“Sensei” Rampelli, l’ex allieva Giorgia e il tatuaggio di Chiara

Cosa c'è dietro l'ennesima levata di scudi dei "Gabbiani" e perché Fratelli d'Italia ha la spina di un "nuovo correntismo"

Piero Cima-Sognai

Ne elegantia abutere

Non è uno strappo, piuttosto si dovrebbe parlare di un progressivo logoramento della linea di sutura, con qualche punto in cui inequivocabilmente è saltata la cucitura. Ed è saltata volontariamente. Storie di sensei, di ex maestri ed ex allieve. Storie di Colle Oppio e della Generazione Atreju nella cui broda mistica crebbe allevata un’intera generazione dei quadri di oggi.

Soprattutto storie di Fratelli d’Italia che non è in crisi correntizia improvvisa, ma che al suo interno aveva già prima le sue correnti, solo che adesso è diverso. Adesso a Giorgia Meloni tocca l’onore di decidere cose di Partito da uno scranno che di Partito non è.

L’ultima briscola di “dissidenza” di Fabio

Fabio Rampelli (Foto: Imagoeconomica / Benvegnu’ Guaitoli)

E allora il correntismo velato di ieri è diventato correntismo sfacciato, anche se in singolarità, di oggi. Con Fabio Rampelli che cala l’ennesima briscola di dissidenza contro colei che fu la sua pupilla e che a suo avviso non si è ricordata di lui.

Di lui e dei suoi Gabbiani, che volano da molto più tempo di quanto la vernice media non abbia fatto intendere. Cerchiamo di capire, ma per capire bisogna partire dall’ultimo episodio e poi metterne in fila altri, per dare un timing e per disegnare lo scenario.

Partiamo da Arianna Meloni. E’ sorella della premier, è la compagna di vita di Francesco Lollobrigida ed è skillatissima nel Partito da sempre. Solo che come accade sempre in un’Italia in predicato di letteratura nepotista a tutti i costi questa ultima caratteristica soccombe rispetto alle prime due. Giorgia Meloni ha chiamato sua sorella a coordinare la Segreteria Nazionale di FdI per avere un canale sicuro con cui equalizzare Via della Scrofa e Palazzo Chigi.

Il dilemma di Giorgia tra partito e governo

Giorgia Meloni

Il dilemma della presidente del Consiglio è noto e dire di averle fatto tana significa cedere alla vanagloria dei grulli. Meloni (Giorgia) è sempre in predicato, bilico e procinto di essere capo di un governo senza dover rinunciare ad essere “capa” di un Partito. E nel suo caso mettere a sistema le due cose è difficile davvero. Perché il governo è fatto di una destra declinata in tre e più forme e il Partito è fatto di una destra che conosce solo due binari di flessione. Sono la destra sociale, coatta, antica, gloriosa e poco gestibile. E quella liberal, fighetta, un po’ parvenu, meno gloriosa e più ammiccante alla mistica arcoriana del fu Cav.

Nel tempo Fabio Rampelli, che oggi è vice presidente della Camera, ha maturato due convinzioni: di essere un mentore messo in bacheca e di doversi rivalere di quell’accantonamento progressivo. Perciò in questi giorni Rampelli ha sopportato la nomina di Arianna Meloni come si sopporterebbe un’ortica nei boxer ed ha chiesto conto di un congresso chiarificatore. Il calderone primevo è quello di Azione Giovani, la Cape Canaveral di Giorgia Meloni.

Ex puledri di razza

Paolo Pulciani (Foto © Stefano Strani)

Dal Fronte della Gioventù si era auto-germinata questa costola di pungolo “young” che era diventata la coscienza critica dell’allora Alleanza Nazionale. E lì dentro peppiava il fior fiore della destra sociale, con puledri del calibro di Massimo Ruspandini e Nicola Procaccini, l’uno a Ceccano e l’altro a Terracina; intelligenze differenti per uno stesso cuore di destra.

C’erano una mistica, una rotta ed una geografia figlia dei vecchi Campi Hobbit, quelli a cui dalla Ciociaria andavano colui che poi diventò vicesindaco di Frosinone Fulvio De Santis; e Paolo Pulciani che diventò avvocato ed oggi è deputato di FdI; come pure Franco Carfagna, che siede nei banchi della maggioranza che governa il Comune capoluogo. O Angela Abbatecola attuale portavoce da Cassino. Città da dove partecipava in paleodestra anche Pino Canessa: giurano fosse Rautiano ma andasse lo stesso perché così ai congressi poteva fare a botte per sfogarsi un po .

Era la geografia di Colle Oppio e dei “Gabbiani”. La quota partito di Fabio Rampelli era il mestolo di quel calderone e Rampelli stesso era la guida di Giorgia Meloni. Lui era quello a cui telefonare la notte per sapere cosa fare a Sommacampagna, magari con le canzoni dei 270 bis sparate nello stereo dell’auto in cimento da pentagramma del dimissionario Marcello De Angelis. (Leggi qui: Regione, il responsabile della comunicazione De Angelis si dimette).

Poi Meloni era diventata premier ed aveva dovuto giocare su un’altra scacchiera, quella in cui non c’è tempo per ricordarsi dei vecchi saggi e le pedine devono essere tutte settate sulla casella strategica del momento.

Caro maestro ti commissario i Gabbiani

Memoria e cinismo non vanno mai d’accordo. Succede, quando le tue faccende non sono più quella di segreteria romana ma diventano quelle dell’Occidente. A quel punto qualcosa si era rotto. E a gennaio la “capa” di Fdi aveva commissariato i Gabbiani del suo ex sensei.

Fabrizio Ghera (Foto: Sara Minelli © Imagoeconomica)

Come? Sostituendo il fedelissimo di Rampelli Massimo Milani con un suo sherpa, Giovanni Donzelli. Non era piaciuta alla premier la mossa di provare a caldeggiare la candidatura alle Regionali di Fabrizio Ghera e Marika Rotondi. E a Meloni non era piaciuto il mood di quella sponsorizzazione che era stata presentata come iniziativa di Partito mentreera solo una iniziativa dei Gabbiani. Il problema stava nel fatto che per il partito tutti i candidati sono uguali, non ce ne sono alcuni più uguali degli altri.

Le Regionali erano il vero, primo nodo e non solo per sfumature di casella. Per molti giorni il nome di Rampelli era circolato come candidato sfidante di Alessio D’Amato, poi Meloni aveva fatto la premier ed aveva scelto Francesco Rocca, che aveva vinto.

Fu un piccolo capolavoro tattico, perché Rocca non era organico alla militanza in FdI pur essendo un conservatore ed ex pasdaran del Fronte della Gioventù. Perciò se avesse perso contro un centrosinistra che nel Lazio è da sempre forte non ci sarebbero state impronte digitali politiche sulla sconfitta.

Se invece avesse vinto come poi è accaduto le Meloni si sarebbe potuta fregiare del cordoncino di talent-scout, di segugia che fiuta l’aria.

Rocca pigliatutto e Rampelli a secco

Chiara Colosimo (Foto: Carlo Lannutti © Imagoeconomica)

Solo che tutto questo accadde a discapito di Rampelli, che aveva iniziato a covare il malumore di un Kit Carson che Tex aveva messo a fare la guida turistica durante la stagione degli amori dei coyote. Poi c’era stato il caso Colosimo. Nel tempo la liturgia della spada sulla spalla di Meloni aveva seguito non più la naturale linea del Partito. E le sue investiture, a volte anche di tigna, erano state più “personali” che figlie di graduatorie di “cavalierato”.

La numero uno di Palazzo Chigi ci teneva (e ci tiene, come tutti i potenti che devono gestore il potere) a circondarsi di un cerchio magico fiduciario alla sua visione e non agli orizzonti ampi del Partito. Perciò invece di premiare gli sherpa, Meloni aveva cominciato a blasonare i climbers della sua personale cordata.

Chiara Colosimo era diventata presidente della Commissione Antimafia e Rampelli, che puntava tutto su Carolina Varchi, aveva dovuto di nuovo masticare fiele. Tanto di quel fiele che l’ex sensei aveva apparecchiato il secondo “sgarro”.

L’evento anti mafia senza la Colosimo

Fabio Rampelli

E a fine maggio, nel presentare a Montecitorio l’associazione “Contra-contro tutte le mafie”, non aveva invitato la Colosimo che lì era Cacio Supremo sui maccheroni. Ancora una volta la cosa era stata presentata come un’iniziativa del Partito, con Meloni impegnata in Tunisia, ed ancora una volta quella era solo un’iniziativa dei Gabbiani. E la risposta di Colosimo arrivò indirettamente. Secondo una vulgata arrivò su un tatuaggio.

Quale tatuaggio? Quello piccolino a forma proprio di gabbiamo che la presidente Antimafia aveva su un dito. La Colosimo se lo fece cancellare dopo esserselo fatto fare a 17 anni. E irrobustì la sua vicinanza con Arianna Meloni, già allora non la sorella di ed in pole per metterlo in chiaro a tutti.

E già allora casus belli per far alzare i Gabbiani a stormo intorno al vaso di Pandora che l’ex pupilla di Fabio Rampelli stava aprendo nel gestire un potere a volte più grande di lei. E da cui stava scatenando una frotta di “cacciatori” pronti ad impallinare ogni volatile che non avesse rotta e piumaggio approvati.

“Impallinate chi non vola con me”

Foto: Benvegnu’ Guaitoli / Imagoeconomica

Roba di trame e di forze in campo, roba di gocce che il vaso lo fanno traboccare. Con Rampelli che vede intorno a sé un 50% di Fratelli sodali ed un 50% di Fratelli coltelli. Solo che quella seconda metà oggi pesa di più.

Il limite di Fratelli d’Italia è non essere forza di governo. Che ora dovrà affrontare il suo primo contraccolpo legato alla Finanziaria. Nella quale le promesse fatte non ci saranno perchè i soldi non ci sono. Non ci saranno. Non possono esserci in un Paese basato sul debito e che a tutti nello scenario europeo conviene tenere così. Perché questo è un Paese di risparmiatori, che mette da parte per mangiare il gelato nel fine settimana, portare la morosa a mangiare la pizza, pagare i mattoni e la calce a fine mese ed impastare i muri della stanza abusiva per i figli durante la settimana

E con Gorgia Meloni che sta messa un po’ come quando a Papa Giovanni XXIII un cronista chiese quante persone lavorassero in Vaticano. Il Pontefice, che era buono ma anche agro come tutti i veneti, rispose: “La metà”. Perché l’altra si limitava a vivere d’inerzia. O a complottare.