Nel Pd in diversi vorrebbero “processare” il segretario dopo l’election day. Le manovre di Bonaccini e Franceschini. Ma Zingaretti non voleva questo Governo e adesso non ha alcuna intenzione di subire attacchi interni. Perciò prepara le contromosse
Non ci sono né il tempo né gli spazi politici per prendere altre decisioni. Lunedì prossimo la Direzione Nazionale del Pd darà indicazioni per votare Sì al referendum sul taglio dei parlamentari. Senza però militarizzare il Partito, perché ci sono anche tante indicazioni diverse. (Leggi qui L’Ulivo voterebbe No e Zingaretti non può ignorarlo).
Nicola Zingaretti, però, sa perfettamente che il combinato disposto tra referendum ed esito delle Regionali potrebbe scatenare la resa dei conti all’interno del Partito. Nessuno ha smentito l’ipotesi che il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini possa provare la scalata, con il sostegno degli ex renziani Lorenzo Guerini, Andrea Marcucci, Luca Lotti e tutti gli altri.
Nessuno ha preso le distanze in questi mesi dai continui attacchi a Zingaretti da parte del sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Allo stesso modo in cui nessuno ha smentito che Giorgio Gori, con il sindaco di Milano Beppe Sala e quello di Firenze Dario Nardella abbiano iniziato a sentirsi, forse con un po’ di nostalgia per quello che fu il Partito dei sindaci.
Zingaretti non spacca il Pd
Eppure tutto quello che è successo nell’ultimo anno è stato voluto da Zingaretti con un unico obiettivo: non spaccare il Partito. Dall’alleanza con i Cinque Stelle al Governo Conte bis con una maggioranza diversa da quelle del Conte uno. Sono state tutte scelte dettate dalle strategie di Matteo Renzi e sostenute dall’area di Dario Franceschini.
Nicola Zingaretti non era convinto, in quel momento era segretario del Pd da pochi mesi, aveva lanciato il progetto Piazza Grande con il contributo fondamentale di chi, come Massimiliano Smeriglio, era stato tra i “fondatori” del modello Lazio. Nei mesi successivi Zingaretti ha tenuto quella linea, anche dopo la scissione di Matteo Renzi, anche quando tutti i sondaggi gli consigliavano di rompere l’alleanza con i Cinque Stelle e con il premier Giuseppe Conte.
Adesso il segretario del Pd è arrivato a un punto del cammino delicato, perché è abbastanza evidente che nei Dem potrebbe scattare un’alleanza interna per chiedere il Congresso o anche una serie riflessione interna.
In ballo ci sono due visioni del Pd. Quella di Dario Franceschini che ha una sola “missione” del Partito: stare al Governo. Poi c’è quella iniziale di Nicola Zingaretti, che prevedeva un periodo di opposizione per rilanciare i Democrat. Ma ci sono anche altre posizioni, come quella molto critica di Matteo Orfini.
Certamente però dopo l’election day bisognerà affrontare il problema nella sua interezza. E Zingaretti potrebbe mettere tutto sul piatto. Tutto vuol dire l’alleanza con i Cinque Stelle (che però non c’è in molte Regioni chiave, come la Puglia) e il sostegno a Giuseppe Conte. Chissà, le elezioni politiche anticipate potrebbero essere il male minore.