La dottrina Diurni: «Scenari di guerra? Siamo al fronte da due anni»

Due anni infernali per il sistema industriale del Lazio e della Ciociaria. Dal lockdown ai venti di guerra in Ucraina. Cosa cambierà. E come hanno cambiato il nostro mondo produttivo eventi quali Stellantis, caro gas, mobilità sostenibile. La sfida da 144 milioni messa su interamente da industriali

Due anni d’inferno. Durante i quali il sistema industriale della provincia di Frosinone e del Lazio sono passati attraverso ogni possibile piaga. Il lockdown che ha fermato la produzione; la revisione dei meccanismi mondiali della supply chain (cioè dalla sera alla mattina è diventato più prudente produrre i pezzi vicino alla fabbrica che dovrà usarli, anche se costa di più); la scomparsa di Fca per dare vita a Stellantis con la conseguente trasformazione degli equilibri di produzione tra Plant italiani e francesi; la trasformazione epocale dall’Automotive alla Mobilità sostenibile; l’esplosione del costo del gas e di tutte le materie prime; il ritorno della guerra in Europa.

Miriam Diurni è la presidente che gli industriali di Unindustria hanno scelto per guidare fuori dall’inferno il settore territoriale di Frosinone.

Presidente, tranne la pioggia di meteoriti e l’ondata di cavallette, in questi due anni abbiamo visto tutto. O dobbiamo prepararci ad altro?

Oddio, gli asteroidi pure li abbiamo avuti, qualche giorno fa: resterebbero solo le cavallette. E’ stata una escalation. Noi pensavamo di aver visto tutto con la pandemia, una situazione per la quale non avevamo armi, né strategie: eppure alla fine abbiamo avuto una grande capacità di reazione, anche come sistema Frosinone. Ora siamo arrivati ad un nuovo step: quello della guerra. E’ impossibile dire ora che sia finita con le ‘piaghe’ e che abbiamo raggiunto il picco. Allo stesso modo è impossibile dire oggi cosa accadrà dopo, perché di fatto non sappiamo neanche se verremo coinvolti direttamente nella guerra a questo punto.

La guerra in Ucraina ha già portato le ripercussioni sui territori con l’esplosione dei prezzi dell’energie. Inoltre, le sanzioni economiche imposte alla Russia genereranno analoghe ritorsioni economiche nei nostri confronti. Quali sono i nostri comparti più a rischio?

Il problema principale è che questa crisi non va a colpire i settori che erano già in difficoltà. Va ad abbattersi su comparti che erano nel pieno della ripresa, che anzi stavano correndo. Aziende che sono state costrette a fermarsi per poi provare a ripartire, come Saxa Gres. E come lei anche altre realtà energivore da cui riceviamo feedback quotidianamente. Ora, con la guerra, anche altri settori vengono coinvolti: sia per le esportazioni che le importazioni. Abbiamo ad esempio interi container di farina fermi, perché i porti Ucraini sono bloccati, l’intera logistica è saltata. Tirando le somme possiamo dire che Alimentare, Manifattura, Ceramiche, Cartiere e Automotive, sono quei settori che stanno vivendo un momento molto difficile ed incerto.

Sul costo dell’energia siete stati profeti inascoltati: non a caso Unindustria aveva lanciato la provocazione di un termovalorizzatore in ogni area industriale Stellantis a partire da Cassino. Un modo per avvertire che entro breve tempo ci sarebbe stata la situazione che poi si è materializzata. Siamo ancora in tempo per sviluppare una reazione oppure il nostro sistema industriale ne uscirà devastato?

Ci auguriamo di riuscire a mettere in campo azioni che riusciranno quantomeno ad arginare la situazione, anche e soprattutto con l’aiuto del Governo. La realtà però a questo punto va presa di petto, perché quello che noi scontiamo è la totale mancanza di programmazione industriale ed energetica, in tutto il Paese. Renderci conto solo adesso che siamo dipendenti dagli altri per il gas, ci mette in pericolo, perché non è più un problema di produzione o riscaldamento, è un problema di sicurezza nazionale. Eppure gli alert, lanciati anche da Confindustria, c’erano già in passato. E la necessità di programmazione vale anche a livello locale: chiunque abbia un ruolo deve chiedersi cosa può fare per far fronte ad una situazione del genere. Noi sappiamo che ci sono impianti, biodigestori ed anche fotovoltaici, con iter di autorizzazioni in piedi da quattro, cinque anni ed ancora senza risposta. Sarebbe il caso di cominciare a concedere le autorizzazioni. Oppure se questi impianti non si possono realizzare, almeno venga detto “no”, ma venga detto subito.

Avete cambiato il paradigma della Componentistica Auto. C’è uno studio commissionato da Unindustria dietro alla mappa che disegna un indotto ormai affrancato dalla monofornitura Stellantis: oltre la metà delle aziende del nostro indotto lavora in maniera non principale per il colosso automobilistico franco-italiano. Questo quali prospettive porta per il nostro sistema?
Foto © Can Stock Photo / microolga

Mi piace molto questo modo di fare della nostra associazione, che analizza profondamente le questioni prima di agire. Il momento imponeva un’attenzione particolare, il cambio di governance di FCA e la transizione ci ponevano un problema. Per questo abbiamo affidato ad Anfia, l’associazione che riunisce i produttori dell’Automotive, uno studio approfondito per capire cosa è davvero l’indotto Auto nel 2021 e quanto sia cambiato rispetto al passato.

Dall’analisi dell’indotto abbiamo scoperto che il nostro indotto è comnposto in larga parte aziende molto mature, fortemente internazionalizzate, che lavorano con player mondiali. Averle messe tutte intorno ad un tavolo, ci permette di creare un sistema che si potrà presentare al settore automotive a livello globale e lì cercare il business. Rimane il problema Stellantis Cassino che dovrà in qualche modo essere affrontato. Pur non facendo parte della nostra associazione, noi vogliamo essere sempre più un interlocutore per Stellantis e la presenza di queste realtà sul territorio, siamo certi che sarà un incentivo per la casa automobilistica a rimanere qui. Da soli però non possiamo far nulla ed è per questo che dovremo lavorare insieme ad una politica locale in grado di guidare e decidere in questo momento.

Ci siete sempre voi dietro a quel piano che ha raccolto in pochi mesi la disponibilità di 140 milioni di euro per trasformare l’intera filiera produttiva: fino a quel momento, sui tavoli si sentivano concetti copiati dalle riunioni degli anni Ottanta. Vi siete dovuti sostituire alla politica? (Leggi qui Gran Casin(ò) Stellantis: una partita a poker su più tavoli).

Siamo riusciti a far questo quando abbiamo messo le aziende intorno al tavolo, quindi attraverso il dialogo. Questo significa lavorare di sistema, un concetto che troppe volte viene scambiato con l’essere d’accordo su tutto. Sicuramente l’incentivo è stata la crisi del settore: ha fatto in modo che tutti gli interlocutori fossero realmente interessati a costruire una soluzione. In passato ci avevamo provato senza riuscirci, oggi probabilmente c’è la sensazione che quel problema va affrontato insieme. Noi non vogliamo sostituirci a nessuno, i politici però devono scrollarsi di dosso i vecchi schemi, non devono aver paura dei confronti e devono capire il mondo di oggi. Soprattutto però non devono più cercare alibi quando le cose non vengono fatte. Ecco, questo è un problema tutto italiano: si cerca sempre il capro espiatorio quando gli ostacoli non vengono superati, perché poi le cose non si fanno e gli ostacoli restano lì.

Lei ha partecipato al Congresso provinciale della Cisl, ricevendo anche applausi durante il suo intervento e non solo quelli finali che spesso sono per educazione. È il segnale che ci siamo lasciati alle spalle la contrapposizione siamo tornati alla concertazione?

Quello che io sento dire in Confindustria è che c’è una netta differenza nei rapporti sindacali a livello nazionale (dove c’è anche una sfida ideologica) ed i rapporti sindacali a livello locale. I miei rapporti con i sindacati del territorio sono distesi, cortesi ed in alcuni casi, come quello della Cisl, anche di assoluta collaborazione. Gli obiettivi di datori di lavoro e lavoratori sono gli stessi: magari cambia il punto di vista, ma il punto d’incontro si trova, perché il punto al quale si vuole giungere è lo stesso. Ed anche qui torna il confronto, riconoscendo il valore del rispettivo ruolo.

Anagni sta diventando il polo della Logistica. Per alcuni non è vero sviluppo in quanto non c’è manifattura e c’è solo manovalanza. Secondo lei?
(Foto: ELEVATE / PEXELS)

E’ vero che molto spesso la logistica è un settore “mordi e fuggi”, ma anche questo è un settore in evoluzione e si sta specializzando sempre più.

Partiamo da un presupposto però: la logistica va dove c’è produzione e dove ci sono grandi centri nelle vicinanze. Anagni in questo senso è strategica, perché conta grandi realtà produttive e perché vicina a Roma: ma ricordo che fino a dieci anni fa non veniva presa in considerazione, segno che il mondo è in continuo movimento.

Bisogna fare attenzione però, perché questo settore vede rischi di presenze di aziende, molto spesso cooperative, non sempre in regola, che operano accanto ai grandi player. Se bisogna fare un polo logistico, allora sia di eccellenza, fatto di grandi aziende. E ad Anagni sta accadendo questo.

Cassino sta guardando al futuro ed ha attratto il colosso Fincantieri grazie al polo di ricerca e sviluppo dell’Università. Unindustria ha scommesso da anni sulla ricerca.
Il rettorato dell’Unicas

L’Università è fondamentale per tutto il territorio se dialoga con esso e devo dire che l’Unicas ci riesce. Ci è riuscita con il rettore Giovanni Betta e ci sta riuscendo con il suo successore Marco Dell’Isola.

L’Università di Cassino è snella, capace anche di fare autocritica e riconoscere, laddove ci siano, punti di debolezza su cui intervenire.

Molto importanti anche i loro progetti, su cui abbiamo ottimi feedback dalle imprese. E devo dire, per esperienza, che è molto più facile dialogare con una Università come quella di Cassino, piuttosto che con grandi atenei come quelli romani, con cui tempi e modi sono diversi. Noi come Unindustria sosteniamo Unicas ed ogni suo progetto con convinzione

Sora guarda alla Marsica ed alla nuova dorsale Tirreno Adriatico: in Italia non siamo famosi per i tempi di realizzazione delle nostre infrastrutture: Lei ha fiducia?

Quando parliamo di questa infrastruttura con gli imprenditori del sorano, non sono solo d’accordo alla sua realizzazione, ma di più. Io ho aspettato per più di dieci anni il rifacimento della strada Asi ad Anagni, quindi sui tempi è evidente che dobbiamo lavorarci. Io oggi ci voglio credere, ma sottolineo ancora che le cose si fanno se c’è la volontà e se questa viene inserita nell’agenda, andando spediti anche nell’affrontare i problemi. Penso ad esempio ai tanti comitati del “no”, che sono certa nasceranno anche per questa opera. Ma se si ha un obiettivo, bisogna portarlo avanti, con chiarezza e coerenza. Sui tempi quanto sarebbe, tre anni? Probabilmente utopistico, ma voglio crederci.

Noi invece non siamo famosi per i nostri tempi nel rilascio delle autorizzazioni ambientali e gli iter burocratici in genere: qualche anno fa avete dato vita ad un clamoroso tavolo insieme ai sindacati per sollecitare una burocrazia più snella. Quanto è cambiata la situazione?
Il tavolo congiunto Industriali – Sindacati Foto © Rosario Russo

Abbiamo fatto un incontro sul tema molto recentemente. Abbiamo constatato che qualcosa è cambiato, ma poco. Ora stiamo lavorando con Arpa sulla questione dell’area Sin Valle del Sacco per la determinazione dei valori di fondo, (parametri fondamentali in fase di analisi ambientale del terreno).

Ma su autorizzazioni ed iter siamo ancora indietro. Quello che andrebbe normato sono i tempi certi per concludere gli iter, sia positivamente che negativamente. Non possiamo più tergiversare su questo argomento e su questo terreno sono certa che troverei d’accordo anche gli ambientalisti. Perché la questione dei tempi vale su tutto, sulla bonifica della Valle del Sacco come sull’autorizzazione per una qualsiasi attività.

C’è chi la vorrebbe in politica: ne ha tempo e voglia?

No. Non è nelle mie corde. Meglio fronteggiare l’arrivo delle cavallette così siamo al completo.