La lezione di Claudio Martelli: politica ed etica riscrivono le regole

L'ex politico e direttore dell'Avanti mattatore al Festival della Filosofia di Veroli. Dove, pungolato da Mauro Buschini, parla di crisi della politica. E delle false rivoluzioni che l'hanno determinata. Con un ricordo finale di Giovanni Falcone.

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Un progetto per risolvere la crisi economica nell’Italia del dopo Covid e un’agenda per parlare della crisi della politica. Vanno di pari passo, guai a separarli. Perché chi fa è importante come e più di cosa fare. Un’occasione grande per cambiare, offerta dal Recovery Fund, a cui si somma una grande occasione: riscrivere l’etica politica italiana. Non solo tratteggiando le debolezze e le falle di quella attuale, ma soprattutto disegnando le basi dell’Italia che verrà. Quella che ci alita sul collo dai banchi di scuola.

Mauro Buschini pungola, Claudio Martelli risponde. Dove? A Veroli, durante il terzo appuntamento del Festival della Filosofia. Terzo dei sette organizzati dall’amministrazione in carica guidata da Simone Cretaro e retta sul tema da Francesca Cerquozzi.

Amministrazione corsara al punto da rasentare la follia ma ben ripagata da un afflusso lusinghiero.

La crisi della politica secondo Claudio

Claudio Martelli con la consigliera delegata alla Cultura Francesca Cerquozzi

Si, ma come fare per rimettere l’Italia in carreggiata? Mettendo a frutto gli strumenti che ci ha dato l’Europa. Ma, prima ancora, incanalando il loro utilizzo in un nuovo modo di concepire il sistema complesso della politica. E ripercorrendo tappe salienti e momenti drammatici della storia recente.

Si scrive dialogo politico, si legge filosofia. Con buona pace di chi sbircia con sospetto l’amministratore e cerca scandalizzato il pensatore con addosso la sindrome da biglietto rimborsato. Perché per fortuna la filosofia pensiero puro non lo è mai stata.

Dai presocratici in giù la politica è il luogo dove il pensiero smette i panni della sintesi e va ad abitare in quel mondo che essa ha pretesa secolare di spiegare. E i Greci, gente scafatissima sul tema, lo sapevano bene. Si tratta di pretesa che resta tale se un concetto non germina nella società, nei suoi fenomeni, nei suoi mali e nelle cure di cui abbisogna.

Come Parmenide, che omologava l’essere al pensiero e che ad esso riconosceva sostanza solo nella storia, senza vuoti. E che sul tema, ormai vegliardo incarognito dall’età, ebbe una litigata maiuscola con il giovane ‘tafano’ Socrate. Non era mai uscito da Elea e non volle morire senza prima aver visto mali e corruzione di Atene.

Il lungo corso di un politico ‘vero’

Longo (Psdi) Romita (Psdi) Bettino Craxi e Claudio Martelli (Psi) Foto © Imagoeconomica / Carlo Carino

E se Buschini, da addetto ai lavori, sa porre le questioni giuste, Martelli le risposte le ha tutte in agenda mentale. Da tanto tempo. Tutto il tempo che ci è voluto per far decantare il tornado Tangentopoli e attendere che la conclusione finale sedimentasse da cronaca a storia. Con nel mezzo la solida impalcatura pubblicistica e letteraria che l’ex presidente del consiglio, ex Guardasigilli ed ex delfino di Bettino Craxi si è costruito. Fino ad esere oggi direttore dell’Avanti.

In una scomoda sintesi non detta ma vissuta nella carne. Sintesi per cui se quella classe politica sbagliò clamorosamente in punto di etica, quelle che ad essa si sono succedute hanno toppato in punto di efficacia. Tutte o quasi, secondo un progressivo imbarbarimento di un ruolo che ha visto il suo decoro silurato non solo dalla legittima riflessione dei popoli senzienti, ma anche dai luoghi comuni della loro parte più umorale.

Si scrive politica, si legge filosofia

Un momento del dibattito a Veroli, con Mauro Buschini e Claudio Martelli

La complementarietà di politica e filosofia l’ha sottolineata l’art director Fabrizio Vona, che ha introdotto il dialogo fra Buschini e Martelli. L’idea l’ha lanciata il Presidente del Consiglio regionale, che ha citato «l’alleanza fra merito e bisogno, cioè l’unione fra coloro che possono agire e coloro che devono agire per migliorare le condizioni di vita» .

E quindi quella di proporre temi sull’attualità, sulla società che cambia, sul futuro, perfino sull’immigrazione di cui Martelli fu legislatore già nel ‘90, era l’idea giusta. La pandemia come tema di esordio, tema sviscerato da Buschini più con l’empatia del politico che con la sintesi del giornalista, ma ci sta.

Pandemia per costruire ex novo, non ricostruire sulle macerie del vecchio. E Martelli coglie l’abbrivio, enunciando la duplice natura dell’etimo della parola ‘crisi’. «Vuol dire sia caduta che occasione. Se la caduta puo’ diventare opportunità dipende dal fatto che l’Italia non è sola. E che l’Europa ha stanziato 750 miliardi di euro».

La pandemia, l’Europa, le nuove vie

Foto © Markus Spiske / Pexels

Un’Europa di cui Martelli sottolinea la mission collegiale, scardinata dalle singole istanze delle nazioni sovrane che la compongono. E da lì il messaggio ambientale che dall’occasione Covid arriva, quello della Green Economy. Con «la distopia, l’utopia negativa di un pianeta malato che non è più tale, ma evidenza».

Cambiamento climatico e riduzione delle fonti di energia inquinante sono dunque non più concetti su cui disquisire, ma pericoli da esorcizzare con le azioni di governo. «Bisogna disporre di risorse per convertire alcuni tipi di produzione. In alcuna casi abbandonare, come l’Ilva di Taranto».

E sui Paesi leader della produzione delle vecchie fonti di energia Martelli incasella la geopolitica dei grandi sistemi. Quelli per i quali la nicchia lasciata vuota dall’Italia nel Mediterraneo è ormai in tacca di mira dei due ex imperi redivivi. Sono quello russo e quello islamico di natali turchi.

Riforme, digitale e basta coi sovranismi

Il digitale è il futuro dell’Italia del dopo Covid FOTO © BURST / PEXELS

Instradato da Buschini sul Recovery Fund, per il quale l’esponente Pd ha il rovello della destinazione ai Comuni, Martelli viene chiamato in causa sull’evoluzione della politica. Di una politica che deve fare prima tesoro etico e massa critica della sua rinascita e poi utilizzo saggio dei fondi.

«Non vedo ancora questa evoluzione, ma è di certo una speranza, che si recita al futuro. L’Europa ha dato prova di esserci, noi dobbiamo ancora darla». E cita in merito il suo compagno di partito ed economista Francesco Forte con il suo “E adesso le riforme”.

Poi la digitalizzazione che della nuova economia non è più ancella ma vettore imprescindibile. E ancora l’Europa, e la diffidenza atavica verso la quale su cui Martelli non nasconde profonde remore. Affonda con nomi e cognomi sui bardi di questa teoria dello strangolamento: Salvini e Meloni.

Le spese fondamentali per Martelli sono quella ecologica per consegnare ai figli un mondo migliore. Poi quella «della cosiddetta transizione digitale. Nell’emergenza abbiamo sperimentato il lavoro a distanza e tutto sommato non è andata così male».

Martelli trova anche grip sociologico per affrontare il merito di una questione antica. E’ quella che in vulgata vorrebbe gli italiani incapaci di esami di coscienza. E di cambiare interiormente, in atteggiamenti e scelte. Da questo punto di vista la transizione digitale non è un processo destinato a trovare l’ostilità di un popolo imbelle, ma la riflessione e il cambio di passo di una nazione adulta.

Anche a fare la tara ai «conflitti di potere fra capitalisti e politici per cui l’Italia è arretratissima in termini di banda larga».

Il lavoro, l’insidia autunnale

Foto: © Can Stock Photo / Nejron

La questione dominante resta comunque quella del lavoro. «Con il lockdown le imprese non solo hanno sperimentato che si puo’ fare il lavoro da remoto, ma che lo si puo’ fare con meno lavoratori». L’insidia c’è ed è grande. L’idea di società va perciò recuperata nella sua veste dialettica e feconda. E la politica non puo’ ignorare questa matrice di cooperazione che risiede nella ‘societas’, perché è proprio nella collettività che si sostanzia la sua ragione di esistere.

Ma per farlo serve che il concetto di società torni ad essere centrale. Anche nel linguaggio, dove i termini ‘paese’ e ‘nazione’ sono ormai appannaggio di un certo piazzismo di facciata. E i giovani? Martelli non dà certezze sull’età dell’incertezza. Ma crede che tutte le risposte passino per «Un colossale investimento nell’istruzione». E rimanda quella crisi esattamente al periodo in cui Buschini si affacciava alla politica, cioè subito dopo Tangentopoli.

L’istruzione e le riforme, senza clamori

CLAUDIO MARTELLI E CALOGERO MANNINO FOTO © CARLO CARINO / IMAGOECONOMICA

Torna indietro e fa autocritica sul socialismo di inizio ‘900, massimalista, anti turatiano e rivoluzionario. E scopre la sua mai sopita veste riformista.

E i rivoluzionari? Gramsci, Bordiga, Mussolini, tutti i padri dei totalitarismi. Un’evoluzione ritardata in autarchia che ha paralizzato l’Italia, «nell’illusione che stando da soli si sarebbe cresciuti più in fretta». Il genio italiano quindi non risiede nelle urla dei demagoghi. Esso abita nella serena evoluzione graduale di modelli politici che abbiano davvero il fine dell’eunomia, del buon governo.

Populismo ed egoismi hanno dunque nel socialismo il loro principale nemico, in lui e nella sua capacità di saper parlare «un altro linguaggio. E l’autunno di sofferenze e disoccupazione che arriva sarà la prova del nove per arginare malumori coltivati ad hoc dalla politica delle urla». Un coacervo di ‘ignorantamento’ in cui par paradosso nel centro destra si è distinto per responsabilità Silvio Berlusconi. E sull’immigrazione Martelli ha le carte in regola del legislatore di lungo corso, del legiferatore ante litteram. Si alla cittadinanza dopo un lasso di tempo, no allo ius soli, che è appannaggio Usa ma con altra denominazione.

Quella volta con Giovanni Falcone

Giovanni Falcone Foto © Carlo Carino / Imagoeconomica

Sull’amarcord politico non poteva mancare l’incontro con Giovanni Falcone. E con esso una sottile apologia del garantismo che non ebbe molta cittadinanza nella sua stagione politica. «Fissai un appuntamento, andai a trovarlo nel suo ufficio blindato. Si scusò per essere dietro la scrivania. Gli chiesi di un maxi processo celebratosi a Napoli contro la camorra. Era quello con 800 arrestati in cui fu coinvolto Tortora. 180 dei fermati erano innocenti e coinvolti per omonimia».

«Gli chiesi se essendo impegnato nel maxi processo alla mafia poteva rassicurarmi. Su cosa? Sul fatto che non si sarebbero compiuti gli stessi errori commessi a Napoli. Lui mi rassicurò. E disse che non si sarebbero esposti ad accuse di non aver rispettato i diritti degli imputati. “Vincere contro il Diritto è sempre una sconfitta”. Questo disse Falcone».

Totò Riina, il ‘viddano’ tiranno

CLAUDIO MARTELLI, SULLO SFONDO TOTO’ RIINA. FOTO © VALERIO PORTELLI / IMAGOECONOMICA

E poi una rivelazione su quell’incontro che taglia la testa al toro su ogni lettura fascinosa ma poco empirica del fenomeno mafioso. Quella per cui la mafia è fatta di colletti bianchi, potentati occulti ed entità burattinaie con capitali all’estero. E che i mafiosi messi in tacca di mira siano solo una sorta di inutile livello basico, quasi sacrificale. Falcone tratteggiò a Martelli l’immagine di Totò Riina, che da un paesone aveva sconfitto con i suoi viddani la mafia palermitana e salottiera. «E non perché aveva i miliardi in Svizzera, solo perché aveva più picciotti».

Con l’immagine, viva e tratteggiata ad arte, del giudice più famoso e rispettato al mondo che in Italia era invece odiato è calato il sipario sulla serata. Con il colpo di coda ironico dell’ospite. Sulla «cogitazione» cioè di un Martelli Guardasigilli in fregola di asservimento dei Pubblici Ministeri italiani. Perché la filosofia serve principalmente a questo: se non a raggiungere la verità, quando meno a trovare il fiato per inseguirla. Sempre.