Il film “Hammamet ” riapre il dibattito sul leader socialista In provincia di Frosinone parlano i protagonisti di un’intera stagione
Amato, osannato e temuto quando era sull’altare della politica italiana: con il suo carisma e la sua leadership innata, quando gestiva il potere come nessun altro prima. E sotto certi aspetti nemmeno dopo. Odiato, detestato e deriso quando è finito nella polvere: con i “nani e le ballerine” che sono scesi dal carro del vincitore, con la decadenza anche fisica e perfino con la rabbia e l’orgoglio di chi non si rassegna perché semplicemente non fa parte della sua indole. Questo è stato Bettino Craxi, per il quale i celebri versi manzoniani del “servo encomio” e del “codardo oltraggio” sintetizzano una vita impossibile da dividere tra l’aspetto pubblico e quello privato, tra la politica e tutto il resto.
Oggi ricorre il ventennale della morte, che avvenne il 19 gennaio del 2000. Ci sarà il solito pellegrinaggio sulla tomba ad Hammamet. “Andiamo in terra santa”: si messaggiano ancora così i “reduci” socialisti. La figura del leader del Psi Bettino Craxi è tornata di attualità grazie al film di Gianni Amelio, Hammamet. Con un’interpretazione gigantesca di Pierfrancesco Favino. Non è un film sulla politica e neppure su Bettino Craxi, che mai viene chiamato per nome. Per tutti è “il presidente”. Anzi, “monsieur, le president”.
Non c’è la pretesa di dare un giudizio politico sul leader socialista o sugli anni di Tangentopoli. Non si cerca di fornire una risposta su chi aveva ragione tra chi lo definiva un esule e chi pensava che fosse un latitante. È un film sul declino e sulla disperazione dell’uomo, in una stagione nella quale il potere politico era finito.
In provincia di Frosinone Bettino Craxi non è venuto tantissime volte. Ma qui c’è stata una generazione socialista che ha scritto pagine importanti della storia politica locale. C’erano Giuseppe Paliotta, Alfredo Pallone, Paride Quadrozzi, Massimo Struffi, Mario Coratti, Ettore Ferrara, Marco Ferrara, Michele Leva, Pietro Ranaldi, Cesare Novelli e Tarcisio Tarquini. C’era un allora giovanissimo Mauro Vicano. E un altrettanto giovanissimo Domenico Fagiolo. E tantissimi altri.
Il ricordo di Peppino Paliotta
La Ciociaria era un feudo democristiano, andreottiano per l’esattezza. Ma il vento politico socialista soffiò fortissimo anche da queste parti. Bettino Craxi faceva scuola, perfino con la sua mimica, le sue pause infinite, il suo incunearsi tra la Dc e il Pci. Giuseppe Paliotta era indubbiamente il leader socialista in Ciociaria.
Ricorda: «Craxi ha tolto al Psi la sudditanza nei confronti del Pci. Nel Partito lui ha sconfitto la componente filocomunista di De Martino e Mancini. Ha ribaltato la partita. E noi lo abbiamo seguito immediatamente in provincia di Frosinone. Anzi, proprio alla Provincia. Rompemmo l’alleanza con il Pci e iniziò anche in Ciociaria la stagione del pentapartito, dell’intesa con la Democrazia Cristiana. Attraverso le “staffette”. E riuscimmo ad eleggere Massimo Struffi presidente della Provincia. Fu la svolta, perché poi anche nei Comuni andò avanti la collaborazione con la Dc».
«Una collaborazione sempre critica però. Dalla metà degli anni ’80 in poi il Psi divenne il secondo partito in provincia di Frosinone. Ma eravamo radicati nella società, ci facevamo rispettare, prendevamo voti. Sulla base di quei risultati locali il sottoscritto divenne assessore regionale all’Agricoltura e poi ai Trasporti. E perfino vicepresidente della giunta regionale guidata da Giorgio Pasetto. Eravamo tra il 1985 e il 1990».
«È vero: Craxi non è venuto poi tante volte da queste parti. Ricordo però dei suoi interventi all’Henry Hotel a Frosinone e anche al Nestor, sempre nel capoluogo. Gli bastava un attimo per capire tutto. E il direttivo provinciale del Psi era un tempio».
Pallone: anni formidabili
Alfredo Pallone esordisce così: «Parafrasando un celebre libro, potremmo sintetizzare così: “Formidabili quegli anni”. ho conosciuto Craxi giovanissimo, quando non era ancora capo del Partito. Sempre in giacca e cravatta o con un giubbino molto chiaro. Ne rimasi impressionato: era imponente fisicamente, trasmetteva leadership. Incuteva timore, anche a noi».
«Una volta, in direzione nazionale, disse rivolto a tutti noi: “state studiando?”. Aveva capito in anticipo l’evoluzione della società. Quella del Psi era una scuola politica all’avanguardia, sono orgoglioso di aver fatto parte di quella stagione. Ricordo come fosse ieri la svolta del Midas: fine della subalternità al Pci. Lui disse: siamo acomunisti, non anticomunisti».
«Anche in Ciociaria la musica cambiò: scoprimmo l’importanza di termini come meritocrazia, affidabilità, concretezza, squadra. Il vento mutò: dettavamo legge alla Provincia, nei Comuni, negli enti intermedi, la Democrazia Cristiana locale non riusciva a prenderci le misure».
Tangentopoli? Andò in esilio. «Latitante? Non scherziamo, tutti sapevano dove stava, ad Hammamet c’era un pellegrinaggio. Lui intuì subito che si sarebbe scatenata la “caccia al cinghiale”».
L’ultimo intervento in Parlamento? «Ero nelle tribune di Montecitorio quando, con il dito puntato, disse: “Se qualcuno non è d’accordo con me, si alzi ora”. Rimasero tutti seduti. Perché tutti i Partiti conoscevano bene il sistema di Tangentopoli. Bettino Craxi è stato un “gigante”».
La sua rivalità con Paliotta? «Ma noi eravamo amici, lo siamo ancora. Avevamo una classe dirigente di primo livello. Ne cito solo alcuni: Paride Quadrozzi, Mario Coratti, Massimo Struffi, Ettore Ferrara, Cesare Novelli, Marco Ferrara e tantissimi altri».
Struffi: statista inarrivabile
Massimo Struffi, presidente della Provincia ma anche senatore, non ha dubbi: «Craxi era uno statista, inarrivabile e imparagonabile. In provincia di Frosinone tanti di noi hanno raggiunto traguardi impensabili grazie alle sue intuizioni».
Tarcisio Tarquini, in quegli anni membro dell’esecutivo provinciale e regionale del Psi, spiega: «Ricordo un comizio di Craxi a Frosinone nel 1979, in piazza VI dicembre. Segretario provinciale era Alberto Casale. Era in corso una polemica forte tra Craxi e Andreotti, al quale il nostro segretario aveva mandato a dire qualcosa come: “Vallo a raccontare a un pastore della Ciociaria”. Con evidente riferimento al bacino elettorale andreottiano».
«Ci furono polemiche, ma Craxi non voleva essere irriguardoso. In Ciociaria, nel Psi, ci sono state situazioni particolari. Il senatore Giacinto Minnocci faceva parte dell’area di De Martino, quella che si era opposta alla svolta del Midas. Nel 1983 la federazione non riuscì a far eleggere, nel collegio considerato sicuro di Sora-Cassino, Giuliano Vassalli. Un po’ troppo per uno come Bettino Craxi».
La nostalgia canaglia di Vicano
«A me piaceva proprio stare nel Psi di Bettino Craxi. Toccavo il cielo con un dito quando mi chiamavano craxiano». Mauro Vicano presenta la “mozione degli affetti”.
Era giovanissimo allora, quando incontrò per la prima volta Bettino Craxi. Spiega: «Era il 1979, ad un comizio a Frosinone. Lui disse, rivolgendosi alla dirigenza locale: per i socialisti il motto adesso è “primum vivere, deinde philosophari”. Eravamo sotto il 10%. Per me fu una folgorazione».
«La mia militanza nel Psi fu un’esperienza totalizzante. Quotidiana. Conobbi Aldo Sica, Ettore Ferrara, Marco Ferrara, Angelo Ruggiero e tutti gli altri. Oltre naturalmente al legame con Alfredo Pallone e Giuseppe Paliotta. Alle mie nozze (celebrate al Comune da Ettore Ferrara, con Alfredo Pallone testimone) c’era – no tutti perché erano nate amicizie vere».
«Craxi trasudava leadership. Le riunioni del direttivo provinciale e cittadino c’erano tutte le settimane, quelle delle correnti anche una volta al giorno. Bettino Craxi era inavvicinabile, una figura quasi mitologica anche per chi aveva cariche importanti nel Partito. Figuriamoci per uno come me. Eppure una volta, a Latina, lo accompagnai a piedi ad un appuntamento. Come componente del comitato regionale facevo parte del servizio d’ordine. Con me c’erano Vittorio Antonucci e mia moglie. Emozioni irripetibili».
«Un’altra volta a Bari: lui alloggiava su una nave da crociera per motivi di sicurezza. Io la sera andai a bordo della nave e passai qualche minuto con lui. L’ultimo ricordo è quello più amaro: cinema Belsito a Roma, 1993. Bettino Craxi lasciò la guida del Psi, gli successe Giorgio Benvenuto. Un clima drammatico, triste, epocale a suo modo. Ricordo quando Bettino Craxi si alzò per andare via: per la prima volta lo vidi da solo, intorno a lui non c’era nessuno.Quando prima era impossibile avvicinarsi a lui. La parabola del potere si compie attraverso queste immagini».
«Craxi mise in discussione due primati: quello della Dc per il governo e del Pci per l’opposizione. Spezzò il vincolo della subalternità. Una volta eravamo al cinema Adriano a Roma, Craxi affrontò il tema dell’unità della sinistra. Disse: il Psi intraprenderà questo percorso, se il Pci vuole aderire… Insomma, noi eravamo al 12%, loro al 34%. E lui chiedeva ai comunisti di aderire».
«In quegli stessi anni conobbi Francesco De Angelis, allora segretario della Fgci, l’amicizia con lui nacque allora».
Aggiunge Vicano: «Dovevo diventare segretario provinciale del Psi. Giuseppe Paliotta e Dino Marianetti mi avevano convocato a Terracina per definire tutti i dettagli. Il candidato alla segreteria ero io. Poi però quel congresso non si fece mai perchè il Psi si sciolse, fu travolto dalla stagione di Tangentopoli. Ma ripeto: adoravo far parte del Psi craxiano».
«A Veroli, quando ero consigliere, gli esponenti avversari, quando volevano attaccarmi, mi davano del craxiano. Per loro era un insulto, per me un vanto. Bettino Craxi era un capo: la leadership, se non ce l’hai, non te la puoi dare. Mai visto nulla di simile».
Lo strappo di Marco Ferrara
Correva l’anno 1990. Al Comune di Frosinone Dc, Psi e Psdi eleggono sindaco Lucio Valle. Lo fanno con una sorta di ribaltone che si consuma con quella che viene definita una mozione di sfiducia costruttiva.
Sullo sfondo c’è una ribellione a quelle che erano state le decisioni romane. Tra i protagonisti c’è Marco Ferrara, capogruppo socialista nel capoluogo, che viene indicato come vicesindaco. Nel Partito Socialista esplode la bagarre, Giuseppe Paliotta si rivolge direttamente a Bettino Craxi. Inizia un braccio di ferro durissimo: da una parte Paliotta, dall’altra Ferrara.
Intervengono i più alti livelli socialisti, ma la situazione si risolve soltanto con l’intervento diretto di Bettino Craxi nel febbraio 1991. Il leader socialista convince Marco Ferrara alle dimissioni, con la promessa (mantenuta) della conferma.
La leggenda narra che Craxi disse a Ferrara: «Se facessero tutti come te, io allora cosa ci starei a fare?». Racconta oggi Marco Ferrara: «Bettino Craxi era un uomo di Stato, con una visione politica in anticipo di venti anni. Pochi ricordano il suo impegno a favore delle popolazioni oppresse: in Cile e in Cecoslovacchia per esempio. E poi, chi mai con il 15% è riuscito ad esprimere sia il premier che il presidente della Repubblica (Sandro Pertini)? Un capolavoro. Sul piano personale non lo conoscevo, ma la sensazione che trasmetteva era quella di una persona timida».
Domenico Fagiolo è oggi consigliere comunale della Lega a Frosinone. Dice: «Sono stato orgogliosamente craxiano». In tanti a Cassino ricordano un comizio di Craxi nel 1988, prima delle elezioni comunali. Quando disse: «Sono venuto a dare man forte ai compagni socialisti in una città dove la Dc ha la maggioranza assoluta».
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