Covid e narrazione sul Covid, il distinguo attivo del governo Meloni

I contagi risalgono ma stavolta e per fortuna sono solo occasione per analizzare la lettura politica del fatto. E il reset dei vecchi tecnici

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

L’apertura delle scuole e la risalita dei contagi Covid sono ormai da tempo fatto appurato scientificamente e sul quale non c’è più bisogno di dividersi in Guelfi e Ghibellini all’italica maniera. E’ evidente che con le aule aperte e milioni di studenti in giro la soglia di attenzione cresca. Così com’è evidente che chiunque volesse sminuire in punto di analisi empirica la necessità di essere guardinghi sulla crescita dei contagi va dritto nella teca dei polemisti gonzi un tanto al chilo.

Troppe ne abbiamo passate e troppo poco tempo è trascorso per spedire in bacheca quella terribile stagione. La stagione di un virus che non conoscevamo e che abbiamo amaramente imparato a conoscere. Tuttavia, parallela alla narrazione tecnico-scientifica sul Covid oggi esiste ed ha peso anche la narrazione politica sul Covid. Cioè su come il “ritorno” della malattia abbia colto il governo in carica.

Sconfessare ad ogni costo la vecchia linea

Giorgia Meloni

Esecutivo che per parte maggioritaria è composto da personaggi che quando il Covid era tragedia e non blando pericolo non erano esattamente spalmati sulla linea della lotta ad oltranza. Insomma, come la metterà il governo Meloni in tema di coronavirus per evitare di dover avallare ex post le condotte dei suoi predecessori e quindi certificare che nella vita si è banderuole del consenso e non monoliti di una propria ragione? Da questo punto di vista l’esecutivo subentrato il 25 settembre del 2022 ha avuto vita facile.

La stagione temporale in cui ha preso alloggio a Palazzo Chigi era già quella blanda di un Covid “mezzo sderenato”. A fare trincea ci avevano pensato gli uomini dei governi precedenti, che politicamente viravano su posizioni antitetiche a quella del destra centro.

Ci aveva pensato gente come Alessio D’Amato, che da assessore regionale alla Sanità del governo laziale di centrosinistra si era distinto come uomo d’acciaio. Oggi D’Amato ha perso le Regionali contro Francesco Rocca e, deluso dal Pd, è approdato ad Azione di Carlo Calenda. In quei mesi bui dalla Pisana erano partite alcune delle soluzioni migliori e più funzionali per arginare e gestire i contagi. Gente come Giovanni Rezza, Direttore generale della Prevenzione al Ministero della Sanità e di origini roccaseccane, che aveva dato approvazione al lockdown totale definendolo “scelta coraggiosa”.

Il Lazio delle meraviglie con Alessio D’Amato

Alessio D’Amato (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Insomma, c’era stata tutta una classe politica che aveva funzionato contro il Covid peggiore e che aveva ingaggiato uno stuolo di tecnici per funzionare meglio.

Ora però sono successe due cose: il Covid non è più il “peggior Covid” e la politica ha girato la clessidra. Lo ha fatto mettendo quelli che prima decidevano a subire le decisioni di quelli che prima le decisioni le subivano.

Restavano i tecnici, che incarnano un paradosso perché sono espressione di una linea politica passata e di circostanze cassate. Perciò quel paradosso andava “sanato” e come si stia muovendo il governo attuale dice molto sulla nuova roadmap in tema di ex pandemie oggi epidemie a stagionalità netta.

Palazzo Chigi oggi ha una priorità assoluta: dimostrare che la nuova stagione influenzale può coincidere con la nuova narrazione politica del destracentro e farlo senza cadere in clamorose (ed amare) smentite. Tutti pronti quindi ma con un nuovo mood. Il tavolo tecnico annunciato dal ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, con esperti dei ministeri dell’Istruzione e della Salute è stato il secondo step.

Come ti narro la nuova stagione influenzale

Orazio Schillaci

Il primo era stato quello con cui il titolare della Salute Orazio Schillaci aveva già abrogato l’isolamento per i soggetti positivi al tampone. E poi aveva statuito la richiesta dell’esecuzione di un tampone per l’accesso all’interno degli ospedali solo in presenza di sintomi. Lo scopo era prendere distanze percepibili dalla linea dell’esecutivo di Giuseppe Conte e del ministro massimalista Roberto Speranza, “nemesi secondina” secondo la vulgata del destra centro oggi al governo.

Ma la strategia è andata oltre e bisognava scoperchiare la casamatta del poker di esperti che incarnava quella linea “talebana” di Speranza.

Cioè Walter Ricciardi, Gianni Rezza, Silvio Brusaferro e Franco Locatelli. Ricciardi era un nominato di fiducia di Speranza e, essendo decaduto il ministro, è decaduto anche lui. Perciò il lavoro da Palazzo Chigi se lo sono trovato già fatto per il semplice fatto di aver vinto le elezioni.

Giovanni Rezza è andato in pensione. Al suo posto è andato Francesco Vaia, Dg dello Spallanzani e uomo totem dell’anti-allarmismo in tema di Covid anche quando il Covid di allarme ne suscitava a vagoni. Il Foglio spiega che anche la pratica Silvio Brusaferro è stata archiviata.

Il referente dell’Iss era in scadenza di mandato che a luglio era stato prorogato ma che pochi giorni fa è decaduto. Chi ha surrogato Brusaferro?Rocco Bellantone, ex preside della Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica di Roma e cugino (di 5° grado) del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari. La rosa dei tecnici “morbidi” è quindi di fatto già composita, soprattutto per il fatto che la “ratio” della presenza di molti di essi era emergenziale e che con la fine dell’emergenza è finito il loro ruolo.

Locatelli “faceva” le cose per bene

Franco Locatelli, Roberto Speranza, Francesco Paolo Figliuolo (Foto: Vincenzo Livieri / Imagoeconomica)

Tutto sommato quindi non c’è stato bisogno di fare cadere teste dato molte di loro sul collo ci stavano in timing definito. Resta però il bastione finale da abbattere per sbriciolare la vecchia narrazione politica sul Covid che fu e quello è bastione grosso, per ruolo e per battage. Franco Locatelli, uomo chiave del Consiglio superiore di Sanità. Non far cadere lui significherebbe, per il governo Meloni, tenersi un metallaro in una casa dove sono andati tutti convinti e contriti al funerale di Toto Cutugno.

Il Foglio ricorda come un primo tentativo venne effettuato con il decreto Milleproroghe al Senato di gennaio. A fare il “Mastro Titta” ci aveva provato il presidente della commissione Affari sociali e Sanità, Franco Zaffini di Fratelli d’Italia. Lo fece con un emendamento che “puntava a far decadere tutti gli attuali componenti del Css alla luce della imminente riorganizzazione del ministero della Salute”.

Il Milleproroghe e il colpo d’ascia

Non si andò a meta ma non è detto che in queste settimane non possa esserci un nuovo tentativo di affilare la mannaia. Non è detto perché lo scopo a questo punto è politico, e il reset dell’apparato con cui i governi passati avevano fatto barriera al Covid è necessario per una lettura fluida e senza contraddizioni della nuova narrazione. Un po’ vanno capiti, gli uomini e le donne che oggi sono al timone.

Palazzo Chigi

Come lo gestirebbero un attacco delle opposizioni proprio sul “core” di una vicenda che ha visto esecutivi pregressi funzionare? Si porrebbe lo stesso ossimoro del Superbonus 110, una volta considerato ossigeno puro per l’economia ed oggi Nemico Assoluto dei conti dello Stato. E di contraddizioni il governo Meloni ne può vivere solo fino ad un certo punto e ad un certo quantitativo, con la Legge di Bilancio sparagnina che incombe.

E con un autunno in cui tutto deve essere al suo posto, incasellato in una narrazione netta. Senza compromessi o sfumature. Sennò quando si tratterà di impugnare le ragioni o di respingere i torti ci saranno crepe. Quelle che il governo Meloni, con le Europee 2024 in arrivo, non può permettersi.