Fischi e fiaschi della XVIII settimana 2022

Fischi e fiaschi: i fatti centrali ed i protagonisti della XVIII settimana 2022. Per capire meglio cosa è accaduto e cosa ci attende nei prossimi giorni

Fischi e fiaschi: i fatti centrali ed i protagonisti della XVIII settimana 2022. Per capire meglio cosa è accaduto e cosa ci attende nei prossimi giorni

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ALESSIO D’AMATO E DANIELE LEODORI

La corsa per il dopo Zingaretti è iniziata. Da gennaio il suo vice Daniele Leodori è in campo ed in settimana ha annunciato la sua intenzione di misurarsi anche l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato. Saranno le Primarie il terreno sul quale si confronteranno, “se ci saranno” ha premesso l’uomo che ha tenuto il fronte anti Covid nel Lazio. (Leggi qui D’Amato molla gli ormeggi: “Mi candido per il dopo Zingaretti”).

Daniele Leodori, Bruno Astorre e Alessio D’Amato

Le riflessioni sono due. La prima è di natura politica. Le Primarie per la candidatura a governatore del Lazio non saranno il classico scannamento a sinistra: al contrario. Perché Daniele Leodori e Alessio D’Amato si rivolgono a due elettorati e due sensibilità politiche differenti: più centrista il primo, più a sinistra il secondo. Ma confrontandosi con lo strumento delle Primarie, a prescindere dal vincitore, si legittimeranno a vicenda. ma ndando un ulteriore segnale di affidabilità al Partito Democratico.

E qui si innesta la seconda riflessione. Di natura strategica. Da settimane sono in corso manovre con cui fare in modo che il Pd arrivi alle Primarie di Coalizione con un solo candidato. Che potrebbe non essere né Leodori né D’Amato. Dal Nazareno sostengono che Nicola Zingaretti sia ascoltatissimo da Enrico Letta in merito alle dinamiche laziali e che il governatore uscente avrebbe tracciato un eccellente profilo per i suoi due assessori, aggiungendo però anche il nome di Enrico Gasbarra che ha dalla sua parte l’esperienza fatta al governo della Provincia di Roma prima dello stesso Zingaretti. (Leggi qui Tutte le curve sulla via della candidatura in Regione).

Sicuramente il candidato non sarà Bruno Astorre: in Regione c’è già stato e preferisce più districarsi nella manovra politica che in quella amministrativa, come lui stesso conferma. (Leggi qui Camera con vista sulla Regione: tutti gli intrecci sulle candidature).

La candidatura di Daniele Leodori e Alessio D’Amato restituisce alle Primarie il loro senso originario: unione verso un progetto e non conta esasperata all’ultimo voto. In attesa di sapere “se ci saranno” le Primarie o per i due concorrenti si apriranno le porte del Parlamento.

C’è ancora vita nel Pd.

ALESSANDRO ZAN

La mediazione è il sale della democrazia e trovare un compromesso è un punto alto, non un disvalore“. Tradotto dallo zanese: per evitare che ci si richiuda sulle caviglie la tagliola che sei mesi fa fermò il Ddl contro l’omotransfobia dovremo essere duri e puri nella parte nucleare della faccenda ma aperti nelle trattative.

Alessandro Zan (Foto: Sara Minelli / Imagoeconomica)

Alessandro Zan ha imparato la lezione durissima che gli rotolò addosso a Palazzo Madama quando il Pd pensava che bastasse l’etica per fare una legge e guarda ad Italia Viva per far prendere il largo alla sua creatura di civiltà.

In una intervista a Fanpage il deputato Dem lo ha detto chiaramente: non si possono mortificare le persone che dal Ddl si aspettano un traguardo di civiltà vedendolo approvato, perciò la questione dell’identità di genere non si tocca. Non si tocca quella e non si sfiora neanche con una piuma di calamo il testo originario.

Anche perché, ha sottolineato Zan, “è stato approvato alla Camera a larga maggioranza da tante forze politiche, poi perché se fosse modificato al Senato alla Camera si discuterebbero solo gli articoli modificati. Se avessimo presentato un testo nuovo il percorso sarebbe ripartito daccapo“.

Però neanche si possono mortificare quelle categorie presentando loro una ennesima sconfitta in Aula e vanificando le aspettative di una parte d’Italia che dal Ddl Zan si aspetta molto ed ora; no, non Letta che lo vorrebbe in Gazzetta ufficiale prima della fine della legislatura, non solo lui almeno. Quelli che non vanno mortificati sono ad esempio i transessuali, perché “L’Italia ha il triste primato di essere il Paese dove si ammazzano più persone trans“.

E allora Zan si è reinventato scassinatore morale ed ha invocato il “grimaldello” di Italia Viva, come? Lisciandoli: “Hanno votato un emendamento al decreto che vieta, sulla cartellonistica stradale, ogni discriminazione basata sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere“. E se Parigi val bene una messa una legge val bene una limonata coi vecchi compagni di tessera.

Etico e tattico.

GIORGIA MELONI

Giorgia Meloni (Foto: Sergio Oliverio © Imagoeconomica)

Riportate le lancette degli orologi indietro di una settimana. Guardatela Giorgia Meloni sul palco dell’Assemblea Nazionale di Fratelli d’Italia a Milano. Padrona della scena. Personalmente e politicamente. Al di là dei contenuti, che si possono condividere o non, è stata uno spettacolo di comunicazione politica. Con il quale ha cancellato un’altra abbondante porzione di orbace ed olio di ricino che ancora affollano il suo Partito.

Con l’Assemblea di Milano Giorgia Meloni ha ribadito ancora di più ed ancora più forte che Fratelli d’Italia non è una ridotta per nostalgici fascisti. È un Partito che si ispira ai moderni principi della Destra europea e non alla Marcia su Roma. Con buona pace di tanti ‘camerati’ che ancora oggi nel Lazio devono affrettarsi a nascondere le chat imbarazzanti in cui ci si saluta a braccio teso.

La vera sfida è questa. Perché i numeri potranno continuare a crescere ancora ma in assenza di una chiara posizione Europea, Atlantica, pro Euro, la strada per Palazzo Chigi resterebbe stretta. Per questo, quella portata sul palco di Milano non è stata una negazione del passato dei Fratelli d’Italia ma una evoluzione necessaria per essere al passo con i tempi.

Che Giorgia Meloni ha rappresentato in maniera scenica e politica nel modo più efficace.

Ducetta 4.0

FLOP

ANTONIO CICCHETTI

Foto Stefano Carofei © Imagoeconomica

Ma quale fascismo, io citando il motto ‘Boia chi molla’, mi riferisco ai giovani di Reggio Calabria, ai ragazzi che resistettero nel 1970, io sono nato nel 1952, non c’entro nulla con il fascismo“. Debole. E poco credibile: quasi un’offesa all’intelligenza altri. Non regge la difesa imbastita da Antonio Cicchetti sindaco uscente di Forza Italia a Rieti.

È finito nella bufera per le sue parole in campagna elettorale, dove sostiene ora Daniele Sinibaldi candidato di Fdi. Nel corso di un comizio, il cui video sta facendo il giro del web, Cicchetti ha scandito queste parole dal palco: “Dobbiamo andare avanti col grido di battaglia che è sempre il solito: ‘Boia chi molla’“. Che notoriamente è un motto utilizzato negli ambienti della destra neofascista italiana dagli anni 70.

Come prevedibile, quella frase ha innescato un’ondata di reazioni sdegnate. Se n’è allontanata anche Fratelli d’Italia che ha ipotizzato un’operazione da fuoco amico compiuta da Cicchetti per azzoppare il candidato sindaco FdI.

Premesso che in democrazia ognuno può avere le opinioni che meglio ritiene ci sono però due considerazioni. La prima: il regime di cui ha nostalgia il sindaco non consentiva di avere questa libertà di opinione; la seconda: la sua giustificazione non sta in piedi: perché Antonio Cicchetti non è uno di primo pelo, è stato tre volte sindaco di Rieti; nemmeno può dire di non sapere cosa ha detto: è stato dirigente del Fronte della Gioventù e poi militante del Msi.

Il giardino di Durigon non gli ha insegnato niente.

BEPPE GRILLO

Non spetta a me entrare in un giudizio di merito sulle scelte del sindaco. Ciò su cui non può esserci alcun dubbio è che oggi il sistema romano si fonda sul deficit impiantistico e questo ha determinato il continuo ricorso al trasferimento dei rifiuti anche fuori dalla regione. L’attuale situazione produce una filiera lunga dei rifiuti. E il sistema dei trasporti è tradizionalmente vulnerabile da parte degli interessi criminali“. Parole di Matteo Piantedosi, prefetto di Roma, in un’intervista al ‘Messaggero’.

È la pietra tombale sui pretesti di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle per dire No al termovalorizzatore di Roma. Anche il prefetto ha confermato il concetto che il presidente di Unindustria Cassino Francesco Borgomeo si sta sgolando a furia di ripeterlo da anni. E cioè: termovalorizzatori e biodigestori non li vuole la camorra perché mettono fine al suo business legato alle ecomafie.

Nei giorni scorsi il leader del M5S ha ribadito il No alla decisione del sindaco Roberto Gualtieri. Ricavandone subito un decimo di punto percentuale nei sondaggi. Con i No il M5S era arrivato al governo del Paese ma Roma si è trovata immersa nei rifiuti, spediti in giro per l’Italia sui camion. Ingrassando la catena camorrista: come aveva detto il prefetto di Frosinone Ignazio Portelli. E come ora ha ribadito il suo collega Matteo Piantedosi.

Non fa ridere.

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