La necessità di radicare la Lega fuori dai suoi territori tradizionali ha costretto ad allargare i confini. Con interi blocchi di altri Partiti che sono saliti sul Carroccio. Come hanno fatto nel Lazio tanti alfaniani
Pare, almeno così raccontano, che gliel’abbia fatta conoscere il suocero Denis Verdini. Fatto sta che Matteo Salvini, dopo aver assaggiato la marmellata (politica), non pare voler smettere di mangiarla.
Dal celodurismo al salvinismo
Agli albori del salvinisimo, per risollevare il Carroccio sprofondato al 3% e fiaccato dall’esaurimento del celodurismo bossiano, il Capitano pensò bene di usare la questione migranti e l’avversione al governo tecnico di Monti e degli esecutivi di larghe intese guidati da Letta e Renzi come viagra per far raddrizzare l’orgoglio padano. Missione riuscita. La Lega, con Salvini a pungolare la sinistra, uscì dalle sabbie mobili e tornò a essere un Partito. E che Partito.
Ma per cementarlo serviva qualcosa in più: perché c’era il Partito ma non l’ideologia. Venne allora il sovranismo, benedetto dalla Le Pen e che in casa nostra fu declinato più o meno così: il centrodestra è una categoria vecchia, voglio una coalizione coerente, basta con le marmellate e con Alfano e gli alfaniani.
È andata avanti per un po’. Poi la Le Pen ha perso appeal, l’Europa ha guardato sempre con maggiore diffidenza alla Lega, il Papeete ha condannato Salvini all’opposizione, Giorgia Meloni ha cominciato a crescere. Ma, all’apice del Carroccio, dopo le Europee del 2019, sempre più esponenti politici in uscita soprattutto da FI guardavano al Carroccio come i pionieri guardavano al West. Una prateria da conquistare. E così, all’inizio Salvini tenne bene le porte chiuse, salvo poi spalancarle. A chi? Agli alfaniani.
Todos caballeros per Salvini
Il nuovo direttivo del Lazio con i coordinatori dei dipartimenti regionali varato dal commissario Claudio Durigon ne è la prova. In questo pletorico organo direttivo del Partito in cui ci sono tutti in modo tale che tutti siano contenti di esserci, c’è praticamente di tutto.
Il rischio è che alla fine non conti un’acca nessuno, più o meno come sta accadendo con la Direzione Politica nazionale che doveva aiutare il Capitano nel definire la rotta politica. Continua a decidere tutto lui. Non è un fallimento: è lo spirito della Lega, un Partito leaderista nel quale conta innanzitutto il capo e gli altri sono un corollario. (Leggi qui Tutti gli uomini di Durigon: chi sono i nuovi capi dei dipartimenti regionali).
Così l’impressione è che un dipartimento regionale non si nega a nessuno: purché stiano tutti buoni soprattutto in vista delle elezioni romane. Ne è stato assegnato uno a ogni eurodeputato eletto nel Lazio, ai consiglieri comunali di Roma, ma ne sono stati però esclusi il sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani, il consigliere regionale Pasquale Ciacciarelli e il capogruppo alla Pisana, il pontino Angelo Orlando Tropodi.
Come se si trattasse di un disperato tentativo di dare un compitino a tutti, per dargli un ruolo. Ed un motivo per stare nel Partito oltre all’aspettativa della candidatura in una delle elezioni in agenda.
L’ora degli alfaniani
E così troviamo: Fabio De Lillo (ex FI, ex assessore Pdl, poi consigliere regionali del Nuovo centrodestra di Alfano), un percorso simile a quello di Gianni Sammarco (responsabile Cultura con una passato da deputato FI, Pdl e, appunto, Ncd), a quello dell’europarlamentare e responsabile Famiglia i Simona Renata Baldassarre (consigliera municipale alfaniana , poi divenuta leghista dopo un breve flirt con FdI – ha sostenuto elettoralmente Andrea De Priamo e Chiara Colosimo).
C’è chi lo chiama trasformismo, chi invece lo definisce la conseguenza dell’allargamento dei confini tradizionali della Lega. Prendete Fabrizio Santori: responsabile regionale Agricoltura. Pur essendo giovanissimo, ha cambiato ogni Partito di centrodestra si potesse cambiare: An. Pdl, FI, La Destra, FdI, Lega. Ci sono poi Maurizio Politici (capogruppo ex FdI), Pietro Sbardella (ex consigliere regionale Udc, poi rieletto alla Pisana nella lista di Mario Monti capeggiata dalla candidata presidente Giulia Bongiorno: montana e finiana convinta prima di diventare ministro e avvocato di Salvini).
Insomma, anche Salvini cambia idea e gusti politico-gastronomici. Se prima la marmellata gli faceva schifo, adesso la divora con gusto. E gli ha dato le chiavi del Partito nel Lazio