Il leader di Azione e il caso Stellantis con gli annunci di dismissione immobiliare di questi giorni: ma i guai partono da molto lontano
No, non è quella guerra là, ed a pensarci non è nemmeno una guerra in senso stretto. Piuttosto è un continuo stillicidio ostile. Una sorta di “marcia frenata” che sta portando da un sacco di tempo l’Italia verso deindustrializzazione, fiacchezza economica, poi agonia di fiducia elettorale e rating sociale. Uno scenario, a fare iperbole e tara doverosa alle mattanze, alla lunga perfino “più cupo” di quella guerra là, che dopo l’assedio-massacro di Magdeburg si concluse con la pace di Westfalia. E che disegnò l’Europa più o meno così com’è oggi, cioè fratta in due grandi blocchi: quello a nord protestante, corporativo e produttivo e quello a sud, cattolico, “Calimero” e comiziante.
E con più guai. Un sud perfettamente incarnato da noi al di qua delle Alpi dall’underdog Giorgia Meloni, che ha sempre nemici suoi e dell’Italia da additare.
Da Magdeburg a Frosinone e Cassino
La “guerra” a cui allude Carlo Calenda è un lungo, ininterrotto insieme di piccinerie ed omissioni che hanno prodotto problemi giganti e che timonieri plurimi hanno perpetuato. Ed oggi che l’Italia è inserita in uno scacchiere Ue molto più complesso della media di timing i nodi vengono al pettine. Piacciano o meno Calenda e quel che Calenda pensa, resta il fatto che quel che Calenda dice oggi è difficilmente confutabile.
Lo è anche e soprattutto a contare la situazione cruciale (nel senso che stiamo messi in croce) della Ciociaria e del Pontino, dove l’esclusione dalla Zes ha rappresentato il suggello nero ad una stagione cupa come non mai.
Si ragiona a vanvera, ma chi conosce cosa sia la vanvera sa solo che è ariaccia a cui si impedisce di ammorbare i nasi, ma sempre ariaccia resta. Con gli spifferi dialettici ci fai i giornali, non il Paese. (Leggi qui: Frosinone e Latina sono fuori dalla Zes).
La ali più grandi del Cigno Nero: addio Zes
Una stagione questa in cui tutto serviva, meno che qualcuno o qualcosa dessero remiganti ancor più gagliarde al Cigno Nero a a cui proveranno a mettere rimedio per step gli Stati Generali convocati dal presidente Luca Di Stefano. A quel fenomeno cioè per cui più di un evento del tutto imprevisto ed imprevedibile si abbattono su uno stesso momento economico. per noi è stato il lockdown e la speculazione sui costi dell’energia.
In Provincia di Frosinone la conseguenza è che la produzione sta abdicando da una territorialità che faceva ricchezza. E sta migrando verso luoghi meno impelagati da una burocrazia giolittiana che qui da noi è polla di sabbie mobili. E scaccia gli imprenditori come topi da una nave in procella.
Il leader di Azione era venuto proprio a mettere il dito nella piaga. E da Cassino aveva aggiunto una strofa verista al de profundis dello stabilimento ex Fiat, oggi Stellantis. A quella galassia italiana di orgoglio e lavoro cioè che è diventata buco nero transalpino in cui dismissioni ed annunci immobiliari sono solo il contrappunto finale di una realtà più netta, e peggiore. Se l’effetto è mesto le cause sono terribili.
Il ramo italiano di Stellantis boccheggia. E se vende palazzine e capannoni non è solo perché i robot hanno sostituito l’uomo, ma anche e soprattutto perché i mercati esteri hanno surrogato e doppiato quello italiano nel settore cruciale dell’automotive. In stabilimento già si vocifera del turno unico che potrebbe prendere piede da gennaio 2024, la produzione è affidata al sottile filo del Suv pop e non carocarissimo Grecale ma mala tempora currunt. (Leggi qui Stellantis, la vendita non è più riservata. E leggi anche Non solo la Palazzina, in vendita anche due aree ex Itca. E il Politecnico…).
Grecale salvaci tu, ma non è così scontato
Lo aveva detto in primavera il segretario della Fim-Cisl Ferdinando Uliano alludendo ad una mini ripresa che tutto pareva meno che una riscossa. “La produzione nel primo trimestre del 2023 è di 14.410 unità che rappresenta una crescita rispetto ai trimestri dei quattro anni precedenti”.
Poi la doccia scozzese: “Ma tutto ciò non deve trarre in inganno, le potenzialità dello stabilimento di Cassino sono maggiori rispetto alla propria capacità produttiva. Se osserviamo il 2017 o il 2018, anni in cui oltre a Giulietta c’era la salita produttiva di Stelvio e Giulia, le produzioni erano esattamente il doppio con oltre 1.200 occupati in più”. Insomma, son guai e guai ecumenici, guai trentennali che un lungo e mesto tweet di Calenda hanno messo a silloge con un loop che sembra una campana funebre. Quale? “Negli ultimi trent’anni”.
Cioè da quando populismo e piacionismo sparato sulla base hanno fatto ammalare la politica. “Negli ultimi trent’anni tutti gli indicatori economici, sociali, culturali sono peggiorati rispetto al trend dei grandi paesi europei. E negli ultimi trent’anni il numero di cittadini che votano e partecipano alla vita politica si è ridotto drasticamente. Negli ultimi trent’anni nessuna riforma incisiva è stata varata”. Non è finita: “Negli ultimi trent’anni i salari reali italiani hanno perso il 2% contro un aumento superiore al 30% di Francia e Germania”.
Bipolarismo ti temo, e non è finita
Poi, “negli ultimi trent’anni destra e sinistra si sono estremizzate come in nessun altro paese occidentale”. Eccolo, il nodo vero del problema, quello di una politica polarizzata che ha puntato più sugli slogan adatti a descrivere i problemi ed attribuendone puntualmente l’origine alle controparti, che sulle soluzioni per risolverli.
E ancora: “Negli ultimi trent’anni l’Italia è riuscita a spendere poco più del 50% dei fondi europei e tutte le leadership politiche di governo hanno fallito. Finendo il mandato con una popolarità più bassa rispetto a quando lo hanno iniziato”.
Senza contare che “negli ultimi trent’anni la tassazione complessiva è aumentata e l’Italia è diventata il terzo paese più ignorante dell’UE e il 24mo per spesa sanitaria”. Calenda è più Cassandra che Tiresia, ma dargli torto è praticamente da orbi grossi. Sul “divario tra Nord e Sud”, ad esempio, che sempre “negli ultimi trent’anni è aumentato”. Poi la chiosa amara su una cosa che invece di abbassare i toni e creare humus per risolvere getta più diserbante ancora.
“Dopo gli ultimi trent’anni e questi brillanti risultati del bipolarismo, ci troviamo a discutere una riforma che lo rende più radicale ed estremo. Varrebbe forse la pena fermarsi e riflettere. Non abbiamo altri trent’anni di errori da commettere. Il tempo è esaurito”.
Calenda, gli Elkann e il caso GEDI
Ora, al di là dell’efficacia un po’ gotica e vaticinante delle affermazioni di Calenda, che risentono un po’ del mantra di lui pratico e degli altri impegnati a duellare sulle nuvole, il problema resta. Anzi, ogni giorno che passa si fa più immanente e contrappuntato da notizie-totem.
Notizie come quelle della (s)vendita dello stabilimento Maserati, cioè della casa automobilistica che a Cassino dovrebbe avere con Grecale il suo spot di riscatto. Non sa un po’ di ossimoro o presa per i fondelli? “Da Ministro ero andato a visitare la nuova linea di produzione dello stabilimento Maserati che oggi viene venduto come fosse un bilocale. La cosa incredibile è il disinteresse assoluto che avvolge tutta questa vicenda”.
L’attacco non è del tutto gratuito: “Stiamo perdendo la produzione automobilistica nel silenzio del Governo, delle altre opposizioni e del Sindacato. Perché questo silenzio? Vuoi una traccia? Da quando ho sollevato il problema del conflitto di interessi tra Elkann, sinistra/sindacato, vicenda Stellantis, quotidiani GEDI, non ho più fatto un’intervista con Repubblica o La Stampa. Lo avevo messo in conto, era già accaduto quando mi schierai contro il prestito a FCA, dunque ‘nulla quaestio’”.
“Ma è così funziona. Funziona benissimo”. Il guaio grosso è un altro, ed è quello che anche a togliere il nome e la mente di Calenda da quel che Calenda ha scritto, quel che Calenda ha scritto rimane tutto, anche senza Calenda.
E resta drammatico, perché ci sono problemi che vanno oltre chi li usa per distinguersi da chi li ha creati. Sono i problemi che scendono dal podio della politica e vengono a bussare alle nostre porte. Di noi che possiamo solo subirli, senza risolverli. Perché da trent’anni, o magari da sempre, non ce lo fanno fare.