Banzai dem: perché il Pd ormai va contro tutti, specie contro se stesso

Gli aiuti a Kiev diventano la cartina di tornasole di un partito che non sa più tenere la sua rotta. E che non fa come quello frusinate

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

La “banzai charge” era in assoluto la faccenda più temuta dai marinai agli ordini dell’ammiraglio Chester Nimitz durante la seconda guerra mondiale e sul fronte del Pacifico. Quell’avvertimento veniva urlato dai serventi al pezzo contraereo tra terrore e fregola operativa. Bisognava fare in fretta, se sentivi quell’urlo avvertitivo, perché esso significava che, lassù in cielo, un Mitsubisi A6M “Zero” imbottito di tritolo stava per picchiare dritto addosso al naviglio Usa. E il pilota alla guida, il suicida kamikaze a sua volta farcito di sake e metamfetamina cloridrato, esattamente quello urlava. Lo faceva andando incontro alla “morte fiorita” ed al botto finale: “Banzai!!!”. Che originariamente significava in cinese “mille anni”.

Ed è chiaro come il sole (non levante stavolta) come il Pd italiano in termini di vita politica punti sui mesi, altro che millenni, almeno a contare la sua ultima deriva. Deriva sistematica e caotica al contempo, il che è già un paradigma molto “dem”, cioè una cosa che è diventata tutto ed il contrario di tutto.

La “guerra” in casa dem sulla guerra a Kiev

Achille Occhetto (Foto: Daniele Scudieri / Imagoeconomica)

Insomma, il “sol dell’avvenir” è roba che rischia di tramontare a che se per i duri e puri è ormai tramontato dai tempi di Achille Occhetto. La guerra c’entra sempre, ma non solo ed è guerra diversa: quella della Russia contro l’Ucraina che ha chiamato l’Occidente a prendere decisioni. Ed il Pd a prenderle con esso, salvo poi scarrocciare in un limbo strano ed irritante che sta a metà esatta tra atlantismo catodico e neutralità solidale. Claudio Cerasa su Il Foglio non ci è andato giù tenero, ma di questi tempi è obiettivamente difficile essere clementi con le rotte del Nazareno, che rappresenta il rebus massimo della politica italiana anche al netto delle sintesi locali.

Nel Lazio Daniele Leodori e Francesco De Angelis quella sintesi l’hanno trovata ed hanno cassato ogni “guerra tra bande”. O almeno l’hanno sopita, resa inutile sotto il peso della realpolitik tracciata dai numeri di un Congresso regionale in cui ci si è contati davvero. A livello nazionale – ed ovviamente su un piano sistemico molto più complesso – Elly Schlein sintetizza corto. Cioè mette a massa non una rotta, ma tutte le possibili rotte che possano essere contrarie al governo Meloni.

Meglio guardare a Frosinone

Elly Schlein (Foto: Giulia Palmigiani © Imagoeconomica)

E poco importa se nel perseguire quell’unico scopo i dem vadano in deroga dalla coerenza. Il fine è picchiare duro senza tenere in conto l’esistenza del Partito come sistema complesso di idee-cardine. Solo nel nome dell’Imperatore. Come i kamikaze, appunto, banzai e basta: ka-boom e sei morto e poco importa se muoio anch’io. Arretriamo ancora un attimo a quella dimensione dove essere del Partito Democratico non è (più) ancora essere candidati a meticolose cure spirituali che arriveranno dal conclave di Gubbio del 18 e 19 gennaio prossimi.

E apriamo una finestra sul Lazio e sulla provincia di Frosinone. A luglio scorso il Segretario provinciale del Pd Luca Fantini spiccia casa dem. Azzera la segreteria e sulla scorta di un Congresso regionale che vede eletti Daniele Leodori Segretario e Francesco De Angelis presidente, tiene a battesimo un nuovo equilibrio.

L’equilibrio: da Leodori-De Angelis a Fantini

Luca Fantini e Sara Battisti

Una roba “senza gomitate, sgambetti o colpi sotto la cintura”. Attenzione, anche se contesto e forze in campo sono diversi la parola chiave quella è e quella resta: “Equilibrio”. Non pace, non buonismo, men che mai rinuncia, solo un bilanciamento con fine unico, il che presuppone che la stella polare sia e resti l’identità del Partito. Identità che è composita ma che non deve diventare caotica o contraddittoria con la bussola etica..

Torniamo a livello nazionale. Cerasa l’ha detta benissimo: “Non importa quello che pensa il Pd, non importa il merito dei dossier. Non importa il contenuto dei provvedimenti, conta solo questo: ciò che pensa il Pd deve essere percepito come diametralmente opposto a tutto quello che pensa il presidente del Consiglio.

Sì, ma la polpa? Lo scenario è stato quello della Camera, dove Italia viva, Azione e Più Europa hanno detto sì ad una risoluzione. In essa si chiedeva dicontinuare a sostenere, in linea con gli impegni assunti e con quanto sarà ulteriormente concordato in ambito Nato e Ue, nonché nei consessi internazionali di cui l’Italia fa parte, le autorità governative dell’Ucraina anche attraverso la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari. E il Pd cosa ha fatto? Di cose ne ha fatte due: presentare a suo tempo una mozione eguale e non votare quella di qualche giorno fa astenendosi.

Un “no” a prescindere, con eccezioni

Mario Draghi

Il rischio era che votando a favore i dem potessero trovarsi allineati alla linea del governo in carica, così come fecero quando a guidarlo c’era Mario Draghi. E così come hanno fatto in tema delle armi a Kiev, prima di diventare scettici blu anche su quelle. Dice ok, hanno cambiato idea e sono passati tra quelli che nella stanca del conflitto ci vedono un segnale di ricorso indefettibile alla sola diplomazia?

Macché. A Montecitorio era stata presentata un’altra risoluzione, a firma M5s, quelli del campo largo sempre auspicato ma mai messo a quadra. Ed il Pd non ha votato neanche quella: astensione bis. In sintesi: per non seguire una rotta di coerenza o di strappo, entrambe opzioni politiche degnissime, i dem di Schelin sono diventati profeti del “nì”. O del “boh?”. Con eccezioni, questo va detto: Lorenzo Guerini, Marianna Madia e Lia Quartapelle, che evidentemente tengono alla coerenza più di quanto la Schlein non tenga alle fronde formali, hanno votato in modo diverso.

Ed hanno bocciato la risoluzione del M5s e approvat quella della maggioranza. Idem dicasi al Senato, dove Dario Parrini, Filippo Sensi, Pier Ferdinando Casini, Simona Malpezzi e Valeria Valente hanno pure votato in dissenso dalla “non linea” del partito. Cerasa è impietoso, e ricorda il 2023. Cioè “quando il Parlamento votò per chiedere all’esecutivo di ‘proseguire nell’azione di sostegno all’Ucraina favorendo nel contempo ogni iniziativa finalizzata a una soluzione del conflitto nel rispetto del diritto internazionale’”.

Quando la coerenza non era un lusso

Paolo Gentiloni (Foto: Allain Rolland © European Union 2023 – EP)

Cioè quando Schelin si avviava ad essere titubante sul tema armi ma non al punto di boicottare il diritto a difendersi degli ucraini. E soprattutto non al punto da sconfessare le rotte del Pse ed una linea di coerenza contro la mostruosa “iniziativa” di Vladimir Putin.

Se a questo ci si aggiunge la frattura che si è consumata sull’abuso d’ufficio sarà facile capire come oggi la bussola del Pd tenda a cercare non il nord, ma un altro punto cardinale. Quello in cui la freccetta magnetica indica il suicidio politico. E banzai a tutti, chissenefrega della coerenza.

Almeno fino a quando Paolo Gentiloni, che non si ricandiderà alle Europee ma che non vuole mollare la politica, non tornerà in orbita Nazareno. E lì, in caso di risultati scarsi per Bruxelles, Shlein rischia di passare direttamente da Gubbio a Caporetto. Con un “banzai” bello forte. L’ultimo prima del botto.