Più della metà viene trasferito presso l’azienda Sangalli di Frosinone e il resto in Nord Italia. Soluzioni tampone scattate da quando la Saf (la società pubblica composta da tutti i Comuni della provincia in parti uguali) ha stoppato la lavorazione nello stabilimento di Colfelice. Lo ha fatto per dare il via alla realizzazione di un nuovo impianto, capace di trattare la forsu in maniera ecologica e nel rispetto di tutte le più recenti norme ambientali.

Il trasferimento fino in Veneto degli avanzi delle cucine ha fatto lievitare il costo di smaltimento a circa di 140 – 160 euro a tonnellata.

In provincia di Frosinone al momento sono vari i progetti per la realizzazione di un impianto capace di estrarre il metano green trasformando i rifiuti umidi. Uno lo ha presentato Energia Anagni, società del gruppo Saxa Gres che di fatto ne ha ceduto però il controllo a Saf; l’altro è della società Maestrale che lo vorrebbe realizzare nell’area industriale di Frosinone. Ci sono poi i progetti presentati dalle società Recall Frosinone e Air Green di Palestrina: l’uno per produrre bio metano in territorio di Patrica, in località Le Lame; l’altro, nella Mola Bragaglia di Ferentino, per ricavare anche bio CO2 da sottoprodotti e scarti agroindustriali. Con annesso digestore aerobico per la produzione di fertilizzante Acm (Ammendante compostato misto).

Favorevoli e contrari al metano bio

Sul tema si è acceso un confronto. Legambiente e Green Italia sono favorevoli, in linea di principio al concetto di trasformare i rifiuti in metano green e concimi naturali per l’agricoltura. Le altre associazioni sono tutt’altro che consenzienti.  Non lo vogliono in primis le associazioni Medici di famiglia per l’ambiente e Frosinone Bella & Brutta, dalla quale è scaturito il Comitato “No biodigestori a Frosinone – Valle del Sacco”. E nemmeno il Comitato Residenti Colleferro. (Il coraggio che è mancato ai sindaci. E la sfida dei green).

Su posizioni diverse anche i due Comuni, entrambi amministrati dal centrodestra. Ad Anagni il sindaco Daniele Natalia è favorevole ma a patto che ci siano rigidissime norme a tutela dell’ambiente e ci sia la possibilità di un costante controllo dei Comuni. A Frosinone l’Ufficio Ambiente del sindaco Nicola Ottaviani ha espresso parere negativo «sul profilo sanitario», lamentando «il mancato parere dell’Asl». 

Più in generale si confrontano due modi di vedere le cose. Da un lato c’è chi crede nell’economia circolare: la creazione di nuovi materiali ricavandoli da ciò che è arrivato a fine ciclo; crede che i rifiuti possano smettere di essere un problema per diventare una risorsa da sfruttare: creando energia pulita e fertilizzante. E non facendo più arricchire gli altri. Dall’altra, con le loro altrettanto rispettabili convinzioni, ci sono quelli che dicono No in base al principio di precauzione. Ritengono che sia troppo alto il prezzo da pagare in termini di emissioni in atmosfera, impatto dei cattivi odori, sicurezza dal punto di vista della salute. Per questo sono contrari alla biodigestione anaerobica ed al compostaggio.

Il fronte del No

Medici di Famiglia per l’Ambiente

Tra i più attivi c’è Medici di famiglia per l’ambiente. Hanno come presidente, coordinatore e responsabili scientifiche, nell’ordine, i dottori Marzia Armida e Giovambattista Martino, la pneumologa Teresa Petricca e la cardiologa Cristina Volponi. Hanno ribadito più volte che «siamo la Valle del Sacco, Sito di interesse nazionale, dove ogni limite di qualità ambientale è stato superato». 

Rifiutano categoricamente di avere un digestore nel Capoluogo, «un industria insalubre di prima classe». Rammentando che il centro abitato è a 900 metri. E poi evidenziano che «solo nei comuni limitrofi di Patrica, Ferentino e Anagni sono previsti altri tre impianti di biodigestione anaerobica per oltre 180.000 tonnellate annue di materia da trattare». Si tratta di tre progetti, rispettivamente da 80mila, 20mila e 80mila tonnellate. Più piccolo quello della Maestrale: 50mila tonnellate. In ogni caso «Un quantitativo enorme che supera di gran lunga la produzione dell’intera provincia di Frosinone».

Il Comitato Residenti Colleferro, rappresentato da Ina Camilli, ha anche presentato una richiesta di riesame e di sospensione della procedura di Valutazione di impatto ambientale. Sia per il progetto di Anagni che per quello di Frosinone.

La paura di scontentare

Un invaso della discarica di Roccasecca

Ma è a questo punto che rispunta la fatidica domanda del sindaco di Sant’Agata Bolognese Giuseppe Vicinelli: «Non vogliono i biodigestori in Ciociaria? E i rifiuti dove li mettono?!». Perché è chiaro: nessuno vorrebbe un biodigestore vicino casa. Tantomeno, però, una discarica. Ma l’alternativa qual è? E, passando da un rifiuto all’altro, diciamola tutta: è per questo che la Provincia di Frosinone non aveva ancora individuato i potenziali siti in cui far nascere una nuova discarica per l’indifferenziato. Perché, pur avendo tempo inizialmente fino al 2026, si scontentava fin da subito qualche comunità durante l’eterna campagna elettorale. Roccasecca docet.

Nel frattempo, però, il presidente Antonio Pompeo ha lanciato una delibera per evitare il caos rifiuti in Ciociaria. (Leggi qui La barriera di Pompeo per evitare il caos rifiuti ma anche qui Rifiuti, tra i due litiganti il terzo non gode).

Stesse paure a Sant’Agata Bolognese 

Giuseppe Vicinelli

Prima di dar voce a chi ce l’ha in “casa” un biodigestore, per di più il più grande d’Italia nel suo genere, una premessa: nella rossa Emilia-Romagna, sorprendentemente, Giuseppe Vicinelli non è un sindaco del Partito democratico. È primo cittadino dal 2014: dopo 70 anni ha spodestato il Pd con una lista civica di centrodestra. È stato riconfermato nel 2019 con un plebiscito popolare, oltre il 75% dei voti.

Nel mentre, dopo esser nato politicamente in Forza Italia, si è tesserato con la Lega. Ed è diventato il responsabile provinciale degli enti locali. Un percorso che, ovviamente, fa pensare anche a quello del sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani: un tempo forzista e ormai coordinatore provinciale del Carroccio. Ottaviani non ha mai nascosto le sue perplessità sull’impianto a Frosinone. (Leggi qui Nella partita dei rifiuti la Lega vince sempre).

Vicinelli, invece, è stato d’accordo ma ad alcune condizioni. In comune, dunque, Ottaviani e Vicinelli hanno solo la fede politica. Anche se l’assessore frusinate all’Ambiente Massimiliano Tagliaferri, dal canto suo, ha controproposto di fare il biodigestore al posto di quella discarica in via “Le Lame”: che, all’interno del Sin della Valle del Sacco, è in via di bonifica. 

Sindaco Vicinelli, questa è la situazione nella provincia di Frosinone. Lì da voi ci sono state forti critiche quando è stato proposto il progetto del biodigestore?
L’impianto di Sant’Agata. Foto: Silvia Camporesi

«Qualche critica c’è stata. Soprattutto dal Movimento 5 Stelle, che quando sta all’opposizione è bravissimo a criticare e quando sta al governo fa peggio degli altri. Il Partito Democratico per forza di cose, visto che la Regione è democrat, ha fatto solo qualche appunto e non ha potuto che dire “sì”. Sono loro che avevano creato la discarica. Ma chi critica dovrebbe dire dove lo mette il pattume. Qual è la loro idea? Da qualche parte vanno messi. O è meglio trasferirli in altri posti o, magari, sulla Luna? Ogni soluzione ha il suo aspetto negativo, ma una soluzione bisogna pur trovarla. Dire “no”, senza proporre un’alternativa, fa ridere. E non può che arrivare dalla parte negativa della società, che vuole che si peggiori e si torni indietro invece di andare avanti. I rifiuti allora se li tenessero dentro casa». 

È andato dritto al sodo. Lei ha seguito tutta l’evoluzione del progetto di Herambiente. Dalla presentazione alla realizzazione passando per la Conferenza dei Servizi in Regione. Com’è stata recepita nell’immediato l’idea di far nascere un biodigestore?

«La questione è molto più semplice di quello che sembra. L’impianto doveva sorgere laddove c’era una discarica. Ci si limitava al compostaggio e c’era il problema del forte impatto degli odori. Essendo all’aperto, creava problemi. Invece adesso non ci sono più lamentele da parte dei residenti. Può capitare qualche giorno che si avverta qualche puzza. Niente di paragonabile, però, a quella di prima. Di e-mail di protesta, sinceramente, non ne ho mai viste. E, rispetto alla situazione precedente, c’è stato sicuramente un netto miglioramento. Risolvendo al contempo il problema dei rifiuti organici. I numeri parlano da soli. L’ambiente, e con esso la salute, ne beneficiano».

Quindi da parte della sua amministrazione comunale c’è sempre stata un’apertura verso la realizzazione dell’impianto. Quali sono stati i “paletti” che avete imposto nel corso della procedura di valutazione dell’impatto ambientale?
La lavorazione avviene al chiuso per evitare cattivi odori nell’aria

«Abbiamo richiesto di trattare l’organico all’interno di capannoni e non all’esterno. Ed è per questo che non si sentono più odori. Poi, a differenza della proposta iniziale, abbiamo voluto che il bio metano non venisse messo in bombole. Perché ciò avrebbe comportato la realizzazione di un nuovo parcheggio, cementificazione e il trasporto delle bombole sui camion, che avrebbe generato nuovamente traffico e qualche pericolosità. Abbiamo concordato così che il bio metano andasse direttamente in rete. Per questo siamo soddisfatti. Non è aumentato il traffico di camion, non circolano bombole potenzialmente pericolose e, senza il benché minimo consumo di suolo, non si è cementificato nell’area necessaria per lo stoccaggio. Anzi, abbiamo anche richiesto e ottenuto contributi per creare un’area verde. Noi, nelle vicinanze, abbiamo dato vita a un parco con aree giochi, barbecue, sgambamento e fitness». 

Torniamo alla questione “politica”. Il fatto che la Regione Emilia-Romagna fosse di centrosinistra e il Comune di centrodestra non ha affatto creato i soliti “ostacoli” derivanti dalla contrapposizione ideologica. Qui c’è chi punta il dito contro la Regione Lazio, tenuta per legge a valutare ed eventualmente approvare i progetti dei privati, dicendo che è lei stessa a volerli realizzare. In quanto leghista, avrebbe potuto farlo anche lei. 

«Se il progetto è valido e migliorabile, non vedo perché contrastarlo a prescindere. Da noi, ovviamente, il compito è stato facilitato. Noi eravamo d’accordo e l’opposizione di sinistra non ha potuto più di tanto fare opposizione. In uno dei pochi comuni della provincia di Bologna che, a differenza della Regione e di tantissime altre realtà locali, sono guidati dal centrodestra. In ogni caso, ho fatto due assemblee pubbliche, di chi una nell’interessata frazione di Crocetta e l’altra al centro. Per me era importante illustrare alla cittadinanza quello che si andava a fare. Quelli del Pd sono venuti a fare un po’ di domandine e hanno cercato di infastidire. Però quando hanno fatto la discarica, non hanno informato nessuno».

La linea dei bus a bio metano

«Stavolta, ovviamente, non potevano dire più di tanto, anche se avevano voglia di essere polemici. Ma alla fine, in Consiglio comunale, hanno votato a favore. Quelli dei 5 Stelle che protestavano erano due o tre e venivano da Roma. Da dove non credo proprio che possano arrivare grandi consigli in materia di rifiuti».  

E i residenti della zona? Si può facilmente immaginare che siano stati contenti dell’eliminazione della discarica. Cosa pensano dell’impianto di produzione di bio metano? Ci sono state proteste?

«Sì, non lo nego, qualche piccola protesta c’è stata. Ma i residenti di Crocetta sono stati comprensibilmente i più contenti di tutti. Alla fine si mette a repentaglio la salute se i rifiuti rimangono per strada. Non se vengono eliminati e trasformati negli impianti».

«La demagogia è un fattore devastante per l’andamento del bene comune. A Parma il candidato sindaco dei 5 Stelle Pizzarotti si presentò con un punto principale nel programma, ovvero la chiusura dell’inceneritore. Quando è stato eletto, l’inceneritore non l’ha chiuso. Perché si è reso conto che un conto è parlare e criticare, ma quando amministri devi risolvere i problemi».

«E vorrei aggiungere che abbiamo fatto un Paes, un Piano d’azione per l’energia sostenibile, che ha vinto nel 2015 il primo premio in Italia per il risparmio energetico. E poi abbiamo messo in fila una serie di azioni per la quale poi siamo stati invitati in Vaticano, a un convegno sulla “Laudato si’” (l’enciclica di Papa Francesco sull’ecologia integrale, ndr). Come comuni di riferimento c’erano Milano e Sant’Agata Bolognese. Dove, tra l’altro, la Lamborghini è stata la prima a realizzare un unico edificio “gold” (la più alta certificazione energetica possibile, ndr) Questo per dire che siamo fortemente orientati all’ambientalismo ed è per questo che abbiamo scelto di dire “sì” anche al biodigestore».