Più simpatizzanti ma meno tesserati: FdI si allarga ma si “annacqua”

Cosa potrebbe esserci dietro la strategia di Arianna Meloni di prorogare le adesioni di due settimane e perché sta accadendo ora

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

I numeri sono quelli che riporta Il Foglio e riguardano “solo” Roma. Cioè la città più grande d’Italia, la Capitale della Repubblica e soprattutto capitale italiana della destra che oggi governa il paese. Quindi se da un lato non sono campione se non di una realtà pur metropolitana e gigante, sono comunque dati che potrebbero indicare un trend, a considerare il ruolo di icona di quella realtà.

E sono numeri approssimativi perché, come spiega il media di Giuliano Ferrara, sono “coperti dal segreto di Stato”. Nel 2023 e fino a questo mese che introduce il trimestre finale dell’anno di governo Meloni ci sarebbero stati 4-5mila iscritti a FdI rispetto ai 12mila dell’anno precedente. Pochi hanno rinnovato e pochissimi hanno fatto la tessera ex novo.

E’ roba miserella e soprattutto è roba che induce ad un’analisi di ciò che sta accadendo – questo non in ipotesi – nel primo Partito italiano.

Rewind: cosa è accaduto dal 25 settembre

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni in occasione della cerimonia del giuramento del governo

Il 25 settembre del 2022 l’alleanza di destra centro vince le elezioni politiche e il Partito di Giorgia Meloni stravince le elezioni all’interno di quelle elezioni.

Giorgia Meloni diventa la prima leader di destra in purezza di sempre, lo fa sull’onda di un consenso che prende due rotte di abbrivio. La prima è quella del fisiologico “sfogo” di un sovranismo coltivato negli elettori con anni di opposizione e di leit-motiv “forti”. La seconda è quella di un astensionsmo diffuso soprattutto nel centro sinistra. Una stanca che mette fuori gioco ogni velleità di antagonismo prima ancora che si vada a votare. Da allora, da quando Meloni suona ridendo ed un po’ allocchita la campanellina che le consegna Mario Draghi, è tutta una marea tricolore.

I sondaggi continuano a restituire un’immagine di Fratelli d’Italia che segna percentuali da Potere Assoluto. I partiti alleati di Lega e Forza Italia si dividono le briciole del gradimento e quel che era cominciato nella storica sezione romana di Colle Oppio si trasforma in una Grande Narrazione della Destra che Vince e Convince. E che per la prima volta ambisce a scrivere la storia repubblicana invece di riscriverla.

Il potere che stavolta logora chi ce l’ha

Foto Malavolta © Imagoeconomica

Ma come accade in tutte le favole c’è il Cattivo in agguato. E per Giorgia Meloni esso ha le sembianze del fardello del potere. Qui il mantra andreottiano, uno che assieme al suo Partito mediava per genetica, va sovvertito. Quel fardello non è l’orpello dell’opporsi comodamente ad esso, al potere, ma il piombo greve di esercitarlo tra le mille contraddizioni e mediazioni che averlo comporta.

La leader diventa premier e come Italiana Ottima Massima inizia a smentire la più parte delle cose che l’avevano messa al centro della mistica con cui aveva vinto. Niente più “Europa matrigna” ma Bruxelles mon amour, basta con il blocco navale e vai con la razionalizzazione di ciò che prima era solo radicalismo da slogan sui migranti.

E ancora: ciao ciao abolizione delle accise sui carburanti e vai con le manovre economiche “corte” con cui ci sono più scontenti che accontentati. Confindustria spia, i sindacati guatano e le misure social non compensano l’onere di aver resettato il RdC. Insomma, senza cadere nel loop dell’elenco nero, la Meloni ha perso grip identitario su una base che per parte robusta si aspettava una rappresentanza più maninchea una volta giunta nella stanza dei bottoni. E qualcuno inizia a vedere quella come una stanza dei “bottini”, legittimi ma di casta, la solita ma con cromatismi diversi.

La base “tradita” che borbotta e cova

Ed oggi quella base non ulula ancora, ma di certo borbotta, e lo fa sapere. Prima delle Elezioni regionali vinte da Francesco Rocca accade una cosa molto importante che dà la cifra di quel che bolliva in calderone da mesi. Qual è il fenomeno? E’ quello per cui se da un lato il Fratelli d’Italia mainstream continua a crescere nel gradimento degli italiani presi a campione, cala il suo omologo “in purezza”, quello degli iscritti, dei nostalgici e degli sherpa che portavano il fardello di una linea scomoda e rude.

E lo fa di brutto man mano che ciò che squaderna l’esecutivo assume sempre più le sembianze di un libro mastro del conservatorismo moderato, più alla Ppe che alla Ecr e che non disdegna quadriglie bancarie con la socialdemocrazia francese. Soprattutto a Roma, dove toni, volume e viraggio della destra sono storicamente più accentuati, l’aria si fa freddina. E dove prima Meloni poteva trovare la sua casa primigenia, quella del “coatto antico” cantato dagli Aurora tra Garbatella e gli uffici di Silvano Moffa, all’improvviso era sorto un freddo condominio di vecchi amici.

Un po’ come quando il migliore di noi fa fortuna e quando torna non si ricorda neanche più come si spara un pallone addosso alla vetrina della pasticciera del quartiere. Quelli con cui prima spaccavi un panino a metà adesso ti vedono con tutta la pagnotta in mano e “rosicano”.

Via Milani, dentro Donzelli, e Rampelli “rosica”

Fabio Rampelli (Foto: Marco Ponzianelli © Imagoeconomica)

Ecco, quella delusione sottocutanea diventa parzialmente affiorante quando Giorgia Meloni commissaria la federazione romana e silura il capataz capitolino Massimo Milani, sostituendolo con il suo pretoriano Giovanni Donzelli. Milani è uomo sotto l’ala di Fabio Rampelli, già fondatore dei “Gabbiani” ed ex mentore della Meloni che fu. Rampelli è quanto di più vicino possa esserci in un partito settato per non avere scontenti ad un generale che scontento lo è e come. Non ancora golpista ma già malpancista attivo.

Tanto attivo che una serie di iniziative autonome portano il vice presidente vicario della Camera ad uscire dal cerchio magico della leader di FdI. In quel momento e da allora si innescano due questioni delicatissime.

Sono l’emorragia di tessere che in vista delle Elezioni Europee rischia di far tonfare il primo partito italiano nel sottile gioco del proporzionale Ue. Poi quella stessa emorragia che per converso potrebbe far emergere la corrente di Rampelli più di quanto non sia lecito in vista del Congresso romano. Per la Meloni sarebbe fiele puro. Perché a quel punto si troverebbe logorata come premier dopo un anno e mezzo di governo e braccata come leader politico dopo che con quel governo ha grattato via lustrini all’identitarismo di destra.

“Arià pensace te”, e scrivi i regolamenti

Arianna Meloni alle spalle della sorella Giorgia (Foto: Andrea Panegrossi © Imagoeconomica)

L’uovo di Colombo è stato quello incarnato dalla scelta “familiare” (e non familista) della premier: mettere la sorella Arianna a capo della segreteria politica di FdI. Scelta che non ha avuto nulla a che vedere con quella del tetragono cognato Francesco Lollobrigida, peraltro avvenuta ex ante. Con Arianna nella sala di controllo del Partito Meloni ha cercato di riprendersi qualcosa e di arginare qualcos’altro. In mood fiduciario assoluto, perché il sangue tuo non tradisce e fa le cose meglio di qualunque colonnello esterno.

Da Via della Scrofa fanno sapere al Foglio che “il tesseramento di norma scade il 31 dicembre. Quest’anno è stato anticipato a settembre per i Congressi, ma avendo Roma tanti iscritti c’era il rischio che non tutti riuscissero a rinnovare la tessera. Che significa? Che quello che avrebbe dovuto aver fine ieri è stato prorogato al 16 ottobre, cioè ci sono ancora due settimane per fare la tessera e provare a far salire quelle quote meste su Roma.

E c’è tempo utile per manovrare con adesioni-puntello fino ad assicurarsi la maggioranza dei tesserati per il conclave romano. Per quella circostanza le voci sulla sfida tra due candidati sono insistenti: dovrebbero giocarsela, ma il borsino è dinamico, il meloniano in purezza Marco Perissa ed un uomo di Rampelli, anzi, una donna: la “gabbiana” Lavinia Mennuni.

Lo scontro tra i duri e quelli come Fabio Tagliaferri

Quello che si profila dunque è uno scontro tra i duri e puri con l’iconografia del vecchio Mis ben stampata in capoccia e i miglioristi che fanno capo alla destra un po’ bolsa e parvenu, ma molto più efficace: quella della “capa”. E’ quella destra che in provincia di Frosinone ha espresso Fabio Tagliaferri, conducator bianco della difficile missione di far quadrare in regime di commissariamento deciso proprio da Arianna Meloni i conti politici in piazze difficili. Posti ostici come Alatri e soprattutto Cassino. Cioè dove il primato dei Partiti, anzi, di un Partito, deve restare inalterato anche a contare la necessità di concorrere in amministrative dove serve allargare gli ambiti, se si vuole vincere con gente come Enzo Salera.

Non si hanno ancora notizie dei regolamenti del vari congressi locali e della stesura degli stessi, con un canovaccio-madre. Se ne starebbe occupando proprio Arianna Meloni in queste settimane ottobrine. Lo scenario è quello ovvio, con un libro mastro che potrebbe contenere regole di ingaggio tali da contenere blitz dei rampelliani tali e talmente settati da mettere in discussione la leadership politica dei nuovi “fratelli”.

Di loro e di chi con loro sta provando a farsi un nuovo guardaroba. Meno tetro e meno fluo, con più ante e tante stampelle. Tante quante ne servono alla Meloni di oggi per superare ciò che resta e cova della Meloni di ieri. E senza pagare pegno in numeri.