Non è stata una banale relazione. Nè un, seppur dovuto, resoconto dell'attività svolta. Quella del presidente della Corte dei Conti Tommaso Miele è stata uno spaccato di interesse straordinario sullo stato della Cosa Pubblica. Ascoltandola è apparso chiaro a tutti quanto sia cambiato il mondo che ci circonda in questo ultimo anno
È passato un anno dalla straordinaria relazione del presidente della Corte dei conti Regionale Tommaso Miele, nostro illustre conterraneo: una relazione che colpì tutti per la straordinaria umanità e lucidità di cui era permeata oltre alla ineccepibile analisi tecnico giuridica. (Leggi qui: Miele amaro: “Processi lunghi, toghe presuntuose, norme confuse”).
Due giorni fa la Corte è tornata a riunirsi per la consueta relazione annuale. Anche stavolta è stata uno spaccato di interesse straordinario sullo stato della Cosa Pubblica. Un anno dòmini è trascorso, come si diceva una volta. (Leggi qui: Top e Flop, i protagonisti di sabato 25 febbraio 2023).
Ma il tenore della relazione di quest’anno è stato illuminante per comprendere al meglio qual è lo stato della nostra vita pubblica. E soprattutto la via perché questa possa crescere nel rispetto delle leggi e nello sviluppo.
E quando dico illuminante intendo letteralmente. Come qualcosa che getta una luce nel buio. Perché ascoltandola è apparso chiaro a tutti quanto sia cambiato il mondo che ci circonda in questo ultimo anno. Ed è questa la dote dei grandi uomini di Stato: comprendere i cambiamenti e tracciare la via. Sperando di essere ascoltati.
Un anno di cambiamenti
Dunque mentre seguivo la relazione passo per passo mi scorreva davanti come in un velocissimo rewind il racconto politico economico e sociale dell’ultimo anno. Un anno di straordinari cambiamenti.
Lo scorso anno governava Mario Draghi, pochi si aspettavano che oggi su quello scranno sedesse Giorgia Meloni. Un cambio di governo epocale. Per noi cittadini ciociari poi c’è stato l’en plein, oltre al Governo sono cambiate anche Regione e Provincia. Se ci pensate una realtà amministrativo politica completamente diversa.
Il covid, seppur non ancora vinto, non incombe più sulle nostre coscienze come un macigno. Ma lascia i suoi segni tangibili sull’economia del paese.
Lo stesso giorno in cui il presidente Tommaso Miele pronunciava il suo discorso era quel 24 febbraio 2023 che segna il primo anno di guerra in Ucraina. Avvenimento che scuote le nostre coscienze e purtroppo ha avuto un impatto devastante anche sull’economia italiana ed europea.
E questo è il primo anno della gestione del Pnrr il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, l’unica vera misura che infonde speranza nella ripresa e nello sviluppo. E noi affronteremo il prossimo quinquennio con questa formazione politico amministrativa, quella uscita dalle urne di questo anno dòmini.
Un anno in cui si sono stabiliti, perdonate il gioco di parole o meglio di accenti, i nuovi domìni sulle istituzioni.
Lucidità e lungimiranza in Miele
Dunque mentre lo scorso anno la straordinaria profondità umana e morale ci aveva conquistato quest’anno la incredibile lucidità e lungimiranza ci ha aperto gli occhi sui grandi cambiamenti in corso e con coraggio si è addentrata anche nelle soluzioni possibili come ogni vero uomo di Stato deve con convinzione fare. Ma senza tralasciare alcuni temi sensibili.
Dicemmo infatti che il nuovo Governo avrebbe avuto bisogno di figure così alte ed elevate come il presidente Miele ma anche se non lo ha incaricato direttamente di ruoli di governo l’esecutivo Meloni insieme a quello di Rocca nel Lazio farà bene a tenere conto di quanto emerso nella relazione di quest’anno perché traccia una chiara e lucida linea di governo ed istituzionale.
A maggior ragione perché il presidente Miele è adesso anche presidente aggiunto della Corte dei Conti a livello nazionale, un incarico di incredibile prestigio che ci rende orgogliosi come ciociari.
Come ogni anno poi oltre ad averla ascoltata in diretta ho scaricato la relazione rileggendola in cartaceo, perché spesso si colgono maggiormente certe sfumature ed i dettagli. In realtà io renderei obbligatorio inviare la relazione annuale a tutti gli amministratori del Lazio: comunali, provinciali, regionali, nazionali. Perché leggendola si comprende veramente l’evoluzione normativa che ci circonda.
Il significato tecnico e morale
Ma quella di quest’anno ha un doppio valore tecnico e morale. Intanto colpisce sempre l’umiltà con cui il presidente Miele approccia i vari argomenti, anche con un linguaggio che si rivolge non solo ai tecnici ma anche alle persone comuni ai cittadini.
Riascoltiamo insieme. “Dobbiamo, in altre parole, – e scusate la banale similitudine – atteggiarci come i vigili che avvertono prima gli automobilisti che la curva è pericolosa e che occorre rallentare, piuttosto che nasconderci dietro la siepe per contestare a posteriori, a volte a distanza di anni, che in prossimità della curva si andava troppo veloci e sono stati superati i limiti di velocità. In tal modo la Corte dei conti svolgerebbe in maniera assolutamente positiva le funzioni che la Costituzione le intesta”.
“Più che censurare e sanzionare a posteriori le amministrazioni pubbliche e gli amministratori e funzionari chiamati a gestire risorse pubbliche, si porrebbe nei loro confronti con un ruolo e uno spirito diversi, accompagnandoli e assistendoli nello svolgimento delle funzioni ad esse intestate e nella gestione della spesa pubblica”. Quando un magistrato di così alto rango scrive questo si comprende quanto l’approccio sia collaborativo, soprattutto inteso non solo a reprimere ma ad aiutare nei percorsi più difficili.
Ecco questo non è un atteggiamento comune in chi ricopre incarichi così alti. E lascia intendere che non vi sia distacco tra le proprie funzioni e la realtà che circonda chi le svolge. È un concetto semplice ma molto alto che spesso viene dimenticato in molti dei ruoli di comando della nazione. Mentre mantenere sempre questa lucidità sulla propria funzione è fondamentale e nobile.
La sana gestione del Pnrr
Ma lo spiegherò meglio con una analisi più completa sul tema più dibattuto della relazione di quest’anno: la sana gestione del Pnrr, nella quale la corte riveste e rivestirà un ruolo fondamentale. È l’argomento che meglio esemplifica i concetti che ho appena espresso.
Alla gestione del Pnrr viene dedicato gran parte del terzo capitolo della relazione, quello denominato “ il ruolo della corte dei conti e l’esercizio della funzione giurisdizionale”. Vi invito caldamente a leggerlo. Perché è un breve trattato di alta giurisprudenza. Questi è diviso in altri tre paragrafi. Il primo senza giri di parole si chiama “la paura della firma”. E come ha recentemente scritto il direttore Alessio Porcu citando alcuni passaggi, parole che hanno un peso che arriva direttamente all’occhio del governo.
“Sì è così fatto strada, nell’opinione pubblica e nella classe politica, il convincimento che a bloccare i cantieri e a rallentare l’azione amministrativa sia la cosiddetta “paura della firma”, cioè, la paura di firmare provvedimenti da cui possono derivare danni erariali che gli stessi amministratori e dirigenti pubblici possono essere chiamati dalla Corte dei conti a risarcire.” Scrive il presidente nel primo paragrafo continuando : “Non si può negare che la paura della firma esiste, ma la soluzione non è certamente quella di eliminare o di mitigare le responsabilità di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica e a gestire ingenti somme di denaro, tollerando che tali somme vengano gestite con superficialità e leggerezza”.
Una chiarezza potente e disarmante. Ma se molti si sarebbero fermati a queste considerazioni giuridiche la relazione continua con altri due paragrafi sullo stesso argomento.
Etica e Giustizia secondo Miele
Il secondo si chiama: “il rapporto fra Etica e Giustizia”. Che contiene forse la parte concettuale più alta della relazione: il rapporto fra la funzione ed il potere. Non vi dispiacerà se lo cito per intero il paragrafo perché temo che altrimenti perda potenza se riassunto.
Scrive così:
“E sempre con riferimento alla paura della firma vorrei ribadire quanto già detto negli anni passati e che per me è ormai diventato un tormentone. Occorre ristabilire un clima più sereno e più equilibrato nell’amministrazione della giustizia. Nell’esercizio delle proprie funzioni il giudice si deve sforzare di riaffermare un forte apporto fra Etica e Giustizia. Al riguardo non può negarsi che negli anni ci sono stati sconfinamenti fra organi e istituzioni nell’esercizio delle rispettive funzioni.
Oggi è più che mai necessario, però, che si ristabiliscano i ruoli che la Costituzione assegna a ciascun organo e a ciascuna istituzione. E che si ristabilisca un corretto rapporto fra di essi, in cui ciascuno faccia solo, e soltanto, ciò che deve fare nel solo perseguimento dell’interesse pubblico. L’ho già detto in tante occasioni e non posso non ribadirlo. Un corretto rapporto fra Etica e Giustizia vuole che la “funzione” non diventi mai “potere”.
L’esercizio della funzione giurisdizionale o di controllo (come di ogni altra funzione, anche amministrativa) non deve mai diventare “potere”. L’esercizio della funzione è neutro. Essa diventa “potere” quando se ne abusa e la si deforma, la si indirizza a fini diversi da quelli previsti dalla Costituzione e dalla legge. Perciò la funzione giurisdizionale deve tendere solo all’accertamento della verità e alla affermazione della giustizia a tutela della corretta gestione delle risorse pubbliche, come pure la funzione di controllo deve tendere solo ad assicurare la buona amministrazione e l’equilibrio dei conti pubblici”.
La funzione non deve mai diventare potere. Basta questa frase per considerarlo un piccolo trattato di filosofia del diritto. Racchiude in se anni di storia della giurisprudenza e credo anche la vera essenza della natura di un magistrato.
L’umanità nella Giustizia
Ma come non bastasse il terzo capitolo ancora rivela una sensibilità fuori dal comune. Si chiama “l’esigenza di una giustizia umana”.
Scrive riprendendo alcuni temi anche della relazione dello scorso anno, a dimostrare che non fossero casuali ma radicati in una cultura del diritto.
“La giustizia non deve essere vendetta e deve essere soprattutto umana. Il nostro Paese e la nostra società vivono da anni una crisi della Giustizia che si riflette nella vita sociale, nella politica e nell’economia, sulla tutela dei diritti e delle garanzie. Da troppi anni la nostra società è permeata da un giustizialismo alimentato da una sorta di voglia di vendetta, da odio sociale. Che si sta quasi affermando come fine ultimo della Giustizia. E che sta offuscando quei principi di diritto scritti a caratteri cubitali nella nostra Carta costituzionale, che non a caso si pone, per questa parte, fra le carte più avanzate del mondo.
L’esercizio della funzione giurisdizionale deve essere finalizzato all’affermazione della giustizia e all’accertamento della verità e non al giustizialismo e alla vendetta. Al diritto del cittadino ad una giustizia rapida, efficiente e soprattutto giusta, al diritto ad un giusto processo, al diritto ad una ragionevole durata del processo. Una giustizia giusta, poi, va declinata con il diritto del cittadino ad essere giudicato da un giudice sereno, equilibrato, che ispira fiducia e che non abbia altra finalità nell’esercizio della sua funzione che quella dell’accertamento della verità e della giustizia.”
La Giustizia con gli occhi dell’imputato
La stessa lucidità dello scorso anno in cui trovarono spazio elementi di rivoluzione copernicana come la giustizia vista dalla prospettiva di un imputato e della propria famiglia. Tema ripreso con concetti anche più profondi anche quest’anno, segno che con la relazione dello scorso anno vige un rapporto di stretto collegamento, di evoluzione studiata col mutare delle condizioni esterne. E di progetto potemmo dire. Così in cui queste parole non svolgono solo un ruolo contingente, momentaneo, ma restano concetti che non si limitano all’annuale ma che invece travalicano la temporalità per essere solidi e duraturi.
Concetti fondanti, non solo opinioni sulla contemporaneità. Ma legame tra questa ed i valori.
Dunque questa relazione non parla solo di conti. Non è solo un resoconto, pur dovuto, di condanne sentenze, evoluzioni normative. È un passaggio culturale illuminante. È cultura politica, amministrativa, dello stato. Riporta ognuno alla propria responsabilità.
E perdonatemi se lo dico, in un momento di grande incertezza istituzionale e confusione sociale, i valori contenuti in questa relazione posso essere considerati delle certezze su cui costruire.
La libertà è come l’aria
Per questo ho apprezzato molto questo passaggio che cito come degna conclusione.
“Come uomini delle istituzioni e come magistrati noi siamo consapevoli dei valori e delle garanzie che la Costituzione assicura a tutti noi. E dobbiamo impegnarci ad essere custodi ed interpreti di quei valori e di quelle garanzie, a cominciare dai diritti inviolabili, dall’eguaglianza di tutti i cittadini, al diritto di difesa, al principio di stretta legalità, al diritto di non colpevolezza, al diritto alla tutela giurisdizionale, fino al diritto alla legalità, alla imparzialità e al buon andamento della pubblica amministrazione.
Quei valori e quei diritti che sono costati tanti sacrifici e tanto sangue, che rispecchiano la nostra storia e le nostre radici, e che, come uomini e come magistrati, dobbiamo avere la consapevolezza e la responsabilità di trasmettere ai nostri figli, convinti che le libertà, i diritti civili, le garanzie sono come l’aria: si apprezzano quando mancano; quando ne godiamo non ci accorgiamo di averli e diamo per scontato che essi ci vengano riconosciuti.”
Quanto è vero. Solo quando mancano alcuni diritti fondamentali ci accorgiamo che sono come l’aria. Senza di quelli non si vive. Ma non sempre lo ricordiamo e ripeterlo giova.
La preghiera di Miele per l’Ucraina
Mi rimane solo di citare un passo delle conclusioni che ho apprezzato particolarmente che parte dalla guerra in Ucraina ed arriva alla nostra situazione, con una nota particolare.
Scrive infine il presidente Miele:
“Proprio oggi, 24 febbraio, ricorre l’anniversario dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e dell’inizio della guerra. Molti di voi ricorderanno che in occasione della cerimonia dell’anno scorso – la guerra era scoppiata da pochi giorni – io ebbi ad esprimere l’auspicio che potesse presto cessare il rumore della guerra e potesse tornare ad affermarsi il silenzio della pace”.
Oggi avremmo voluto esprimere il nostro ringraziamento al Signore e alla nostra Santissima Madre per la fine della guerra e invece siamo costretti a rivolgere ancora la nostra preghiera e il nostro auspicio affinché finisca presto questo orrore sotto i nostri occhi. Voglio chiudere con un altro auspicio. Mi auguro che il nostro Paese possa presto superare il brutto periodo che stiamo vivendo, la grave crisi economica e sociale, la crisi energetica, le difficoltà economiche delle famiglie e delle imprese, e possano tornare ad affermarsi la crescita economica, il benessere sociale, la speranza, la fiducia e la serenità.”.
Ecco qui esprimo un parere strettamente personale e lo anticipo perché in un epoca ammantata di sottrattori di crocefissi, montatori di tendine nei cimiteri, ed iconoclasti vari che ululano al grido della seppur giusta laicità dello Stato, trovare in una relazione così importante ed alta una citazione al Signore ed alla Santissima madre” ed una preghiera perché finisca tutto io l’ho trovato pacificatore e rigenerante. Come un tuffo nella sana normalità.
Non è che voglio tornare ai concetti agostiniani come il “Quod Deus vult ipsa iustitia est”. Dove “ciò che Dio vuole è la stessa giustizia”, come dice Sant’Agostino. L’evoluzione giurisprudenziale ha compiuto passo importanti. Ma alcuni valori, che vogliamo considerarli cristiani o meno, restano fondamentali.