Come ti tratto quelli coi trattori: burro, alici e barricate, perché non si sa mai

Una battaglia politicamente poco in purezza che non è immune da contraddizioni. Specie quelle di chi ci mette cappello

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Ci sono afflati che passano per il cuore e constatazioni che passano per la mente. E dato che il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce l’effetto è quasi sempre quello là, sghembo. Quello per cui, in politica, si sale in arcione a cose più per la loro utilità che per la loro giustezza. Sia chiaro, questo non toglie nulla alle sacrosante rivendicazioni del mondo dell’agricoltura di questi giorni. I vari serpentoni di trattori che si snodano per l’Italia non sono vuote sfilate fanfarone: sono il sintomo di un malessere vero e di un’economia di settore che paga pegno amarissimo.

Nel corso di questa settimana lo stesso Cassinate è stato marezzato dalle “spire” di quel serpente rabbioso. Una lunga teoria di mezzi agricoli, pare oltre cento, ha marciato alla volta di Cassino. E, inutile precisarlo, ha raccolto una messe di consensi social che dà la cifra di due cose.

Di come sia empatica la categoria che manifesta e di come sia facile trasformare quell’empatia in esercizio retorico da parte di chi, pur sposando la causa, della causa sa solo che è anti-Bruxelles, perciò va bene a prescindere, come diceva Totò.

Il serpentone sulle strade del Cassinate

Mario Abbruzzese

Nelle ore in cui hanno attraversato la Città Martire i mezzi agricoli hanno percorso anche la Valle dei Santi, da Sant’Apollinare fino a San Giorgio a Liri con step finale a Villa Santa Lucia. Lo stesso Mario Abbruzzese, come tutta la Lega del resto, non ha dubbi: “I contenuti delle proteste degli agricoltori sono condivisibili, l’Europa è un’Europa matrigna, combattuta tra chi non ha l’agricoltura e chi ce l’ha, noi siamo tra chi l’agricoltura ce l’ha”.

Bene, ma che accade anche al netto del solo caro carburanti? Che il “Green Deal” targato Ue, i terreni da mettere a riposo in punto di biodiversità, i prezzi ridicoli delle materie prodotte e i tagli alla Pac hanno messo la categoria in ginocchio. Cos’è la Pac?

E’ la Politica Agricola Comunitaria, che per il quinquennio 2023/2027 ha stanziato 36 miliardi e mezzo di euro. E’ roba nuova? No, solo che è roba che per la prima volta nella Germania in crisi ha fatto massa e poi è tracimata altrove.

Quasi 36 miliardi sembrano tanti ma sono pochi, a distribuirli, e comunque in diminuzione progressiva rispetto a precedenti importi. Bene, questo è il quadro obiettivo. Poi c’è però un altro quadro, perché nei sistemi complessi non vale solo quel che accade ma come quel che accade va a fare massa nel calderone della ricerca del consenso.

Quel che accade e quel che conviene

Foto: Marco Carli © Imagoeconomica

Una ricerca che sembra essere caduta “a cecio” con le ormai imminenti Elezioni Europee. Ragioniamo: c’è una categoria incazzata che di fatto rappresenta un bacino di utenza elettorale immenso. Poi c’è un voto che dà la possibilità di sovvertire il sistema di potere a cui le colpe di quella incazzatura sono maggiormente attribuite. Infine c’è un partito di governo che punta a due cose. Allontanare il fuoco da sé e scatenare un volume di fuoco clamoroso addosso all’Europa “Ursula”, che per altri e politicamente legittimi motivi FdI avverserà nel voto di giugno.

Nasce esattamente da qui la nuova mistica collegiale per cui i Fratelli d’Italia oggi sembrano essere diventati i Trattoristi d’Italia. E con un Francesco Lollobrigida che, per dire, ha trovato perfino il modo (modo tutto suo) di ficcare gli agricoltori anche nello spazio e nella mistica della pasta italiana in epica orbitale. Ma in ogni faccenda vale quel mai troppo usato “est modus in rebus”, e qualche volta il fine politico fa scarrocciare dalla realtà, a volte con una ineleganza che lascia il segno.

Da Fratelli a Trattoristi d’Italia

(Foto: Christophe Archambault © Afp / Ansa)

L’esempio cardine purtroppo c’è stato e quel “purtroppo” ci sta tutto, perché è un esempio con il quale ci è scappato il morto. Spieghiamola. Il 6 novembre 2022 in Germania avvenne un fatto terribile e sconcertante e i titoli dei giornali vicini al destra centro ebbero questo tono: “Ambientalisti fermano l’ambulanza e muore una donna: uno choc”. Il fatto è tragicamente noto: gli eco talebani si misero lungo la carreggiata, il mezzo di soccorso tardò nella sua corsa per la vita e la signora morì. Fecero bene, a parlare di choc, i media, perché non c’è protesta o ragione empirica che tenga di fronte ad un’emergenza sulla vita umana a repentaglio.

Pochi giorni fa, il 29 gennaio 2024, un uomo è morto di infarto a Catanzaro in un’auto bloccata dalla protesta degli agricoltori. Non c’è stata una sola menzione da parte della politica in endorsement con gli agricoltori di quella altrettanto sconcertante vicenda. Il sospetto che è molto più di un sospetto è forte: ed è quello per cui magari un agricoltore-elettore italiano incazzato contro la Bruxelles di fine mandato è uno a cui non conviene fare pistolotti. Semmai conviene fare liscioni ancor più di quanto già non ne meriti per la polpa della sua lotta.

Ci scappa il morto ma se n’è parlato poco

Matteo Renzi

Luciano Capone su Il Foglio ha esposto una tesi molto simile: “Il governo per mesi, a ogni blitz di Ultima generazione, ha lanciato l’allarme sui rischi di certe manifestazioni illegali. Ma ora che la tragedia si è consumata resta in silenzio. Perché la protesta non è degli ambientalisti ma degli agricoltori. Anzi, il ministro Lollobrigida si schiera dalla loro parte”. Da un lato quindi c’è la quiescenza di comodo, dall’altro c’è il terreno di coltura politica, insomma roba comunque agricola in senso stretto.

Quale? Quello per cui in Italia la protesta degli agricoltori ha assunto subito un tono sovranazionale, manlevando Palazzo Chigi da imbarazzanti contrapposizioni e spingendolo a sposare la causa neanche fosse il tinello di Luca Sardella. Matteo Renzi insiste sui social sul fatto che le tasse agli agricoltori le ha aumentate anche il governo di Roma ed ironizza sulla “Lollotax”, ma il contenitore è talmente zeppo di ingredienti che la cosa è stata molto diluita.

“La protesta, esplosa in Germania a seguito di alcuni tagli del governo ai sussidi agricoli, da privilegi fiscali allo sgravio sul gasolio, è divampata nel resto d’Europa”. Lo start dunque è stato tedesco. Poi “a partire dalla Francia, per arrivare anche in Italia. Qui si protesta non contro misure specifiche del governo, ma genericamente contro le politiche agricole dell’Unione europea”.

Da Catania Giorgia Meloni è corsa ai ripari dialettici in un baleno. Ed ha annunciato che “le risorse del Pnrr dedicate al mondo degli agricoltori passano a 8 miliardi di euro. Ha capito l’andazzo e che la faccenda del “solo addosso all’Ue” non reggerà ancora per molto. Così prende soldi europei e se ne intesta l’utilizzo, in politica ci sta.

I blocchi stradali e i due pesi di Piantedosi

Matteo Piantedosi

Insomma, il nostro è un paese che, artatamente, è riuscito ad indirizzare prevalentemente la sua rabbia contro il macrosistema oltre confine senza sfiorare troppo il sistema complesso di riferimento diretto. Troppo ghiotta come occasione. Perciò per magica alchimia i blocchi stradali sui quali Matteo Piantedosi si era fatto venire l’ulcera quando a farli erano i “green” sono diventati presidi di diritti sacrosanti.

Le reazioni concrete sono state soft, i cortei sfilano dovunque, bloccano il traffico ed appiccano fuochi a Bruxelles, ma stavolta la ragione sindacale e l’opportunità elettorale viaggiano appaiate. E Matteo Salvini, che sui blocchi stradali aveva scritto mirabilia poliziotte, su Twitter è diventato il Pozzetto dal famoso film in sei secondi netti. Ed ha fatto un video sulle barricate anti-manifestanti a Bruxelles.

Francesco Lollobrigida, che su ogni torta uscita male dal forno ci deve mettere la sua personalissima ciliegina, ha spostato la tacca di mira. Ed “invece di condannare e prendere le distanze da forme illegittime di protesta che ledono le libertà e i diritti costituzionali degli altri cittadini, se l’è presa con ‘le sinistre e alcuni giornalisti cresciuti a champagne’. Cioè si è affrettato a darsi quel mood terragno, letamante e ‘ggenuino che nelle sue intenzioni lo dovrebbe far diventare l’Agricoltore Padre.

Il sale della terra che fa curriculum

Francesco Lollobrigida (Foto: Saverio De Giglio © Imagoeconomica)

Uno che può permettersi di dire ma che ne sapete voi di cosa sia il sale della terra, anzi, “tera”, per capirci, manco fosse un personaggio di Maurice Denuzière. Il rappresentante istituzionale di una classe politica che sa smontare frese, mettere a sovescio terreni. E che malgrado l’Ue lo abbia bocciato sul tema carne coltivata conosce a menadito le schede madri di un New Holland, di un John Deere o di un Landini. Magari proprio di quelli tra quanti ne scarrocciano oggi in giro – non pochi – che vennero comprati proprio con i fondi europei.

E quell’altro Landini là, quello che ha il cognome di un trattore, stia muto, lui e tutti gli altri, mancini e radical chic da loft figo. Perché quando fai la storia ed assieme ci fai anche la campagna elettorale non c’è posto per chi beve sciampagna. Non c’è posto per chi mangia tartine invece che addentare cipolle a bordo zolla. E non c’è posto per null’altro che il solito strattone alla giacca di una categoria utile oggi, ma magari dimenticata domani.