Lo strano caso della “Lega dem”, il centauro fantasy ma non troppo

Ci sono posti come Cassino dove sono avversari fierissimi e temi nazionali su cui Carroccio e Nazareno sembrano "convergere". Ma è solo una strategia anti Schlein ed anti Meloni

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Certo, in linea di principio polarizzato, o in posti come Cassino ed in cento altri, dove per le amministrative 2024 sono fierissimamente contrapposti, quella cosa in modalità “’o famo strano” tra Pd e Lega non vale. Lì semmai, all’ombra dell’abazia, certi ambienti vicini al Carroccio contestano ai cugini in comando di Fratelli d’Italia di essersi messi in comparaggio strategico con il “nemico” dem. E lo fanno anche al netto delle strategie europee per cui Elly Schlein, giunta nella Città martire, ha riservato quasi almeno altrettante critiche a Giorgia Meloni di quante lodi abbia fatto ad Enzo Salera.

Dove si starebbe sostanziando quest’asse senza amore ma con utility nette tra il Pd e i Fratelli? Non a Cassino, dove semmai Via della Scrofa ha giocato per settimane a far credere di volersela giocare in solitudine per isolare la Lega di Mario Abbruzzese e Pasquale Ciacciarelli. Poi una volta ribadito il proprio ruolo ha aperto il canale del dialogo che potrebbe portare ad una soluzione unitaria. No, la liaison strategica c’era stata alla Saf, dove i buoni uffici di Sara Battisti per una soluzione collegiale e di interesse settato tutto sulla mission invece che sul manuale Cencelli hanno tenuto Lucio Migliorelli in cockpit. Questo con il placet della cordata che aveva messo Fabio De Angelis alla presidenza. E poi ha fatto entrare in cabina di pilotaggio Mauro Buschini.

A Cassino tutto chiaro: la preda di Fdi è Mario

Nicola Ottaviani

Lì, a via Ortella, la Lega si era immolata sull’altare dell’isolazionismo made in Nicola Ottaviani, che dà le carte ma a volte su tavoli da cui le fiches rotolano a terra. Insomma, il senso è che ci sono ambiti di concetto e di certo non “contrattualizzati”, sia chiaro. Ambiti per i quali a volte si creano temi, mosse e contesti trasversali. Contesti di sola analisi cioè, in cui destracentro e centrosinistra invece di darsele si guardano come tedeschi e franco scozzesi nel film Joyeux Noel sulla Vigilia di guerra del 1914. Ed anche se Natale è passato e siamo ormai in campagna elettorale per le Europee c’è un incontestabile punto di “struscio” tra la Lega di Matteo Salvini ed il Pd.

Anzi, un certo Pd, non certo quello che fa capo e magnete su Elly Schlein. Spieghiamola partendo dal collante: la giustizia, o meglio, l’abuso d’ufficio e i colpi di lima sulla Legge Severino. Il preambolo è noto e se Palazzo Chigi fosse come i Simpson oggi c’è un Carlo Nordio-Montgomery Burns che ha abbaiato: “Smithers, sciogli i sindaci”. E che i sindaci, moltissimi dei quali dem, siano ormai felici di deporre la croce per cui decidere potrebbe equivalere a passare un guaio è cosa palese assai. Non tutti, ma abbastanza per trovare il primo punto di convergenza “forzosa” tra il Nazareno ed il Carroccio.

“Smithers: sciogli i sindaci”

Luca Zaia

A traino di quello ci sono altri cardini o punti di tangenza, ma l’origine ed il perno è tutto in punto di Diritto. Ci sono infatti visioni comuni sull’abolizione del limite di mandati per gli amministratori locali e su un differente criterio di applicazione della legge Severino. Ma cosa significa nel concreto una faccenda del genere ed al netto della pignola rilevazione di terreni comuni da percorrere tra due partiti così agli antipodi? Partiti che hanno corso “insieme” solo sotto l’egida da casermaggio di Mario Draghi? Gli elementi principali sono due, entrambi facenti capo alla natura composita del Pd. Mai composita come in questi giorni in cui una dem ha votato contro il fine vita a trazione “eretica” di Luca Zaia ed è stata esautorata da ruolo politico.

Innanzitutto va rilevato il dato politico interno, quello per cui cioè sono i militanti Pd non allineati alla linea di Elly Schlein a convergere solo idealmente ma indiscutibilmente con alcune linee guida leghiste. Che significa? Che al di là della dicotomia sindaci-iscritti ben incarnata da un Matteo Ricci felice per la scomparsa dell’abuso d’ufficio c’è una “fronda forte” di dem. Una componente prog che tiene duro su posizioni meno massimaliste ed etiche.

Ricci, mezzo primo cittadino e mezzo dem

Matteo Ricci (Foto: Marco Cremonesi © Imagoeconomica)

Posizioni tra le quali spicca, appunto, quella rigorista che vede nell’abuso d’ufficio un freno al crimine ed un marker di reati connessi, non un intoppo all’esercizio amministrativo. Ma non finisce qui: il dato che ci consegna l’attuale condotta a due binari del Pd è quello per cui non è più solo stagione di divergenze fisiologiche. No, è iniziata la stagione dei segnali di insofferenza verso la segretaria scelta alle primarie di marzo 2023 dai non iscritti. E dove quei segnali trovano un’occasione di epifania essi vengono lanciati ormai a bordata secca e forte.

Ricci è coordinatore uscente di tutti i sindaci dem, quindi è uomo di Municipio ed uomo di partito al contempo. E per lui, secondo Il Foglio, “l’applicazione del principio per cui si decade come amministratori solo dopo una sentenza definitiva è ‘una misura che dovrebbe piacere a tutti. Tutti coloro che credono nella giustizia e nello stato di diritto. Sono tantissimi i casi degli amministratori condannati in primo grado per reati minori, poi assolti in appello o Cassazione, e nel frattempo decaduti’”.

Severino mal comune: ma senza lasciare tracce

E sulla Severino? Ecco, lì la Lega aveva presentato un emendamento al Ddl Nordio. Lo scopo era mettere primi cittadini e parlamentari sullo stesso piano di intervento. Cioè? Sul fatto che entrambi andrebbero sospesi solo dopo un dibattimento di primo grado sfavorevole. Lì la crasi Carroccio-dem non c’è stata ma solo per questioni di pelosità. Lo aveva già spiegato dalla Commissione Giustizia il senatore del Pd Walter Verini: “Siamo d’accordo sul togliere la sospensione dopo il primo grado, eccezion fatta per reati associativi (come mafia e concussione). Ma l’odg della maggioranza non faceva distinzioni e per questo abbiamo votato contro. Ne presenteremo uno nostro in tal senso”.

Che significa? Che in linea di principio la botta di pialla alla Procedura piace anche al Pd, o ad un certo Pd, ma che c’è anche la necessità di non lasciare troppe impronte digitali su una promiscuità che alle Europee potrebbe far danno. Ed avvantaggiare indirettamente proprio Giorgia Meloni, che ha nemici sia interni della Lega che esterni al Nazareno. E che potrebbe essere la classica tizia terza che gode tra i due litiganti.

Tra i due litiganti… se la gode Giorgia

Giorgia Meloni

Litiganti che però non hanno litigato affatto, ad esempio, sull’abolizione del limite dei mandati. Per entrambi i partiti lo stesso era disincentivante e castrerebbe la continuità amministrativa. Era stato ancora Ricci ad intervenire con l’aria sornione del tecnico in purezza che guarda caso è anche un bonacciniano di ferro. “In Europa i sindaci non hanno limiti di mandato, tranne in Portogallo. E’ora di a“, L’appello era ad “adeguarci agli altri paesi europei e bisogna farlo presto perché il 9 giugno si voterà in 4.500 comuni italiani”. Detto fatto, il governo ha avallato i tre mandati ma ha affondato le velleità leghiste su una svolta omologa per i governatori.

Addirittura il Presidente della Regione Toscana Eugenio Giani aveva invocato anche l’avallo della segretaria, tirandola forte per la giacchetta. “Anche Schlein è d’accordo”.

L’ombra di Bonaccini che porta a Salvini

Poi aveva innestato una mezza retromarcia: “Sì, ma non ho partecipato a specifiche riunioni della segreteria su questo tema”. C’è un sunto e non è sunto sistemico, ci mancherebbe. Il pregio dell’analisi è di poter mettere in griglia anche la scienza di Asimov, salvo poi prenderci ed accorgersi che era roba da Newton.

Matteo Salvini all’Ergife

E sul tema pace? Schlein ha fatto una mezza retromarcia sull’Ucraina ma uno scatto in avanti sul Medio Oriente la cui mozione sarà discussa a fine febbraio. Questo mentre la Lega con Massimiliano Romeo ha ritirato fuori in salsa elettorale europea la vecchia briscola delle trattative necessarie come non mai. Roba che il M5s ha battuto le mani come ai tempi del governo gialloverde.

Però quello che quel sunto suggerisce è abbastanza evidente: nel Pd essere contro Elly Schlein ormai passa anche per “stare un pochettino” con Matteo Salvini. E con il voto per Bruxelles in vista, anche al netto di un accostamento che non è strategico, non è affatto un segnale confortante. Perché magari, da qualunque parte della “fantasiosa combo” la si guardi, anche al funzionalismo c’è un limite.