Schlein dritta verso il plotone di esecuzione, così addio riformisti

Gli appuntamenti d'urna del 2024 e la strategia della segretaria dem di bypassare le primarie grazie alle quali lei oggi è al Nazareno

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Il segreto è filtrare, il modo è come quelli che sul patibolo ridono in faccia al boia e l’effetto è restare soli. E puri. La più grande contraddizione del Partito Democratico a guida Elly Schlein è che addita l’eugenetica come male storico (a ragione). Ed indica la pratica come metodo politico, con una vagonata di torti che passano per il deserto dei gazebo. Cose che succedono quando il massimalismo diventa mobile di casa e non più tinello importato, magari relegato nella stanza in cui non ci va mai nessuno.

Le analisi politiche hanno un difetto: tendono a mettere sul tavolo faccende che, ben enunciate, sembrano vere e concrete come una botta di piede sullo spigolo maledetto. Lo sono, così plausibili, perché un concetto ben esposto ed un minimo di appiglio storico fanno la somma perfetta. Ma a volte è roba “caricata”. Ecco, nel caso del Pd che guida Elly Schlein no, perché lì c’è una prova, ed è prova regina perché rimanda ad appuntamenti elettorali importantissimi per i Dem.

I veri “dem” stanno a Frosinone e sono Fratelli

Massimo Ruspandini

Per le amministrative di Firenze e per lo step regionale in Sardegna i nomi parlano da soli. Sara Funaro e Alessandra Todde sono la crasi perfetta di una strategia che ha dato scacco matto alla chiave di volta del Partito: le primarie. La prima, che punta al dopo Nardella, è stata scelta direttamente dalla Schlein e dal presidente Eugenio Giani.

Come? Con un’assemblea “democratica” che però si è ammantata dalla presunzione coatta di escludere la base. E attenzione: se la base la esclude magari FdI, che invece nei congressi ha fatto tutto in regola e con un vero voto che a Frosinone ha portato alla presidenza di Massimo Ruspandini, poco cale. (Leggi qui: Chi vince e chi perde nel Congresso FdI che incorona Ruspandini. E leggi anche I have a dream: FdI fa democrazia invece di proclamarla).

La trazione “d’imperio” del Partito guidato da Giorgia Meloni è talmente nota che quando non c’è stata si sono stupiti un po’ tutti, ma sì, c’è stata. Quando alla base dà invece scacco matto un Partito che del coinvolgimento della base ha fatto il suo mantra la cosa inizia a far storcere nasi e drizzare antenne.

Veroli che sembra voler seguire la linea

In molte dichiarazioni iperboliche, e per faccende di cuore comprensibili, la pur splendida Veroli vene definita “la Firenze della Ciociaria”. Ecco, se questo è un parallelismo magari un po’ forzoso, in punto di dinamiche amministrative sul fronte dem lo stesso rischia di essere azzeccato al millesimo. Anche nella cittadina ernica e per il voto amministrativo del dopo Simone Cretaro si attendono le Primarie che dovranno presumibilmente affidare alla volontà popolare la possibile scelta tra Francesca Cerquozzi ed Assunta Parente. In attesa di sapere se Denis Campoli riuscirà nella sua misson impossible di unire ed allargare il fronte. (Leggi qui: Piacere Denis e sono qui per unire).

La via di una sintesi prog con Germano Caperna pare languire ed anche in quel caso il Pd sembra affidato più ad un contesto decisorio di pochi che deliberativo della base. Il dato storico è che se per Veroli le dinamiche sono in itinere per Firenze i giochi sono fatti, e sanno di democrazia “retrò”, senza aver messo su neanche uno straccio di gazebo. In Sardegna Alessandra Todde ha messo assieme le forze di Demos, Sinistra futura, Rossoverdi, La base, Orizzonte Comune, A Innantis, socialisti, Forza Paris e si giocherà la partita assieme al M5s.

Tutto bene, anche a contare il valore indiscusso del campo largo inaugurato illo tempore da Nicola Zingaretti, ma c’è un mezzo insider. Renato Soru ha mollato il Partito e sfiderà la nuorese in una lotta “fratricida” che rischia di mandare i Dem in emorragia secca. Il dato politico è che per molti casi di rilevanza fondamentale sembra che la linea del Pd sia stata quella di fare coriandoli dello Statuto e di andare dritto a traino dei desiderata della Segretaria. Alcuni media, come il Riformista con Aldo Torchiaro, spiegano che dietro certe scelte c’è il bisogno di dare polpa tanta alla bussola etica del Partito.

Ciao ciao gazebo: si sceglie massimalista

Stefano Bonaccini ed Elly Schlein (Foto: Canio Romaniello © Imagoeconomica)

“Due donne, per indicare che i Dem a trazione sinistra almeno la lotta al patriarcato devono mostrare di farla sul serio. E soprattutto due donne garanti del patto tra Nazareno e Campo Marzio”. Insomma, se si sta nell’altra metà del cielo e si è abilitate a soddisfare le linee su cui convergono la Schlein e Giuseppe Conte va tutto bene. E birba chi si avvia ad incastrare tubolari per i gazebo.

E no, così non va affatto bene e per due motivi, uno empirico e l’altro strategico. Il primo è legato al fatto che la stessa Schelin è figlia di una rivoluzione che proprio per le primarie passò. Buona seconda contro Stefano Bonaccini con il voto dei tesserati, risultò prima e Segretaria grazie a quello della base d’area. Ed oggi guida i Dem grazie a quello stesso meccanismo – statutario, ricordiamolo – che aveva messo lei in arcione. Insomma, se non è miopia quanto meno è ingratitudine.

Il secondo è più sottile ma se possibile ancor più letale. Un Pd che ricusa spesso le Primarie non è solo un Partito che sconfessa la sua “costituzione interna”, ma anche un setaccio voluto. Cioè un sistema complesso che, sapendolo benissimo, così facendo spinge ancor più all’abbandono i riformisti che avevano tenuto la tessera.

Lo scopo evidente: la diaspora dei riformisti

Piero Sansonetti (Foto: Paola Onofri © Imagoeconomica)

Insomma, quello in atto appare come un forsennato “serrate i ranghi” dei massimalisti. Che si chiudono di fronte alla minaccia non tanto dei riformisti in sé, quando piuttosto del fatto che, essendosi dimostrata la linea ortodossa poco vincente, conviene fare come quello delle barzellette che per dispetto della moglie mette mano alle forbici e punta in basso.

Incrementare la diaspora dei moderati dal Pd per consentire ad un solo Pd di prevalere all’interno senza la certezza che possa risollevarsi all’esterno è roba di tafazzismo spinto. Con gli appuntamenti di Abruzzo, Basilicata, Piemonte, Umbria e Sardegna in calendario c’è un rischio grosso. Quello che per seguire un capo che vuole vincere e far rimangiare a Piero Sansonetti ogni copia de L’Unità in cui si auspicava la decollazione del Nazareno, alla fine perde il partito.

Un Partito che pare sappia solo lanciare un messaggio di inadeguatezza di chi oggi sta in sella e che si vede costretto a fare abile arruolato sui social e per le Europee ogni loggionista che urli alla Scala cose sante ma ovvie. E poi magari lanciare bordate contro il generale Vannacci senza accorgersi che sul fronte opposto si sta facendo la stessa cosa. Solo che “là” sono populisti di pancia e cazziarli era facile, ma “qui”, nel pieno della politica fieramente strutturata? Come la mettiamo?

Ignorandolo o magari sapendolo benissimo, perché il Pd di Elly Schlein ormai è fatto così: per una bella morte sarebbe capace di morire davvero.