Addio presidente: il segretario Tajani prende il testimone “centrista” del Cav

Sarà il traghettatore fino al Congresso del 2024. Ma soprattutto sarà l'uomo che testerà gli azzurri alle prossime Europee

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

La vera grande sfida sarà dimostrare o ribadire che Forza Italia era nata per una parte di italiani e non per una serie di interessi singoli. Dimostrarlo nel momento storico in cui chi l’aveva fondata non c’è più e chi l’ha “ereditata” c’è. E guarda all’Europa proprio nell’interesse di una certa parte di italiani. Anzi, guarda alle Europee.

Un Caronte al contrario, benevolo, prudente e tanto abituato a stare un passo indietro che ora che è davanti a tutti sembra quasi a disagio. Ma è un bluff perché lui ai vertici ci sa stare benissimo, solo che non soffre di ubriachezza da aria rarefatta. E’ un nocchiero poco infernale, un campione da Purgatorio che spunta nelle ore in cui il Caronte meteo agguanta la fronte dell’Italia. Sarà Antonio Tajani a traghettare Forza Italia verso il congresso del 2024, il primo nel merito di un partito che di congressi non ne cercava e primo del dopo Berlusconi.

Addio presidente, addio presidenza

Consiglio Nazionale di Forza Italia (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Tajani lo farà da Segretario pro tempore, non da presidente. Non da leader ma da equalizzatore del correntismo incipiente di un Partito che si è scoperto malevolmente federato. Eppure è un partito di ghisa, in cui la forza della lega metallica almeno per ora prevale sulle sue singole componenti disaggregate dal 12 giugno scorso. Quella del leader aziendale è una casacca che gli azzurri hanno deciso di ritirare in omaggio al fondatore, come si fa nel calcio con certi impareggiabili numeri 10.

E lo scopo del Consiglio nazionale di questo torrido week end di metà luglio è stato netto: essere il “centro del centro-destra”. Che non è solo uno slogan figo, ma un chiaro segnale agli alleati di FdI e della Lega che hanno un dna politico diverso. E che in Europa sono il bilico tra Visegrad e l’asse Berlino-Parigi-Roma, che si collegano coi franchisti di Vox e blandiscono il reuccio di Budapest. Insomma, c’è stato tempo di emozionarsi ma non poteva e non doveva mancare il tempo di indicare la rotta.

L’emozione da vivere e la rotta da indicare

Antonio Tajani Segretario “perché c’è un solo Presidente” (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Anzi, di ribadirla, a futura e non tanto lontana memoria, quando cioè si apriranno le urne elettorali per Strasburgo-Bruxelles. Il prologo è stato da agiografia stretta, con Tajani che ha detto come la pensa sulla tipologia di carica. Lui pensa che dopo Silvio Berlusconi “Forza Italia non potrà più avere un presidente. Propongo di inserire nello statuto del partito la parola Segretario Nazionale al posto di presidente”.

La guida del Partito fino al prossimo Congresso nazionale ha spuntato una modifica statutaria di forma prima di addentrarsi sulla strada del merito e della sostanza. Strada dritta, per certi versi fiera. E che come tutte le cose in predicato ipotetico di debolezza, ha ospitato i passi sicuri di chi quella debolezza la deve mascherare. E’ morto un leader ed è arrivato un Segretario, il Partito è coeso solo in elegia. E la sola speranza di una nuova stagione di gloria ce l’ha in tasca Manfred Weber, leader dei popolari europei che a Roma c’era.

Weber, il testimone della missione Ppe

Antonio Tajani e alle spalle la gigantografia di Berlusconi (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

La più grande famiglia politica d’Europa dovrà garantirsi il bastione italiano e dovrà farlo scommettendo sulla sua tenuta a prescindere dal collante primigenio di un uomo pieno di lasciti ma senza eredi. Un uomo la cui gigantografia ha campeggiato nella sala dell’Hotel Parco dei Principi a Roma con sotto una scritta che sapeva di mantra motivazionale ai summit dei promotori finanziari under 30. “Chi ci crede combatte, chi ci crede supera tutti gli ostacoli. Chi ci crede vince”.

E vincere è un po’ più difficile da oggi, oggi che Berlusconi è solo un totem sotto al quale piangere e promettere che il suo “verbo” non andrà sperso. Tajani non ha copioni, non è mai stato un marpione col capo, ma lui il marpione lo sa fare anche quando non vuole farlo. E’ la sua forza di uomo prudente, grigio per scelta come le falene notturne che celano i colori fluo sotto l’ala. “Questo è il primo Consiglio nazionale senza il nostro leader. Più che un minuto di silenzio ci vuole un minuto di applauso ma vedo che è partito spontaneo”.

Poi la linea, quella che non deve mancare perché l’omaggio deve fare il paio con la rotta. “Siamo al governo lealmente senza alcuno spirito di compiacenza di altri. Vogliamo essere il centro del centrodestra. Siamo alleati ma diversi dai nostri alleati, noi non intendiamo assolutamente rinunciare alla nostra identità, vogliamo che la nostra identità rafforzi l’azione di governo”.

“Siamo il centro del centro destra”

Antonio Tajani ed una Forza Italia democristiana (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Un carpiato saggio per dire molto senza dire troppo: chi sperava in un de profundis della creatura dopo quello del creatore ha fatto i conti male. Ha fatto i conti senza il Ppe e le skill di un partito centrale perché centrista. Un Partito che è la cosa più democristiana su piazza da quando la Dc morì sulla bocca socchiusa del compianto Arnaldo Forlani e sulla barba di due giorni di Tonino Di Pietro in un’aula di tribunale milanese.

Ecco perché Tajani ha avuto bisogno di dare un segnale alla platea. E tra gli altri a Paolo Barelli e Licia Ronzulli, alla ministra Anna Maria Bernini. Poi ai vicepresidenti di Senato e Camera, Maurizio Gasparri e Giorgio Mulè. E anche al governatore della Sicilia Renato Schifani con il capo delegazione a Bruxelles, Fulvio Martusciello. Perfino a Marta Fascina, che non c’era e che pare in predicato di sfratto dalla leadership coniugale non solo da Arcore.

”L’ultimo sondaggio ricevuto mentre era già in corso il Consiglio nazionale ci dice che siamo all’11%. Quindi, raccolgo un’eredità quasi impossibile da raccogliere. Eredità di un movimento politico che si candida a continuare ad essere protagonista dell’azione di governo del nostro Paese. Chi pensava che fosse finita e che fosse cominciata la stagione del travaso farebbe bene a riporre le damigiane insomma. Non è ancora tempo di vendemmia e cari alleati-caro Matteo Renzi fatevene una ragione.

Quadrini: “Con lui e Fazzone torneremo centrali”

In provincia di Frosinone le reazioni alla nomina di Tajani sono state in linea con le aspettative.

Il capogruppo in Provincia Gianluca Quadrini, uno che sui comunicati stampa esce praticamente in tempo reale, ha tenuto fede alla nomea. “Una nomina all’unanimità per dare continuità ad un movimento politico che ha avuto come unico leader, dalla sua nascita, Silvio Berlusconi. Guarda al futuro “Sono sicuro che Tajani saprà ricoprire egregiamente con serietà, determinazione ed impegno, principi cardine di Forza Italia da oltre 30 anni. Propongo il pieno sostegno. Anche perché insieme al coordinatore regionale, senatore Claudio Fazzone e al nuovo segretario nazionale il nostro territorio potrà finalmente ritornare ad avere un ruolo centrale nella crescita e nello sviluppo”.

Frosinone è una delle realtà emblematiche di un Partito che fino ad oggi è stato ingessato nel mito del suo fondatore. E che ora si prepara a diventare Partito con il nome del suo fondatore e le sue idee. Il coordinatore Regionale Claudio Fazzone è riuscito a tenere tutto insieme in questi anni, sopperendo alle migrazioni di chi da un certo punto in poi non ci ha più creduto. Le percentuali prese da Forza Italia in provincia di Frosinone e di Latina alle Regionali ed alle Politiche gli danno ragione. Ma ora c’è la grande trasformazione da affrontare.

Da “L’Italia è il Paese che amo” a “L’Europa è l’obiettivo che voglio” il passo è stato breve, perché l’epifania di un Ppe forte anche perché italiano di razza era roba che mestava anche l’animo del Cav. Tra i 213 delegati con diritto di voto il messaggio è passato abbastanza forte da diventare mastice e non così forte da far sì che qual mastice duri in eterno. Ma l’importante è che duri fino al 2024. Fino al Congresso e fino al voto europeo.

Motivi, moventi e coltelli, ma non oggi

Anna Maria Bernini al Consiglio Nazionale di Forza Italia (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Poi ci sarà la resa dei conti e chiunque tirasse fuori un coltello fino ad allora celato dietro la schiena potrà farlo sulla base di un risultato. Di un motivo che giustifichi e non di un movente che puzzi di tradimento. Tajani tutto questo lo sa benissimo ed ha preso il timone. Lui è stato secondo abbastanza per testare ed ascoltare. E per sapere che alla fine tutte le urla cessano per infiammazione di corde vocali. Che tutti gli estremi escono dalle loro iperboli con le unghie tagliate. E che poi, alla fine dei cicli di pancia e spleen, i moderati vincono sempre.

Perché se ne stanno accucciati, pazienti e sereni, esattamente dove i delusi vanno a parare. In quel posto comodo ed affidabile dove non ci sono scossoni. E dove il mondo, prega, fa figli, accende un mutuo e fila liscio in punto di media e numerosa banalità narcotica. Un posto che è un partito dal 1994. Un posto popolare. Un posto europeo. Il posto del segretario pro tempore Antonio Tajani, il delfino che ha saputo stare alla larga dagli squali con cui ha fatto un’alleanza. Per essere il centro del centro destra.

E aspettare il momento buono per farlo pesare per poi magari andare a raccontarlo con un fiore in mano davanti al Grande Mausoleo dove riposano un presidente ed una presidenza. Ad Arcore.