L'indagine su von der Leyen che "avvelena i pozzi" nell'imminenza del voto europeo e le possibili implicazioni per i due candidati nostrani. Da evitare ma non per sempre.
Albert Bourla è tra gli uomini che con le loro decisioni incidono sul Distretto Chimico Farmaceutico del Lazio. È quel triangolo che si estende tra il sud della provincia di Roma, il nord della provincia di Frosinone, la provincia di Latina. Per capire quanto sia importante quel triangolo: tra i boss di Big Pharma non tutti sanno indicare sulla cartina d’Europa dove sia con precisione Roma. Ma con certezza sanno dov’è il distretto che ha come capitali Aprilia, Latina, Anagni, Ferentino, Pomezia. Perché?
Lì nascono molti dei loro farmaci. O vengono solo ‘confezionati‘ come nel caso di Catalent ad Anagni, capace di infialare, blisterare, confezionare in sicurezza ogni tipo di medicinale. Divenne una delle Capitali della lotta alla pandemia nei giorni del Covid: da lì uscirono milioni e milioni di confezioni del primo vaccino Astrazeneca. Anche per questo venne scelto di ampliare il sito anagnino. Ed affiancargli un centro di ricerca da 100 milioni di euro ed un centinaio di assunzioni.
Se ne fece più nulla grazie ad uno dei mali atavici italiani che in provincia di Frosinone sono più tiranni che mai. La burocrazia lenta rese il rilascio delle autorizzazioni un vero calvario, talmente in conflitto con la mission del gruppo che alla fine chi doveva investire migrò nel Regno Unito. E fece perdere alla Ciociaria quei cento di posti di lavoro di alta professionalità.
Burocrazia ed occasioni mancate
Storia vecchia ma non cassata, quella dell’imprenditoria frusinate che lotta con le pastoie delle scartoffie alle caviglie. Storia che allora fece fare retromarcia ad aziende che si erano messe in scia alla strategia di Albert Bourla, grande boss di Pfizer. Quelli erano anche tempi in cui Bourla doveva giocoforza interfacciarsi con i leader mondiali per mettere a terra strategie sulla campagna vaccinale, e sono esattamente i tempi che oggi tornano in spunta. Tornano non per fronteggiare il Covid che le ha prese, ma per fare chiarezza in punto di Diritto. E, come effetto collaterale, per dare uno scossone forte alle imminenti elezioni Europee di giugno.
Inquadriamo la faccenda per cardini generali. Bourla è sotto indagine dell’Eppo, la Procura Ue, per presunti illeciti penali messi in atto in ordine ai negoziati sui vaccini. Con chi? Con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, che oggi è candidata ad un bis per il Ppe. Le verifiche sulla governance Ue non sono una novità e von der Leyen era stata già attenzionata per la presunta mancata trasparenza di quelle operazioni.
Due novità: procedurale e politica
Le novità perciò sono due: la prima è procedurale, con la presa in carico da parte della Procura Ue del fascicolo. La seconda invece è politica, con l’esplosione di un caso giudiziario che arriva giusto giusto a cuocersi in graticola un’autorevole esponente dei liberal-moderati europei in chiave elettorale. E qui scatta il paradosso, quello per cui le destre sovraniste vivono al massimo della tridimensionalità la loro doppia e contradditoria natura.
Quella di formazioni politiche che in epoca Covid non furono mai troppo amiche delle campagne vaccinali. Poi quella, ossimora assai, di formazioni che in più occasioni hanno fatto e fanno del garantismo ad oltranza un vessillo tenace e insindacabile. Da noi lo dimostrano i casi Montaruli, Santanché e Delmastro, tanto per citarne alcuni. Ma con i casi Bibbiano, Soumahoro, Decaro-Emiliano e Piemonte a fare da contraltare. Storia vecchia, questa, storia tutta italiana in cui tranne rare eccezioni si è garantisti per lo più con i propri e manettari sornioni con gli altri.
Chi lo dice? Il presidente gruppo Id Marco Zanni e Marco Campomenosi, capo delegazione Lega in Parlamento europeo. Insomma, le impronte digitali – ovvie – di Matteo Salvini sono nettissime. E puntano a vanficare il secondo mandato Ursula con lo strumento dell’azione penale esercitata da Eppo.
La manina che avvelena i pozzi
Non ci sono accuse formali, solo il passaggio dalla procura belga a quella comunitaria. Questo per “interferenza nelle funzioni pubbliche, distruzione di Sms (quelli famosi con Bourla – ndr), corruzione e conflitto di interessi”.
Il sospetto dunque è quello di una manina che vuole avvelenare i pozzi delle Europee. Di quella e di una destra partitiva italiana che vuole ridimensionare i sogni elettorali di Antonio Tajani.
Segretario di una rinvigorita assai Forza Italia che per le Europee in Italia centrale schiera la cassinate Rossella Chiusaroli. Sull’altro fronte, quello della Lega che cavalca il caso Von der Leyen, la città dell’Abazia ha messo in campo Mario Abbruzzese. Perciò anche al netto di temi elettorali molto più settati sulla territorialità tra i due – e tra le rispettive formazioni politiche – si è creato un ulteriore punto di discrimine.
Il Foglio parla senza mezzi termini di “bomba di fango” addosso alla presidente uscente. Su lei e “su quello che la presidente della Commissione considera il più grande successo della sua amministrazione: la campagna vaccinale Ue”. E Fratelli d’Italia?
L’affondo di Ruspandini
Massimo Ruspandini è stato netto, sui suoi social. “Indagare sulla gestione della pandemia da Covid per accertare eventuali errori. Affinché non vengano più commessi in futuro: è questo l’obiettivo della Commissione di inchiesta voluta da Fratelli d’Italia“. Il suo affondo però è “localistico” e mette in tacca di mira più Giuseppe Conte e Roberto Speranza che altri.
Il dato cardine è quello per cui il fuoco alle polveri contro la linea Ursula lo diedero proprio i sovranisti ungheresi, greci e polacchi. Che sono di fatto censiti come tutti “amiconi” di una Giorgia Meloni che oggi bascula.
Tra cosa? Tra le istanze di Ecr e una partnership con la von der Leyen che rasenta il comparaggio struscione. Le accuse originarie contro la presidente vennero condivise anche da FdI ma allora la linea bassa ed una serie micidiale di “no comment” calmierarono la faccenda. Oggi invece, a geografia Ue mutata e con Meloni master di Palazzo Chigi, ci sono più silenzi che grancasse in zona FdI.
“Da mesi infatti Giorgia Meloni ha scelto di non attaccare più la presidente della Commissione Ue. Linea che però nelle scorse settimane, da quando la riconferma della tedesca non sembra più così certa, la premier porta avanti con sempre più fatica. E che su un tema come i vaccini, su cui Meloni ha recentemente strizzato l’occhio a posizioni critiche, potrebbe anche accartocciarsi del tutto”.
La Lega e il “fuoco amico”
La palla passa alla Lega ed alle sue velleità di allargare ancora di più la crepa nella compattezza della destra italiana in chiave europea. Ma c’è anche un’altra chiave di lettura: quella per cui a non volere più la von der Leyen in corsa non sarebbero (solo alcuni) sovranisti, ma anche molta della “sua gente”.
Chiave per cui contro la presidente uscente potrebbe essersi concentrato anche il “fuoco amico” di una parte del Ppe che non la vorrebbe di nuovo in arcione. Le fonti sovraniste citate dal Foglio sono state sibilline ma non troppo: “Von der Leyen si guardi dagli amici. A non volerla più non siamo rimasti solo noi e noi non abbiamo incarichi”.
Territorialismo sì, però…
Mario Abbruzzese è fresco reduce dall’apertura di una sede a Fiumicino, da un bagno di folla ad Alatri e da un tour nei Castelli Romani. Mentre Rossella Chiusaroli si è presa elogi ed applausi ad un summit fiuggino con Gianluca Quadrini e e Salvatore De Meo tra gli altri. Quelli ed una veste “official” in quel del palasport di Broccostella.
Nessuno dei due ha intenzione di impelagarsi nella logica dell’affondare o salvare il soldato Ursula, la loro chiave è il territorialismo in purezza.
Ma entrambi sanno che prima o poi, anche solo a sfiorarla, quella faccenda la dovranno affrontare. E il garantismo c’entra molto poco. C’entra il fatto che sono chiamati ad essere l’uno vampiro dell’altra, ed ogni tema sarà un possibile tranello.