Un libro che lascia ampio spazio agli aneddoti ma che al di là delle storie è tutto un programma: in tutti i sensi e per tutti i moderati
Gianfranco Rotondi un po’ ci spera: una crasi tra tutti i centri eccentrici ed in un 6% a Bruxelles. Ma per ora è ipotesi di scuola e di cuore, cuore balenottero e redivivo. E resta un overbooking di centristi centrali e centrati che però un loro centro non ce l’hanno.
Quello che potrebbe fare il miracolo ma che con uno simile ha già lessato un papabile co-centrista è di Rignano. Che, come ha celiato Fiorello, ha scritto un libro “che potrebbe aver a che fare con l’urologia”. A Frosinone l’uomo di Rignano ci era arrivato quattro giorni prima del voto che avrebbe consegnato il Paese alla destra di Giorgia Meloni. E già lì, al Cinema Fornaci, Matteo Renzi aveva declinato il suo mantra: l’Italia sul serio ed una serietà che non poteva passare per i sovranismi. Né per un Pd che era un po’ il “farmaco generico” dei Cinquestelle.
Poi le cose erano andate come sappiamo ma Renzi aveva continuato a battere dove in Italia oggi il dente duole. Cioè sull’idea di un centro quadrato, esperto e concreto. Capace di surrogare urla, strepiti e slogan di una politica polarizzata. Per lui la Meloni “ce sta a cojonà” (parole sue) ed è bravissima a mettere fuffa in giro scappando da polpe che non addenta.
Dall’arrivo a Frosinone a quello in libreria
Il tempo gli ha dato ragione e torto insieme. Nel senso che la politica degli slogan ha resistito ed incrementato truppe. E che il bisogno di centro c’è ancora.
Insomma, gli ingredienti per scriverci un libro c’erano tutti. Anche a contare che alla fine certi libri quello sono: una via di mezzo perfetta tra ciò che accade e ciò che si vorrebbe accadesse. Ecco, Matteo Renzi vorrebbe di nuovo la “Palla al Centro” ed in un colpo solo si è giocato le briscole di pallonaro, moderato e comunicatore. Subliminale senza darlo a vedere e nemico dei messaggi occulti, il leader di Italia Viva ha dato alle stampe e consegnato ai posteri ormai da giorni la sua fatica letteraria. Si intitola sornionamente “Palla al centro. La politica al tempo delle influencer”.
Anche per lui, in un certo senso il mondo, questo mondo al di qua delle Alpi, sta andando al contrario, ma Renzi non fa come Vannacci. Non lo fa semplicemente perché lui non è Vannacci, non foss’altro perché scrive e pensa molto meglio della greca col calamo. Ma alla fine il sunto è quello: oggi per cazziare gli influencer della politica devi comunque influenzare l’opinione pubblica. Quindi un po’ influencer in senso lato lo devi essere anche te.
Come ci siamo ridotti: ad influencer
E Renzi da questo punto di vista di Chiare Ferragni, Pandori sconci, Lollobrigidi, “Bestie e bestialità” salviniane se ne mangia millemila a colazione. L’ossimoro vincente sta tutto qua: il libro dell’ex Presidente del Consiglio non è solo una miniera di aneddoti gustosi visti da chi può permettersi di sciorinare cose di potenti perché dei potenti è parte. No, il racconto di Renzi ha uno scopo: mettere alla berlina un modo trasversale di fare comunicazione che praticamente gli spazza davanti ai piedi quasi tutti i Partiti starring. E farci massa, messe e messaggio. Perché il destracentro urla e perché neanche quelli dell’asse mancato Pd-M5s ci vanno leggeri.
Ergo, la necessità di Centro è storica e, per induzione in una sorta di imbuto senziente, porta a lui. A come la vede lui ed a come la dovrebbero vedere più italiani di quanti oggi non consegnino ad Italia Viva percentuali da Pro Loco. Tocca svelenirli, gli italiani, e il libro è la prima cura: per quelli che votano con la pancia e per quelli che a votare non ci vanno più. I racconti sono tutti settati su un filo comune: il potere oggi o è pavido, o non ha capito una mazza o è torbido.
Casalino a Mykonos, tanto per dire
Da Rocco Casalino che a Mykonos telefona a Renzi e tutto tremebondo gli fa sapere che condividono la stessa spiaggia. E fino a Giorgia Meloni che snobba Biden per una pizza con la figlia, è tutto un fiorire di errori. E di castronerie da pivelli che dovrebbero far riflettere il lettore su un claim che qui da noi non è mai morto. E’ quello mercatal-mattiniero de “signora mia dove siamo arrivati” che Renzi vuole rendere cardinale al punto da tramutarlo in scuola di pensiero. Quello che conta è il servaggio buono ad una concretezza che faccia strike di ogni slogan.
Lo sa bene la consigliera regionale renziana del Lazio Marietta Tidei, che qualche giorno fa era intervenuta sui social sulla vicenda del giovane della Guinea morto suicida al Cpr di Ponte Galeria. “È ignobile che centri del genere rimangano aperti e che il Governo pensi addirittura di aprirne altri invece di chiudere immediatamente quelli esistenti”.
“Pochi mesi fa ho visitato il Cpr di Ponte Galeria e sono certa che sia difficile trovare nel nostro Paese un luogo tanto degradante. Veri e propri monumenti alla disumanità in cui degli esseri umani, la cui unica colpa è essere immigrati irregolari, vengono lasciati senza fare nulla per mesi in condizioni igieniche precarie e con assistenza sanitaria assolutamente insufficiente, senza alcun contatto con il mondo esterno”.
Tidei, la concreta che boccia i Cpr
Il sunto è quello, che sia sul libro della “superstar” o sugli account dei quadri della Pisana: sloggiare la mistica e l’architettura degli spot da un paese che solo di spot ormai si nutre.
Ma è aria, e in realtà il paese è a digiuno: di soluzioni e di vie per trovarle. La via è dunque il Centro e non passa per impauriti ex capi comunicazione di Giuseppe Conte. Che al telefono implorano: “Non guardare alla tua destra. Non ti girare se no se ne accorgono. Sono nella tua stessa spiaggia. Facciamo finta di non esserci visti. Nessuno saprà nulla”. Il tomo renziano, pubblicato da Piemme, pare vada già a ruba e sta a metà strada esatta tra programma elettorale e silloge etica, dove ovviamente il primo prevale sulla seconda che però al primo dà polpa e patente.
Tutti massimalisti “tranne noi, anzi me”
Per Renzi “rimettere la palla al centro significa tante cose e in politica significa anche trovare una terza via tra i populisti del sovranismo come Meloni e Salvini e i populisti della sinistra grillizzata come Schlein e Conte“.
Bando al pop trucido dunque, e sappiano tutti siore e sior che “il centro è il luogo del futuro, non del passato. E’ il luogo del riformismo, non del populismo. E’ lo spazio abitato dai politici e non dagli influencer”. L’Europa che vede Renzi è quella del presidente di Commissione eletto direttamente, con “una squadra di governo della Commissione che non sia fatta col bilancino” dove si superi pure “il diritto di veto consentito a singoli Paesi”.
Cioè la facoltà sadica di un singolo socio di mandare in vacca la linea prevalente dell’intero club, mercanzia questa per lo più orbaniana. Ma la parte più bella è quella che contrafforta il target di Renzi. Cioè quel narrato da una posizione privilegiata da cui emergono tutte le ubbie di una classe politica altra dall’uomo di Rignano. Classe che crede di vincere coi post e che con il post giusto non si perda mai, anche quando si è perso già.
Meloni risentita, Salvini “ostrica”
La narrazione è infida perché bella, di quella bellezza da retroscena che a noi italiani ci ha sempre fatto ingrifare come mandrilli. Dalle “uscite (a caccia di like) dell’attuale inquilino di Palazzo Chigi, quella Meloni, citata 90 volte ma anche quelle di Giuseppe Conte”. L’avvocato del popolo occupa ben 93 menzioni di quelle 160 pagine. E non mancano i siparietti lardellati di curaro. “Giorgia Meloni mi messaggia risentita. Mi spiega come funziona il ricevimento all’Onu, dimenticando che talvolta ci sono stato anche io. E quando le dico perché secondo me era doveroso partecipare al ricevimento, anche se noioso, mi scrive che io non frequentavo il presidente degli Stati Uniti abitualmente come lei. E dunque andavo al ricevimento perché pensavo ‘fosse utile andare per avere una foto con lui’”.
“In quel preciso momento capisco, e glielo scrivo testuale, che ‘ci siamo giocati anche la Meloni’. Perché pensare che la mia critica, molto soft, sulla mancata presenza al ricevimento di Biden nascesse dal fatto che io ‘non frequentassi il presidente degli Stati Uniti abitualmente’ dimostra una scarsa aderenza alla realtà“. E Salvini? Lì è stato facile come rubare ciliegie da un albero nano e con un padrone operato di cataratta. “Non abbiamo nemmeno bisogno di aprire un file riguardo a Matteo Salvini, l’uomo che ha consegnato alla cronaca social alcune delle perle più straordinarie”.
Quando il Cav si strusciò addosso a “Fonzie”
E giù di silloge-cabaret: “Come dimenticare le sue acute osservazioni politiche sintetizzate dal post con foto: ‘Stasera sto leggero: pizza salame piccante e cipolle’, inserito in rete tra la richiesta dei pieni poteri avanzata nella sede istituzionale della discoteca Papeete di Milano Marittima? E, non prima di aver affidato ‘al cuore immacolato di Maria il destino di un Paese e di un continente?”.
Non poteva mancare colui che di Renzi si era sempre sentito un po’ il padre politico e che per mesi se lo era guardato come un Piersilvio ghibellino e meno figo. Durante la sfida per le comunali a Firenze, nel 2008, Il Cav ordinò a Denis Verdini di chiedere a Renzi di passare con loro. “Non passo il Rubicone, non vado dall’altra parte”. E Berlusconi: “Le porte di Forza Italia per Renzi sono sempre aperte”. La battuta ad effetto del Renzi-writer dà giusto merito alla verve sintattica dell’ex premier: “Chiudile presidente, non vorrei che entrasse troppo freddo”.
Ma non fa giustizia di quel centrismo utile ed utilitaristico che, come al solito, da Arcore qualcuno aveva fiutato prima di tutti. E prima di un libro che alla fine non dice nulla di nuovo. Ma lo dice bene, e giusto in tempo per essere utile a giugno. Forse, perché da noi quelli del populismo sono anticorpi sani, ma tardi.