La svolta sul metano bio passa da Anagni

Il Consiglio Comunale convocato per fare chiarezza sull'impianto per estrarre bio metano green dagli avanzi di cucina prodotti in Ciociaria. Tutti i dubbi. Per una volta c'è chi ci mette la faccia. Anzi, più di uno

Franco Ducato

Conte del Piglio (ma non) in Purezza

Il consiglio comunale aperto che domattina a partire dalle 9.30 si terrà nella Sala della Ragione del comune di Anagni sarà l’occasione per fare chiarezza su una questione molto calda; quella dell’impianto per realizzare il metano bio che Saf intende realizzare sul territorio del comune anagnino.

È l’impianto pubblico che i sindaci della provincia di Frosinone, all’unanimità (tranne un voto), hanno chiesto di realizzare. Lo hanno chiesto al Consiglio d’Amministrazione della loro società: Saf appartiene – in parti uguali – a tutti i Comuni ciociari, a prescindere dal numero di abitanti. È grazie a quella società ed al suo stabilimento di Colfelice che negli ultimi vent’anni sono state evitate tutte le emergenze rifiuti che invece hanno colpito Roma e Napoli.

L’impianto che hanno chiesto di realizzare è quello in grado di interrompere il viaggio in giro per l’Italia fatto dagli avanzi delle cucine ciociare. La maggior parte finisce in Veneto. E lì ci ricavano il metano green. Tenendoselo e scaldandoci le loro scuole o facendoci camminare i loro bus che non inquinano. A noi fanno pagare circa 160 euro a tonnellata, per il disturbo.

Cucina a vista

Lucio Migliorelli

Un progetto che, alla luce anche del parere positivo arrivato dalla Regione Lazio pochi giorni fa, sta accendendo una discussione. Alla quale nessuno intende sottrarsi: è già la prima differenza rispetto al passato. Fino ad oggi, quando si è parlato di impianti simili, c’è stata la corsa a nascondersi dietro paraventi e banchi di nebbia. Invece al consiglio comunale di Anagni ha annunciato la sua presenza Lucio Migliorelli, presidente della Saf. E con lui Francesco Borgomeo, fondatore e presidente del gruppo Saxa Gres che ha una quota di minoranza nel progetto ed ha già dichiarato la sua disponibilità a comprare tutto il gas. Ma anche i rappresentanti del board di A2A Ambiente, il colosso energetico pubblico in mano alle città di Milano e Brescia: anche loro hanno una quota, soprattutto hanno in mano il più moderno know how industriale delle energie pulite.

L’obiettivo della presenza è semplice: cercare di spiegare cosa sia davvero l’impianto di cui si sta parlando. Perché la sensazione è che, almeno per molti, le polemiche arrivino più da un legittimo pregiudizio. Legittimo perché fino ad oggi, buona parte delle persone che hanno toccato questo tema in provincia di Frosinone non ci hanno messo la faccia. Ed hanno lasciato un disastro sul territorio, facendo scempio.

Qui la storia è diversa: chi propone il progetto ha un nome ed un cognome e sono i sindaci della provincia di Frosinone; altrettanto chi può realizzarlo e chi intende acquistare il prodotto.

In questa storia, per capire meglio come stanno le cose, bisogna analizzare tre livelli; quello tecnico, quello del territorio e quello politico

Il livello tecnico

Impianto di biogas Foto: Riccardo Squillantini / Imagoeconomica

Chi critica il biodigestore, lo fa partendo da un punto; la quantità di tonnellate di organico (84.000 all’anno) che dovrebbero essere trattate dal biodigestore anagnino. Una preoccupazione corretta? Le carte approvate dall’assemblea dei sindaci fissano quella quantità facendo una banale addizione: la quantità di avanzi delle cucine che viene raccolta ad oggi, la quantità di erbe falciate dalle cunette e dai parchi (non possono essere bruciate: è inquinante); la percentuale che di aumento prevista con la crescita della differenziata.

La domanda da farsi probabilmente è un’altra; l’impianto soddisfa o no le norme a tutela dell’ambiente? A giudicare da carte, relazioni e documenti, sembra di sì. Anche perché altrimenti la Regione non avrebbe dato il suo assenso al riguardo. Soprattutto in un periodo nel quale il settore è nell’occhio del ciclone, con la lente di investigatori e Procure costantemente puntata.

Ci sono associazioni importanti, come Medici per l’ambiente, che criticano la struttura paventando conseguenze importanti per un ambiente, quello della Valle del Sacco, già provato al riguardo. Vero anche questo. Ma va ricordato che la stessa Legambiente  (non un ente a caso) ha recentemente detto a chiare lettere (scontrandosi proprio con Medici per l’ambiente) che quella dei biodigestori (ovviamente fatti bene, seguendo le regole e tutto il resto) è la strada giusta da seguire per trattare i rifiuti; a meno di non voler tornare a discariche e simili.

Quindi è su questo, sull’aspetto tecnico, che ci si dovrebbe concentrare. Accertando poi però, se ci sono, i dati al riguardo. È, in sintesi, la posizione del sindaco Daniele Natalia, che sul biodigestore ha sempre detto che, se tutto è a posto in tema di rispetto per l’ambiente, non si vede perché so dovrebbe rinunciare ad un’opportunità.

Il territorio

Ignazio Portelli (Foto: Rocco Pettini / Imagoeconomica)

C’è chi dice che una struttura del genere potrebbe aprire la strada a contaminazioni pericolose, ad infiltrazioni pesanti per il territorio. Paure legittime: sono tanti i casi simili che hanno riguardato le imprese impegnate nel settore Ambiente.

Va tenuto conto del fatto che tra i partner del progetto ci sono tutte le amministrazioni comunali. E che c’è il controllo del Prefetto, che fa da garanzia contro ogni possibile permeabilità. Un impianto pubblico è la massima garanzia contro la possibile infiltrazione di interessi illeciti. Come hanno dimostrato le recenti interdittive antimafia firmate dal Palazzo di Governo a Frosinone.

Anche qui, facciamo a capirci; non si tratta di un singolo privato, ma di un gruppo in cui, appunto, la maggioranza è nelle mani dei Comuni. Che hanno tutto l’interesse ad evitare , nel proprio territorio, coinvolgimenti strani.

Il livello politico

Questo, forse, è l’aspetto più delicato. A nessuno è sfuggito che il Pd ad Anagni sul tema ha avuto, finora una linea ambigua. Di fatto assente. E quando è stato presente, lo ha fatto viaggiando all’unisono  con Casapound per chiedere un consiglio aperto. Il Pd di Anagni è ( o dovrebbe essere) lo stesso Pd di Lucio Migliorelli. E sono tanti gli amministratori del Pd che in provincia hanno dato la loro adesione al progetto. Perché in città no?

La sensazione è che su questa, come su altre questioni, si stia conducendo una guerra tra correnti. Come ce ne sono state tante. Tutto legittimo. Un po’ meno se poi la guerra politica interna al Pd diventa alibi per condannare il territorio.

Bene ripeterlo; se le critiche all’impianto ci, sono, sono legittime e fondate, allora va bene. Se no, se si tratta della versione locale del NIMBY («Not In My Back Yard» ovvero “Non nel mio cortile sul retro“; un modo per dire fate quello che vi pare ma non a casa mia). Allora va meno bene.