Stellantis: Calenda fa Cassandra e Cassino sta tranquilla, ma non troppo

Lo dice da mesi ma è diventato attendibile solo adesso che c'è il duello Meloni-Repubblica. Con Tavares che ha scoperto le carte sui Bev

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Inascoltato come la mitologica sacerdotessa figlia di Priamo il troiano, poi rimesso in asse in gran fretta. E non da una improvvisa e serena consapevolezza dell’urgenza di ciò che diceva. No, a Carlo Calenda è toccata la sorte amarognola di chi diventa funzionale, non di chi era già utile a prescindere. E sul caso Stellantis il leader di Azione che venne praticamente cacciato dagli operai in subbuglio della Magneti-Marelli sta di nuovo sul pezzo per fattori più che altro contingenti.

Quali? Quelli che nei giorni scorsi avevano portato la premier Giorgia Meloni ad usare il caso Stellantis come dardo avvelenato contro il suo personalissimo media-villain. Cioè quel Repubblica che, specie con Massimo Giannini, sarebbe in vetrina Elkann e quindi “poco abilitato” a dare lezioni etico politiche al Governo e ad essa per prima. Insomma, una tipica faccenda all’italiana, dove il fumo si fa arrosto solo quanto c’è l’interesse dei cuochi in comando, che hanno scatenato (per induzione, non per diktat) il Tg4 con una micidiale serie di aperture.

La tattica di Tavares sull’elettrico

Carlos Tavares (Foto: Canio Romaniello / Imagoeconomica)

Servizi pro Adolfo Urso e contro le politiche assistenziali che dalla Fiat, via Fca e fino a Stellantis hanno portato 220 miliardi dei contribuenti a fare da cuscino alle scalmane dei vari Ad. Messa più grezza, il principio sotto accusa è quello per cui le perdite sono roba sociale e gli utili sono roba aziendale. Serve un piccolo recap.

Questi sono i giorni in cui l’Ad di Stellantis, Carlos Tavares, ha lanciato segnali precisi. Il sunto è che se non ci saranno aiuti di Stato Mirafiori e Pomigliano se la rischiano. C’è chi in quelle dichiarazioni ci ha visto il solito ricattino ad hoc per mungere la vacca capitolina e chi ci ha visto un allarme concreto. Hanno ragione tutti e due, e dall’equazione possibilista in negativo, almeno per ora, lo stabilimento di Piedimonte San Germano pare manlevato. (Leggi qui: Stellantis, Cassino non rischia ma gli altri si).

Come stanno messi a Piedimonte San Germano

No, Cassino non è (ancora) incognita di quell’equazione nefasta. O quanto meno non lo è al punto tale da far tremare polsi dalle nostre parti. Perché?

Due le letture. La prima rimanda al nocciolo tecnico dell’intera vicenda. Tavares accusa l’Europa di aver puntato sull’elettrico. Il che significa che dove si producono auto a carburante di fascia larga e pop serve che lo Stato ci metta del suo e di più. Stellantis ha in previsione di investire, entro il 2025, più di 30 miliardi di euro nell’automotive per i Bev, i Battery Electric Vehicle. Ma evidentemente non bastano per lavorare nel Paese dove c’è parte della produzione ma dove sulla logistica dell’elettrico si sta messi maluccio.

A Cassino, con Stla-Large, si lavorerà sul segmento premium e in modalità di ambito. Stla Large fa parte infatti del poker di piattaforme elettriche che già avevano rimesso Stellantis al passo con le rotte del terzo millennio. In larghissimo ritardo rispetto ai competitor, specie la Cina, ma già secondo un preciso protocollo. Le altre sono Stla Small, Stla Medium e Stla Frame.

Produzione in calo, Cassino “salva”?

E sono tutte soluzioni successive all’adozione del Windsor Assembly Plant in Canada. Insomma, siccome sulle rotte dell’elettrico e per segmento Cassino sta seconda in podio temporale per adesso le “minacce” di Tavares sembrano settate su altri stabilimenti più ortodossi. Tutto bene per noi madama la marchesa?

No, affatto, perché a Cassino si lavora ormai su un turno unico, perché malgrado l’up produttivo di Alfa per gennaio i problemi ci sono. E perché la produzione locale del 2023 è calata dell’11,3% per quasi 50mila veicoli in meno. Cassino il più idoneo come sito ma è anche il meno prolifico, almeno in questa fase di transizione, insomma. Vero che in questa fase si stanno montando le nuove linee per produrre su piattaforma Stal Large , altrettanto vero che sono stati fatti radicali cambiamenti in alcune officine del ciclo produttivo per adattarle alle nuove produzioni.

A volerla metter giù militare potremmo dire che rispetto ad una ipotetica Dunkerque lo stabilimento sotto l’abazia sta ancora al di là del Canale della Manica, ma vede già la Wermacht che mena i suoi. E il Governo?

Adolfo Urso (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Adolfo Urso è stato secco: oltre i 900 milioni di incentivi per l’elettrico già annunciati non ci sono vie. “Negli incontri avuti è stato chiesto un impegno a cambiare la normativa Euro 7, cosa che il governo ha fatto. Ci avevano anche chiesto un impegno sugli incentivi e l’abbiamo mantenuto. Se Tavares richiede che l’Italia faccia come la Francia, che ha aumentato la sua presenza attiva in Stellantis, ce lo chieda. La differenza tra noi e Parigi è che loro sono nel capitale e noi no. Fateci una richiesta”.

E Giovanbattista Fazzolari con Tavares ha usato il regolo al curaro: “Non esiste solo Stellantis, il governo è al lavoro per tutto il comparto”.

“Niente aiuti random, fateci entrare semmai”

Giovanbattista Fazzolari (Foto: Alessia Mastropietro © Imagoeconomica)

Tradotto e detto papale: è finita l’era degli aiuti a prescindere e adesso la sola via è quella di un ingresso di Roma in plancia, e di una equiparazione del potere “decisionale” con quello che ha già Parigi. Insomma, illo tempore non esercitammo il draghiano golden pover e adesso sono guai o quanto meno è braccio d ferro.

Cos’è il golden power? Si tratta di uno strumento normativo, previsto da noi fin dal 2012, che permette al Governo di un Paese sovrano “di bloccare o apporre particolari condizioni a specifiche operazioni finanziarie, che ricadano nell’interesse nazionale”. Non ce lo volemmo mettere, il dito in quel tritacarne.

Elkann e l’elettrico, ma non con Renault

Dal canto suo John Elkann ha chiarito che “non esiste alcun piano allo studio riguardante operazioni di fusione di Stellantis con altri costruttori”. A cosa alludeva? Alle voci di un comparaggio stretto con i francesi di Renault.

“La società è concentrata sull’esecuzione del piano strategico ‘Dare forward’ e nella puntuale realizzazione dei progetti annunciati per rafforzare l’attività in ogni mercato dove è presente, inclusa l’Italia”. E ancora: “Stellantis è impegnata al tavolo automotive promosso dal Mimit che vede uniti il governo italiano con tutti gli attori della filiera. Nel raggiungimento di importanti obiettivi comuni per affrontare insieme la transizione elettrica.

John Elkann davanti alla foto del nonno Gianni Agnelli Foto © Imagoeconomica / Stefano Carofei

E Calenda? Scettico sul rampollo di casa Agnelli e determinato. Il leader di Azione si è preso in questi giorni la notifica di denuncia per diffamazione da parte di Maurizio Landini. Il leader della Cgil era finito al centro degli strali dell’ex ministro per la sua presunta “quiescenza” sui guai di Stellantis nel contenitore editoriale degli Elhkann. E da buona Cassandra che non rinuncia ad essere tale Calenda ha scritto: “Non ho alcun interesse allo scontro con Landini a prescindere. Mi sono sempre confrontato con il Sindacato con schiettezza. Anche andando a prendere fischi al congresso della CGIL”.

Calenda: “Sindacati politicizzati”

Carlo Calenda (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

Poi la sgroppata di funzionalismo, che del Calenda-pensiero è tratto saliente e sempiterno. “Qui il problema è il merito della vicenda Stellantis, che finalmente è emersa in tutta la sua drammaticità. Ed è una vicenda che mostra la politicizzazione di questa gestione sindacale.

Allargare il campo di azione – è il caso di dirlo – è cosa ovvia e necessaria. Lo è perché la deindustrializzazione e le delocalizzazioni mannare sono regola, e non eccezione da noi, e non solo per colpe altrui. “Non è solo Stellantis, penso a ILVA e all’acquiescenza di Landini verso i cambi di rotta schizofrenici del Governo Conte due. E ancora, le assurde richieste per cinquanta miliardi di deficit in più alla vigilia della legge di bilancio.

Poi Calenda affonda in analisi politica e contesta a Landini quel che in molti, nel Pd, contestano ad Elly Schlein. Cioè il meccanismo delle caselle inoccupate e di chi le occupa quando le vede vuote o con occupanti deboli. “La tentazione del leader della CGIL di trasformarsi in leader politico ha come conseguenza una confusione di piani che nuoce ai lavoratori. La nascita di conflitti di interesse (in questo caso con i giornali del gruppo Elkann) che hanno determinato un approccio morbido e confuso alla vicenda Stellantis”.

L’economia pop che non fa bene a nessuno

Maurizio Landini (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Ma non è finita: tra le conseguenze ci sarebbero anche “la svolta del sindacato verso il populismo nelle proposte di politica economica. Non è un bene per nessuno. Per la politica, per i lavoratori, per i giornali coinvolti ma soprattutto per l’autorevolezza del Sindacato”. Insomma, il quadro d’insieme è quello di una via che per ora è solo dialettica.

Con un’azienda franco-olandese-italiana che chiede ed un governo italiano che ha una contro richiesta e che si è messo di traverso alla stirpe degli Agnelli. E con un leader politico che si è ritrovato a fare la parte più mesta di tutte. Quella de “io l’avevo detto”. Che gli operai di Mirafiori e Pomigliano tremino di paura e che quelli di Cassino tremino per il freddo questo, per ora, pare dato accessorio.

Perché che produzione, lavoro e paure annesse siano in combo pare non lo si sia ancora capito bene. Non al punto da dare cittadinanza, nel ragionamento, al terrore di non portare più il pane a tavola.