L’Everest di “MaZinga”: un accordo per Roma Capitale su un nome di grido

Foto © Imagoeconomica, Rocco Pettini

Il segretario nazionale del Pd non ha alternative se vuole provare a battere Matteo Salvini alle elezioni: al Campidoglio e alla Pisana c’è bisogno di un’intesa vera con i pentastellati. Impresa più facile a dirsi che a farsi. E poi bisognerà convincere anche Renzi…

Nicola Zingaretti sa che la salita è impervia, ma sa  pure di non avere alternative. Il solo modo per provare a battere il centrodestra monopolizzato da Matteo Salvini e Giorgia Meloni è quello di un accordo vero e vincente con il Movimento Cinque Stelle. Non un accordo ‘elettorale‘: di comodo, con il quale sommare semplicemente i voti. Ma un accordo organico: costruito su progetti condivisi.

Nicola Zingaretti © Imagoeconomica

Con i fedelissimi al Nazareno, Zingaretti ha analizzato la situazione: lo spazio per le alleanze nel tradizionale alveo del centrosinistra è ridottissimo. Non ci sono più le percentuali di una volta. I Cinque Stelle invece intercettano una larga fetta di voto di opinione e soprattutto portano al voto chi negli ultimi anni è rimasto a casa.

Ma i problemi sono enormi: l’accordo in Umbria è stato calato dall’alto, il test vero sarà quello in Emilia Romagna. Ma è nel Lazio che Zingaretti dovrà necessariamente fare il salto di qualità. Intanto alla Regione, dove l’accordo dovrà reggere al fuoco dei pentastellati contrari alla linea di Roberta Lombardi. (leggi qui La mattina Lombardi apre al Pd, il pomeriggio il M5S la silura in aula)

Ma poi c’è il Comune di Roma, quello della sindaca Virginia Raggi, che per anni ha rappresentato l’avversario maggiore per Zingaretti.

Matteo Salvini, Capitano della Lega, ha iniziato a martellare proprio su questo punto, definendo Raggi e Zingaretti il “duo sciagura”. Perché sa che l’intesa elettorale per le comunali di Roma non sarà una passeggiata per pentastellati e Democrat. Servirebbe una sintesi di altissimo profilo. E forse neppure basterebbe.

Virginia Raggi foto: © Imagoeconomica, Alessia Mastropietro

La questione è già stata esaminata al tavolo che ha costruito il dialogo nazionale tra M5S e Pd, generando il governo Conte2: ha fatto parte dei temi sui quali ci si è confrontati in quei giorni tesi ed intensi. Il Pd ha confermato le sue riserve sull’azione messa in campo da Virginia Raggi, il M5S non è potuto andare oltre una difesa d’ufficio. Una delle ipotesi avanzate era quella di far affiancare la sindaca: serviva a questo al figura del Sottosegretario destinato a Roma capitale. L’ipotesi era quella di affidare la missione ad uno dei nomi di maggior spessore tra i Dem romani: quel Roberto Morassut che può vantare una lunga serie di risultati centrati quando era assessore con Walter Veltroni

A Virginia Raggi si può imputare la mancanza di esperienza amministrativa e l’assenza di spessore politico, non d’essere sciocca. Infatti ha capito che rischiava d’essere sovrastata da una figura gigantesca come quella di Morassut: ed ha detto no grazie. Seguita da Luigi Di Maio: la sindaca è una creatura sua, il fallimento di Raggi sarebbe un fallimento di Di Maio che l’ha difesa anche di fronte ai cassonetti pieni, i topi ed i cinghiali in strada, i bus in fiamme, il caos organizzativo, l’assenza totale di qualsiasi pianificazione.

Roberto Morassut

Però l’alternativa non esiste. La via d’uscita sta solo nel nome di elevatissimo spessore sul quale puntare in maniera condivisa: talmente grande che anche il M5S non possa dire no. Un nome come come fu a suo tempo quello del critico d’Arte Giulio Carlo Argan, primo sindaco non democristiano di Roma, indicato dal Pci anche se non era un suo iscritto.

Un nome capace di sviluppare una prospettiva, capace di riorganizzare, chiamare a se i migliori nomi per il risanamento ed il rilancio di Roma. Con un profilo poitico in grado di risanare in maniera definitiva la frattura interna al mondo Dem Romano, quella tra Goffredo Bettini e Francesco Rutelli dalla cui divisione si aprì la strada su cui passò la destra guidata da Gianni Alemanno per raggiungere il Campidoglio.

Goffredo Bettini con Francesco De Angelis

Nella regione Lazio e al Comune di Roma Nicola Zingaretti deve dimostrare che si può fare. Nonostante le divisioni dei Cinque Stelle, che nella Capitale hanno già dimostrato di essere lacerati. Una eventuale sconfitta in Umbria potrebbe essere “gestita” rimandando la resa dei conti al 26 gennaio, quando si voterà per l’Emilia Romagna. Nel frattempo però il Governo Conte bis dovrà stupire con effetti speciali. E Pd e Cinque Stelle dovranno cercare un accordo politico serio ad ogni livello.

Al successivo step, quello di estendere l’intesa a Italia Viva di Matteo Renzi, dovranno necessariamente pensare subito dopo.