Dove eravamo rimasti con la lotta di chi vede nel Green Deal una minaccia, e perché è stata spedita una lettera all'assessore Righini
Una sorta di “bipolarismo coatto”, è quello che in tema di politiche agricole attive ha portato il governo italiano ad assumere atteggiamenti a volte contrapposti. E che perdurano ancora in questi giorni post-pasquali. Sono i guai di quando la politica deve inseguire i flussi delle categorie sociali, invece che determinare la stasi appagata delle stesse in punto di norme che spesso hanno anche un cappello europeo. E questo fenomeno, fisiologico in Italia, con l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni si è accentuato.
Non è tutta colpa del governo attualmente in carica, sia chiaro. E’ solo che il flusso degli avvenimenti sovranazionali a volte ti investe proprio quando non avevi bisogno di quelle maree. A quel punto scattano due possibili risposte: o ti metti in arcione a chi protesta oppure tieni duro e trovi una soluzione di buon senso che scontenta un po’ tutti. Con i governi a trazione sovranista non c’è neanche bisogno di dirlo. Si va alla californiana e si surfa l’onda fin che si può a poi si salta via appena di vedono gli scogli.
Prima e dopo la carne sintetica
Ad inizio 2024 il ministro titolare del caso portava a Bruxelles il caso della “carne sintetica” dichiarato inapplicabile dalla Commissione europea. Oggi in spunta di agenda ci sono cose più morbide come la revisione della Politica agricola comune. I trattoristi barricaderi hanno avuto il tempo di capire che protestare contro l’Europa è utile. Ma che protestare anche contro Roma male non fa e gli schieramenti si sono diluiti e fratti. Il voto Ue tra due mesi è il filtro di tutto e si tratta di dare un po’ ragione ad una classe di elettori a 24 carati, un po’ di non dare troppo torto a quell’Europa di cui ci si deve proclamare a denti stretti alfieri fedeli.
Son guai, insomma. In questo senso il Consiglio Agricoltura e Pesca convocato qualche tempo fa da Francesco Lollobrigida aveva funto un po’ da bacino di virata. Ma senza perdere identitarismo, a giudicare dal titolo di un documento programmatico che ne è cardine: “Agricoltura, Pa, sovranità alimentare dell’Unione europea: ricollegare cibo e società”.
Il documento ed il summit di Lollobridiga
Roba forte di logorrea, inutile negarlo. E soprattutto roba che proverà a scavalcare una prima fase ormai decotta e stantia. Il Foglio aveva spiegato che lo scopo resta “andare oltre il primo pacchetto di misure proposto dalla Commissione europea per semplificare gli adempimenti burocratici della Pac. Che non è ritenuto sufficiente dalle associazioni di categoria in quel giorno saranno a Bruxelles”. Chi sono gli astanti attivi? Confagricoltura e Coldiretti, che non mollano le piazze.
David Granieri, presidente laziale di Coldiretti, fa il suo lavoro. E ad esempio nel periodo caldo aveva messo in spunta cose importanti. “Il pagamento immediato delle domande di benessere animale per poter dare liquidità agli allevamenti laziali e garantire la loro sopravvivenza”.
Una lettera ufficiale inviata all’assessore regionale al Bilancio, Programmazione economica, Agricoltura e sovranità alimentare, Caccia e Pesca, Parchi e Foreste, Giancarlo Righini, ne era stata la prova. Ed in questo strano contraddittorio la Pisana segue le rotte Ue continua a fare bandi. Come quello per gli “agricoltori custodi della biodiversità”. E’ quello relativo “al PSP 2023/2027 ed in particolare all’intervento SRA15 “Agricoltori custodi dell’agrobiodiversità”.
Il bando “protezionista” di Lazio Europa
Ed obiettivo dell’intervento era e resta “contribuire ad arrestare e invertire la perdita di biodiversità, migliorare i servizi ecosistemici e preservare gli habitat e i paesaggi”. Come? “Prevedendo un sostegno a superficie e/o a pianta isolata a favore dei beneficiari. Che si impegnano volontariamente nella conservazione delle risorse genetiche di interesse locale soggette a rischio estinzione/erosione genetica”.
Come funzionerà? I partecipanti dovranno “coltivare almeno una delle varietà locali autoctone e minacciate di erosione genetica iscritte al ‘Registro Volontario Regionale’ istituito con la L.R. n. 15/2000. (…) L’impegno è quello di mantenere, per l’intero periodo d’impegno la superficie investita a colture annuali, perenni o, nel caso di piante isolate, il numero di piante ammesse in domanda di sostegno“.
Qual è il senso di visione ampia? Il senso è che c’è un tipo di rapporto con Bruxelles che funziona e che le Regioni mettono a terra. Poi c’è un tipo di rapporto della “base” con i sistemi complessi che funziona meno, e lì il sistema Italia gioca a conciliare.
Tutte le questioni sul tavolo
Sul tavolo del ministro di Agricoltura e Sovranità alimentare intanto restano le questioni irrisolte portate in punta di vomere alle manifestazioni del primo bimestre 2024. Anzi, sono confluite direttamente nel documento in discussione. “Aumento dei sussidi diretti, attualmente pari a 120 euro per ettaro in media, non ritenuti più sufficienti a compensare i costi”. Poi “le condizionalità e la burocrazia previste dalla Pac”. Ed “un temporary framework, simile a quello adottato durante il Covid, per consentire aiuti di stato al settore in crisi aumentando il regime de minimis a 50 mila euro”.
Non mancano strategie da reset: “Una moratoria europea sul debito degli agricoltori; l’eliminazione permanente dell’obbligo di mettere a riposo il 4 per cento dei terreni”. Poi la “revisione degli eco-schemi prevedendo più sussidi; maggiori sussidi per gli interventi settoriali, ad esempio sull’olio d’oliva”. Il nodo difficile da sciogliere sarà comunque quello per “impedire qualsiasi accordo di libero scambio con paesi non-Ue senza clausole di reciprocità (blocco dell’accordo col Mercosur)”.
“Slava Ukraini, ma col grano state buoni”
C’è poi un aspetto cruciale dell’intera faccenda. E’ quello in cui si fondono e contrastano la principale rotta geopolitica dell’Ue e le rotte di sistema per non mettere pastoie all’agricoltura. Quale? Quello legato alle importazioni agricole dall’Ucraina, “che stanno saturando il mercato e alimentando le proteste degli agricoltori europei”.
Insomma, i più amici di tutti nel mainstream potrebbero essere i sicari di un settore che si occupa di torti e ragioni morali fino ad un certo punto. Si starebbe pensando in questo senso ad uno “stoccaggio pubblico europeo che compri le produzioni ucraine per darle ai paesi in via di sviluppo”.
Va da sé che la riforma della Pac, prevista dal 2028, passa da quello che succederà nella composizione del Parlamento Europeo dopo il giugno del 2024. E qui torna a fare irruzione la politica che sfratta i tecnicismi di settore.
La democrazia: bellissima ma complicata
Lo fa nella misura in cui vige un paradosso. Quello per cui il governo italiano di oggi che si fa carico di molte delle istanze di settore chiede un sostegno per poterle cambiare da dentro. Ma al tempo stesso non può andare completamente al “muro contro” muro con il “dentro” attuale. Ursula von der Leyen candidata non piace praticamente a nessuno ma il responsabile polacco del settore è di Ecr, l’area che presiede Giorgia Meloni.
Un “inside” che dunque al governo di Roma serve esattamente per addentrarsi ancor di più. Il solito serpente che si morde la coda quando ad equalizzare i bisogni di due istanze c’è la democrazia.
Cioè una cosa bellissima che però per sua natura deve tener conto di entrambi i poli di istanza. E che a volte, tra consenso e rigore, deve giocarsela in ambiguità.